Emissione di fatture per operazioni inesistenti: spetta al contribuente smentire le presunzioni dell'ufficio

se il fisco dimostra la falsità di una fattura passa sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, ma siffatta prova non può consistere nella semplice esibizione della fattura o nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili e dei mezzi di pagamento

 

 La sentenza n. 18932 del 24 settembre 2015 (ud. 28 aprile 2015) della Corte di Cassazione torna ad affrontare, ancora una volta, la problematica delle operazioni cartolari.

 

Il fatto

L’Agenzia delle entrate emetteva una serie di atti impositivi nei confronti di una società, a seguito di processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F., col quale era stato evidenziato dai verbalizzanti un sistema fraudolento di emissione di fatture per operazioni inesistenti a fronte di una commercializzazione cartolare di “software gestionali“, sulla base di controlli incrociati con ditte e società facenti capo ad gruppo societario, a cui apparteneva la società sottoposta controllo e con le quali aveva intrattenuto rapporti commerciali.

 Il ricorso veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Provinciale mentre l’appello proposto veniva accolto dalla Commissione Tributaria Regionale.

 

La sentenza

 In apertura la Corte, richiamando, la sentenza n. 23550/2014, ha confermato che, “in tema d’imposte sui redditi, è legittimo il ricorso all’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa, ex art. 39, comma 1, lett.d), del D.P.R. n. 600 del 1973, ‘anche in presenza di una contabilità formalmente corretta ma complessivamente inattendibile, potendosi, in tale ipotesi, evincere l’esistenza di maggiori ricavi o minori costi in base a presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente, per il cui assolvimento, in caso di operazioni oggettivamente inesistenti, da cui il fisco ha dedotto l’inesistenza delle passività dichiarate, non è sufficiente nè la regolare annotazione delle fatture nelle scritture contabili nè l’effettività delle spese, le quali difettano del requisito dell’inerenza all’attività imprenditoriale, in quanto, derivando da un illecito penale, sono espressive di finalità ulteriori e diverse da quelle proprie dell’impresa”.

 

Nello specifico delle fatture emesse per operazioni oggettivamente inesistenti, mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, ha confermato che, “nel caso in cui l’Ufficio ritenga che la fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti, e quindi contesti l’indebita detrazione dell’IVA e/o la deduzione dei costi, ha l’onere di fornire elementi probatori del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata (ad esempio, provando che la società emittente la fattura è una ‘cartiera’) e a quel punto passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate e che tale prova l’Amministrazione la può fornire anche mediante presunzioni semplici (Cass. n. 25775/2014), mentre, in presenza di siffatta prova, spetta al contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, ma quest’ultima prova ‘non potrà consistere … nella esibizione della fattura, nè nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (tra le altre, Cass. nn. 15228/2001, 12802/2011, 11155/2014, 428/2015)’”.

 

Quanto alla indetraibilità dell’IVA, in presenza di operazioni inesistenti, viene ribadito che “In tema di I.V.A., il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, comma 7, ai sensi del quale, se vengono emesse fatture per operazioni inesistenti, l’imposta stessa è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura, va interpