Tardivo e omesso versamento della prima rata a seguito di adesione all'accertamento: errore scusabile e decreto sanzioni

l’accertamento con adesione è uno degli strumenti più utilizzati per la deflazione del contenzioso, tuttavia spesso accade che il contribuente non rispetti in pieno il piano di rateazione previsto: i casi in cui è possibile conservare i benefici dell’adesione nonostante un lieve indadempimento

Aspetti generali

L’accertamento con adesione è una forma di definizione consensuale della vertenza tributaria, che può precedere o anche seguire la notifica dell’accertamento, sostituendolo integralmente.

L’atto di adesione (col quale vengono ridefiniti i termini della ricostruzione contenuta nel pvc o nell’avviso di accertamento) quando definito non è impugnabile da parte del contribuente, né modificabile da parte dell’ufficio impositore (art. 2, c. 3, del D.Lgs. 19.6.1997, n. 218). L’ulteriore azione accertatrice non è però preclusa, secondo le modalità dell’accertamento integrativo ex art. 43 del D.P.R. 29.9.1973, n. 600(imposte sui redditi) e art. 57 del D.P.R. 26.10.1972, n. 633(IVA), in presenza di alcune seguenti condizioni indicate nell’art. 2, c. 4, del D.Lgs. n. 218/1997.

Con riferimento però agli atti definibili emessi dall’Agenzia delle Entrate a partire dal 1° febbraio 2011, per effetto della legge di stabilità 2011 (art. 1, cc. 18-20, L. 13.12.2010, n. 220) le sanzioni applicabili in caso di adesione sono state elevate da 1/4 a 1/3 del minimo edittale.

Il presente contributo, dopo una breve disamina dell’istituto dell’accertamento con adesione secondo lo stato attuale della normativa, prende in considerazione un tema che interessa la fase del perfezionamento dell’adesione, e in particolare il versamento delle somme concordate con l’ufficio, in relazione all’ipotesi di tardività nell’adempimento.

Qualche precisazione sull’accertamento con adesione

Il procedimento di adesione può attivarsi su iniziativa del contribuente in due casi:

  • presenza di accessi, ispezioni o verifiche eseguite ai sensi degli artt. 33 del D.P.R. n. 600/1973 e 52 del D.P.R. n.633/1972 (ipotesi disciplinata dall’art. 6, c. 1, del D.Lgs n. 218/1997);

  • notifica di accertamento non preceduta da invito a comparire (ipotesi indicata dall’art. 6, c. 2, del D.Lgs. n. 218/1997).

L’avvio del procedimento su iniziativa dell’ufficio è invece disciplinato dall’art. 5, c. 1, del D.Lgs. n. 218/1997, a norma del quale l’ufficio invia al contribuente un invito a comparire (con formale notifica o a mezzo di raccomandata a/r), recante l’indicazione:

  • dei periodi d’imposta suscettibili di accertamento;

  • del giorno e del luogo della comparizione per definire l’accertamento con adesione.

Anche se il contribuente è libero di aderire o meno all’iniziativa dell’ufficio, la mancata risposta all’invito gli impedisce di accedere alla definizione con adesione nell’eventuale fase successiva conseguente alla notifica dell’avviso di accertamento per gli stessi periodi d’imposta, dato che l’art. 6, c. 2, del decreto legislativo in commento, consente l’attivazione del procedimento nel solo caso in cui l’accertamento non sia stato preceduto dall’invito a comparire dell’ufficio.

Quella che viene esercitata nell’adesione è un’attività discrezionale tecnica (individuare e definire quelle fattispecie che, per lo stato della giurisprudenza o di oggettive difficoltà interpretative o per insufficienza di prove, si prestano a valutazioni divergenti) e non amministrativa (non è possibile decidere di sottoporre o meno a tassazione un determinato componente reddituale).

Gli indirizzi del 2001

Secondo quanto è stato puntualizzato nella circolare dell’Agenzia delle Entrate 28.6.2001, n. 65/E (paragrafo 4.3), il verificarsi di casi di omesso, tardivo o carente versamento degli importi dovuti causa in via generale il mancato perfezionamento dell’adesione da parte del contribuente, con la conseguente inefficacia dell’atto sottoscritto e la mancanza di titolo per l’iscrizione a ruolo delle somme risultanti dall’atto di adesione.

L’ufficio è quindi legittimato:

  • alla notifica dell’avviso di accertamento nei casi di procedimenti attivati ai sensi degli artt. 5 e 6, c. 1, del D.Lgs. n. 218/1997;

  • all’iscrizione a ruolo, a titolo provvisorio o definitivo, degli importi scaturenti dall’avviso di accertamento già notificato, con riferimento al quale il contribuente aveva prodotto istanza di adesione ai sensi del comma 2 dell’articolo 6 e che, ai sensi del comma 4 dell’articolo 12, conserva la sua efficacia per il mancato perfezionamento dell’adesione da parte del contribuente.

Queste attività devono essere di norma immediatamente intraprese dagli Uffici a fronte di comportamenti totalmente omissivi, ovvero gravemente carenti nei versamenti eseguiti con evidenti finalità dilatorie del complessivo procedimento di accertamento, soprattutto in assenza di ragionevoli giustificazioni fornite dal contribuente in ordine alle circostanze che hanno determinato il mancato perfezionamento dell’adesione.

In presenza di anomalie di minore entità (ad esempio, lieve carenza e tardività dei versamenti eseguiti), nonché in presenza di valide giustificazioni offerte dal contribuente nei casi di più marcata gravità, l’ufficio fiscale può valutare il permanere o meno del concreto ed attuale interesse pubblico al perfezionamento dell’adesione e quindi alla produzione degli effetti giuridici dell’atto sottoscritto.

Questa valutazione, fondata sul principio di conservazione degli atti amministrativi, deve essere esercitata su elementi di riscontro oggettivi e avendo preminente riguardo ai termini di decadenza dell’azione accertatrice, in relazione ai tempi tecnici occorrenti alle attività da porre in essere per l’eventuale perfezionamento dell’adesione.

In particolare sussiste l’interesse dell’ufficio:

  • nel caso di accertamento notificato e non impugnato dal contribuente, per il quale al momento del riscontro residuano i termini d’impugnativa, al fine di evitare un prevedibile procedimento di contenzioso in relazione a un avviso di accertamento i cui elementi costitutivi siano già stati oggetto di diversa valutazione da parte dello stesso ufficio in sede di atto di adesione;

  • nel caso di procedimento di adesione innescato su iniziativa dell’ufficio, ai sensi dell’art. 5 ovvero dell’art. 6, c. 1, del D.Lgs. n. 218/1997, al fine di evitare dispersione di attività amministrativa e aggravio del generale procedimento di accertamento, l’ufficio dovrebbe procedere alla notifica di un avviso di accertamento coerente con le determinazioni assunte in sede di sottoscrizione dell’atto di adesione e quindi con esiti contabili invariati rispetto a quelli già oggetto di adesione, con l’unica conseguenza, pregiudizievole per l’Erario, della riscossione posticipata nel tempo.

In entrambi i casi, se si ritenesse non perfezionata l’adesione in dipendenza delle irregolarità riscontrate, l’ufficio dovrebbe gestire l’eventuale istanza di rimborso delle somme versate in assenza di legittimo titolo, con ulteriore aggravio dell’azione amministrativa.

In queste ipotesi è quindi ravvisabile il permanere dell’interesse attuale e concreto dell’amministrazione al perfezionamento dell’adesione, in attuazione dei generali principi di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa, nonché del principio di collaborazione previsto dallo Statuto del contribuente; è quindi possibile riconoscere al contribuente la possibilità di perfezionare l’adesione, previa verifica dell’esistenza di tempi tecnici compatibili con i termini di decadenza dei poteri di accertamento.

Secondo la circolare, il contribuente dovrebbe essere invitato con immediatezza:

  • a perfezionare l’adesione entro un breve termine appositamente assegnato dall’ufficio (non superiore a 20 giorni);

  • in caso di omesso, tardivo, insufficiente versamento delle imposte dovute, alla corresponsione degli interessi legali a decorrere dal primo giorno successivo alla originaria scadenza del termine di cui al citato comma 1 dell’articolo 8.

Nel caso in cui il contribuente non ottemperi all’invito dell’ufficio nel termine assegnato, l’accertamento con adesione dovrà ritenersi come non perfezionato, restituendo efficacia all’originario accertamento notificato ovvero procedendo alla notifica dell’avviso di accertamento.

Relativamente agli aspetti sanzionatori, in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.L. n. 98/2011, il versamento delle somme dovute a titolo di perfezionamento dell’adesione a seguito della sottoscrizione del relativo atto non costituiva per il contribuente un obbligo di legge, bensì un onere: non era pertanto, assoggettabile a sanzione l’eventuale tardività ovvero l’omissione, totale o parziale, del versamento stesso. La mera sottoscrizione dell’atto di adesione non costituiva quindi titolo per la riscossione coattiva delle somme non versate alle scadenze prescritte.

Il perfezionamento dell’adesione

Il versamento delle somme dovute in forza della sottoscrizione dell’atto di adesione deve avvenire entro i 20 giorni successivi alla data di redazione dell’atto medesimo, distintamente per ciascuna annualità d’imposta oggetto di definizione; tale adempimento costituisce condizione di efficacia per il perfezionamento del procedimento concordatario.

Nei 20 giorni successivi, quindi, il contribuente deve provvedere al versamento del totale dell’importo dovuto ovvero, nel caso di pagamento rateale, al pagamento della prima rata.

Il pagamento può avvenire mediante delega a una banca autorizzata, presso il concessionario del servizio di riscossione competente, oppure a mezzo del servizio postale, utilizzando il modello F24 per le imposte sui redditi e l’IVA e il modello F23 per gli altri tributi indiretti. A ciascun tributo e relative sanzioni è attribuito uno specifico codice, unitamente ad un codice atto che identifica, sempre in forma codificata, il numero attribuito dall’ufficio all’atto di adesione e che deve obbligatoriamente essere riportato sul modello di pagamento, per consentire l’abbinamento del versamento alla posizione del contribuente.

Gli importi dovuti in forza dell’adesione possono essere rateizzati nel numero massimo di otto rate trimestrali di pari importo fra loro, ovvero di un massimo di 8 rate trimestrali di uguale importo (16 rate trimestrali se le somme complessivamente dovute – imposte, interessi e sanzioni – superano i 50.000 euro)1.

La decisione di pagare ratealmente e la scelta del numero delle rate è interamente demandata al contribuente, che può liberamente decidere come meglio articolare il proprio pagamento.

In caso di opzione per il pagamento rateale, il contribuente deve versare, entro venti giorni dalla data di redazione dell’atto di adesione, solo l’importo della prima rata: l’importo delle rate successive, maggiorato degli interessi legali calcolati dal giorno successivo a quello di perfezionamento dell’atto di adesione e fino alla scadenza di ciascuna rata, dovrà essere versato con cadenza mensile o trimestrale.

Nei dieci giorni successivi alla scadenza del (primo o unico) pagamento, il contribuente deve far pervenire all’ufficio copia del versamento effettuato ovvero, in caso di pagamento rateale, copia dell’attestato di versamento della prima rata.

Per espressa previsione normativa, contenuta nell’art. 8, c. 3, del D.Lgs. 218/1997, l’atto di adesione redatto viene consegnato al contribuente solo quando questi esibisce l’attestazione di versamento.

Innovando l’art. 8 del D.Lgs. n. 218/1998 e l’art. 48 del D.Lgs. n. 546/1992, l’art. 23, c. 17, del D.L. n. 98/20112 ha stabilito che il mancato pagamento anche di una sola delle rate successive alla prima entro il termine di pagamento della rata successiva comporta l’iscrizione a ruolo delle residue somme e del doppio della sanzione ex art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997, sul residuo importo dovuto a titolo di tributo, cioè di una sanzione pari al 60% dell’importo residuo3.

Imputabilità e colpevolezza

Il vigente sistema sanzionatorio amministrativo tributario è stato costruito secondo criteri di stampo penalistico, che pretendono precisi requisiti a garanzia dell’autore delle violazioni, per evitare un effetto afflittivo esorbitante rispetto alle finalità perseguite.

Nel D.Lgs. 18.12.1997 n. 472 sono racchiusi, in particolare, i principi generali in tema di sanzioni amministrative tributarie, orientati alla responsabilità personale, all’imputabilità e alla colpevolezza dell’autore materiale della violazione.

In tale contesto l’irrogazione della sanzione presuppone – a norma dell’art. 4 del decreto legislativo – che l’autore della violazione abbia, in base ai criteri indicati nel codice penale, la capacità di intendere e di volere [imputabilità].

Per gli artt. 85 e ss., c.p., l’imputabilità è esclusa nei casi di:

  • infermità di mente:

  • ubriachezza;

  • intossicazione da stupefacenti;

purché determinati da caso fortuito o forza maggiore, tali da escludere, appunto, la capacità di intendere e di volere.

L’imputabilità non è esclusa in tutti i casi in cui lo stato di incapacità è dipeso da comportamento volontario o colposo. Inoltre, non è imputabile il minore di quattordici anni.

In ambito tributario, le uniche fattispecie concretamente prospettabili sembrano essere quelle nelle quali una violazione venga commessa da una persona interdetta dopo la pronuncia di interdizione, ovvero da persona che, benché non interdetta, si dimostri essere stata affetta da infermità di natura così grave da escludere del tutto la capacità di intendere e di volere.

La normativa sanzionatoria tributaria, volta alla personalizzazione dell’illecito tributario, si impernia sull’art. 5 del D.Lgs. n. 472/1997, relativo al principio di colpevolezza. Per colpevolezza è definito l’insieme dei criteri che consentono di muovere al soggetto agente una contestazione per avere commesso il fatto antigiuridico .

Il D.Lgs. n. 472/1997 ha accolto la concezione psicologica della colpevolezza, cioè la teoria secondo la quale la nozione in esame è identificata come il nesso psichico tra il fatto e l’autore dello stesso, nelle forme del dolo e della colpa . Il requisito della «suitas» consiste nella coscienza e volontarietà della condotta in capo all’autore dell’illecito. Quanto all’elemento psicologico, esso può assumere in campo amministrativo – tributario i caratteri del dolo o della colpa.

La circolare focalizza come segue tali nozioni, in quanto utilizzabili dal Fisco:

  • il dolo può ricondursi al c.d. «dolo specifico»; in base alla lettura testuale dell’art. 5, comma 4, del D.Lgs. n. 472/1997, parrebbe infatti che non possa considerarsi doloso il comportamento che, pur violando la legge tributaria, non sia stato adottato intenzionalmente a tale scopo;

  • la colpa sorge quando l’illecito è «contro l’intenzione», ovvero si verifica per negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

Perché sorga responsabilità sanzionatoria amministrativa, è pertanto necessario che la violazione sia stata commessa quantomeno con colpa.

Le cause di non punibilità

Secondo l’art. 6 del D.Lgs. n. 472/1997, se la violazione è conseguenza di errore sul fatto, e l’errore non è determinato da colpa, l’agente non è responsabile.

È inoltre precisato che le rilevazioni eseguite nel rispetto della continuità dei valori di bilancio e secondo corretti criteri di stima non danno luogo a violazioni punibili.

In ogni caso non si considerano colpose le violazioni conseguenti a valutazioni estimative, ancorché relative alle operazioni disciplinate dal D.Lgs. 8.10.1997, n. 358, se differiscono da quelle accertate in misura non eccedente il 5%.

A tale proposito, si rende opportuno un richiamo alla norma penale tributaria, e in particolare all’art. 7, comma 2, del D.Lgs. n. 74/2000, ove è disposto che non danno luogo a fatti punibili le valutazioni estimative, singolarmente considerate, che differiscono in misura inferiore del 10% rispetto a quelle corrette.

L’errore scusabile nella normativa sanzionatoria

La rilevanza attribuita all’errore incolpevole quale causa di non applicazione delle sanzioni può essere accostata alla questione della non sanzionabilità dei comportamenti in buona fede dei contribuenti che promana dallo Statuto del contribuente e dalla giurisprudenza di legittimità.

Si riafferma al riguardo che sia il sistema sanzionatorio amministrativo che quello penale [con il dolo specifico di evasione] richiedono, affinché il comportamento in violazione di norme sia sanzionato, un requisito psicologico qualificato, che per definizione non può sussistere né in caso di errore incolpevole, né se il contribuente si conforma all’orientamento espresso dall’amministrazione, né, infine, se gli orientamenti espressi non sono abbastanza chiari.

Si rammenta al riguardo che all’amministrazione è preclusa la possibilità di irrogare sanzioni nei confronti del contribuente che si è adeguato all’orientamento espresso in sede di interpello ordinario, ovvero al silenzio-assenso eventualmente formatosi dopo la proposizione dell’interpello.

Tale previsione può ricollegarsi all’aspettativa ingenerata nel contribuente dalla risposta – o dal silenzio significativo – del fisco, il quale in tale ipotesi è addirittura «certo» della portata e dell’ambito applicativo delle norme, poiché è in possesso del parere ufficiale proveniente dall’ente che presiede alla determinazione delle regole applicative del tributo e alla gestione delle varie fasi, anche autoritative, del rapporto d’imposta.

In ambito penale tributario, la norma parallela è recata dall’art. 15, D.Lgs. n. 74/2000, il quale esclude la punibilità delle «violazioni di norme tributarie dipendenti da obiettive condizioni di incertezza sulla loro portata e sul loro ambito di applicazione».

La disposizione, che opera al di fuori dei casi di esclusione della punibilità per effetto dell’art. 47, terzo comma, del c.p. (errore sul fatto), è in linea con l’art. 6 del D.Lgs. n. 472/1997, che prevede un’analoga ipotesi di non punibilità sanzionatorio – amministrativa nel caso di violazioni determinate da incertezza interpretativa.

Se gli uffici fiscali ritengono non applicabile la sanzione amministrativa, in applicazione del predetto art. 6 del D.Lgs. 472/1997, devono, per coerenza, astenersi dal comunicare notizia di reato al giudice penale.

La rettifica dell’errore attraverso dichiarazione integrativa

Gli errori commessi nelle dichiarazioni dei redditi possono essere oggetto di rettifica da parte dei contribuenti, come è stato più volte affermato dalla Cassazione.

Nella sentenza 25.10.2002, n. 15063, le Sezioni Unite civili della S.C. hanno affermato che, sul piano sistematico, la riscontrabilità di una generale possibilità di rettificare o di ritirare, in tutto o in parte, la dichiarazione dei redditi deriva:

  • dalla sua natura di atto non negoziale e non dispositivo, recante una mera esternazione di scienza e di giudizio, in linea di principio modificabile nell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione;

  • dal fatto che essa non costituisce il titolo dell’obbligazione tributaria, ma integra un momento dell’iter procedimentale finalizzato all’accertamento di tale obbligazione e al soddisfacimento delle ragioni erariali;

  • dalla considerazione che si rivelerebbe difficilmente compatibile con i principi costituzionali della capacità contributiva (art. 53, c. 1 Cost.) e dell’oggettiva correttezza dell’azione amministrativa (art. 97, c. 1, Cost.) un sistema legislativo che, negando radicalmente la rettificabilità della dichiarazione, sottoponesse il contribuente a un prelievo fiscale indebito.

Nella quasi coeva sentenza n. 17394 del 6.12.2002, le stesse SS.UU. civili hanno rilevato che, sulla premessa dell’emendabilità, o ritrattabilità, di ogni dichiarazione dei redditi che si riveli oggettivamente erronea ed inesatta, va riconosciuto ai contribuenti il diritto di rilevare gli errori e le inesattezze (di fatto o di diritto, testuali o extratestuali) compiuti nella redazione dell’atto, al fine di sottrarsi a oneri tributari più gravosi di quelli ai quali per legge egli può, e deve, essere sottoposto.

Nessun limite, neppure temporale, all’emendabilità ed alla ritrattabilità della dichiarazione recante errori e inesattezze oggettivi e, quindi, al diritto del contribuente di addurre quegli errori e quelle inesattezze per sottrarsi all’adempimento degli obblighi tributari correlati alla dichiarazione prodotta, poteva quindi desumersi dalle disposizioni di cui ai commi 7 e 8 dell’articolo 9 del D.P.R. 29.9.1973 n. 600.

A seguito della presentazione della dichiarazione fiscale rettificativa, può essere presentata istanza di rimborso secondo quanto a suo tempo consentito dall’art. 9, c. 7 (già ottavo), del D.P.R. 29.9.1973, n. 600 (abrogato dall’art. 9 del D.P.R. 22.07.1998, n. 322), e attualmente previsto dalle nuove disposizioni in materia.

In breve: ravvedimento lungo e dichiarazione integrativa

La L. 23.12.2014, n. 190, cc. 637 e ss., ha ridisciplinato l’istituto del ravvedimento operoso(di cui all’art. 13 del D.Lgs. 472/1997) prevedendo che:

  • per i tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate, il ravvedimento operoso non è più inibito dal controllo fiscale, ma solamente dalla notifica dell’atto impositivo o dell’avviso bonario;

  • il ravvedimento può avvenire, ferma la preclusione di cui sopra, senza limiti temporali;

  • in caso di avvenuta constatazione della violazione ai sensi dell’articolo 24 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (cioè mediante processo verbale), la riduzione della sanzione è a un quinto del minimo;

  • in caso di dichiarazione integrativa i termini di decadenza per la notifica degli atti impositivi decorrono dalla data di presentazione di tale dichiarazione.

Contestualmente alle modifiche apportate all’istituto del ravvedimento operoso è stato innovato l’art. 2, c. 8, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, che consente al contribuente di integrare le dichiarazioni dei redditi, dell’IRAP, dell’IVA e dei sostituti d’imposta per correggere errori od omissioni, non oltre i termini stabiliti dalla legge per l’accertamento, fatta salva l’applicazione delle sanzioni nella misura ordinaria.

In tal modo sono stati esplicitamente coordinati i termini e le modalità per usufruire della dichiarazione integrativa «a sfavore» e del ravvedimento operoso, raccordando i due istituti; nella disciplina della dichiarazione integrativa si chiarisce che, anche in tale ipotesi, rimane comunque ferma l’applicazione del ravvedimento operoso come innovata dalle norme in commento.

L’errore scusabile e il versamento tardivo

Come si è detto sopra, il versamento della prima rata in sede di perfezionamento dell’accertamento con adesione, ovvero dell’intero importo, deve avvenire a cura del contribuente entro 20 giorni dalla redazione dell’atto.

Che succede se il contribuente ritarda? A seguire pedissequamente il disposto dell’art. 8 del D.Lgs. n. 218/1998 e l’art. 48 del D.Lgs. n. 546/1992, come innovati dal succitato art. 23, comma 17, del D.L. n. 98/2011, dovrebbero venire iscritte a ruolo le somme residue con contestuale applicazione di una sanzione pari al 60% dell’importo residuo dovuto a titolo di tributo.

Di fatto, secondo l’indirizzo dell’Agenzia delle Entrate si è cercato via via di valorizzare sempre più negli anni il principio dell’errore scusabile, che come si è visto promana sia dalle norme sanzionatorie, sia dai principi generali dello Statuto del contribuente, ed è finalizzato a non punire situazioni caratterizzate da un comportamento in buona fede del contribuente, producendo ingiustizia sostanziale e possibile contenzioso.

Talune pronunce dell’amministrazione finanziaria hanno fornito spiegazioni a riguardo, come questa circolare n. 48/E del 24.10.20114 [paragrafo 14]:

«l’errore potrà ritenersi scusabile nelle ipotesi in cui il soggetto abbia osservato una normale diligenza nella determinazione del valore della lite e nel calcolo degli importi dovuti. La scusabilità dell’errore presuppone, di norma, condizioni di obiettiva incertezza o di particolare complessità del calcolo che debbono potersi accompagnare alla normale diligenza usata dal contribuente».

Il decreto riscossione

L’art. 3 del D.Lgs. 24.9.2015, n. 159 [c.d. decreto riscossione], vigente a far data dal 22.10.2015, è intervenuto inserendo, dopo l’art 15-bis, un nuovo art. 15-ter nel testo del D.P.R. n. 602/1973.

Il nuovo articolo è rubricato «inadempimenti nei pagamenti delle somme dovute a seguito dell’attività di controllo dell’Agenzia delle Entrate».

I commi da 2 a seguenti stabiliscono che:

  • [comma 2] in caso di rateazione ai sensi dell’art. 8 del D.Lgs. n. 218/1997, il pagamento di una delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva comporta la decadenza dal beneficio della rateazione e l’iscrizione a ruolo dei residui importi dovuti a titolo di imposta, interessi e sanzioni, nonché della sanzione di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997, aumentata della metà e applicata sul residuo importo dovuto a titolo di imposta;

  • [comma 3] è esclusa la decadenza in caso di lieve inadempimento dovuto a:

a) insufficiente versamento della rata, per una frazione non superiore al 3% e, in ogni caso, a 10.000 euro;

b) tardivo versamento della prima rata, non superiore a sette giorni;

  • [comma 4] la disposizione di cui al comma 3 si applica anche con riguardo a:

a) versamento in unica soluzione delle somme dovute ai sensi dell’art. 2, c. 2, e dell’art. 3, c. 1, del D.Lgs. 18.12.1997, n. 462;

b) versamento in unica soluzione o della prima rata delle somme dovute ai sensi dell’art. 8, c. 1, del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 21 D.Lgs. n. 218/1997;

  • [comma 5] nei casi previsti dal comma 3, nonché in caso di tardivo pagamento di una rata diversa dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva, si procede all’iscrizione a ruolo dell’eventuale frazione non pagata, della sanzione di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997, commisurata all’importo non pagato o pagato in ritardo, e dei relativi interessi;

  • [comma 6] l’iscrizione a ruolo di cui al comma 5 non è eseguita se il contribuente si avvale del ravvedimento operoso entro il termine di pagamento della rata successiva ovvero, in caso di ultima rata o di versamento in unica soluzione, entro 90 giorni dalla scadenza.

Considerazioni conclusive

La revisione della disciplina sanzionatoria in materia di rateizzazione dei debiti tributari è stata quindi innovata prevedendo che ritardi di breve durata ovvero errori di limitata entità nel versamento delle rate non comportino l’automatica decadenza dal beneficio della rateizzazione.

Sono stati razionalizzati e differenziati gli inadempimenti relativi al pagamento rateale (in caso di controlli automatici e formali, nonché a seguito di accertamento con adesione).

È stata inoltre introdotta l’ipotesi di lieve inadempimento, che non causa la decadenza dal beneficio della dilazione.

Il contribuente può avvalersi dell’istituto del ravvedimento operoso evitando l’iscrizione a ruolo degli importi residui dovuti.

In sintesi, a partire dal 22.10.2015:

  • rispetto alla normativa previgente, che in caso di tardivo versamento di una rata successiva alla prima causa l’iscrizione a ruolo del residuo dovuto a titolo di imposta con sanzione non più doppia [pari al 60%], bensì pari alla sanzione ordinaria [minimo edittale], più la metà della stessa [in tutto la nuova sanzione arriva al 45%];

  • se il ritardo riguarda la prima rata ed è contenuto entro i 7 giorni, viene iscritta a ruolo la sola frazione non pagata più la sanzione ordinaria [30%] e i relativi interessi;

  • in tale ultima ipotesi, nonché in caso si tardivo pagamento di una rata diversa dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva, i contribuenti possono ricorrere all’istituto del ravvedimento operoso.

25 novembre 2015

Fabio Carrirolo

1 Si rammenta che l’art. 23 del D.L. 6.7.2011, n. 98 (convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), cc. 17 – 19, ha soppresso l’obbligo, precedentemente previsto, di prestare la garanzia mediante polizza fideiussoria o fideiussione bancaria, ovvero rilasciata dai consorzi di garanzia collettiva dei fidi (Confidi), nei casi di versamento rateale delle somme dovute a seguito di accertamento con adesione e conciliazione giudiziale per importi delle rate successive alla prima superiori a 50.000 euro.

2 Cfr. la sup. nota 1.

3 Cfr. circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 41/E del 5.8.2011, paragrafo 4.

4 Relativa alla chiusura delle liti fiscali minori.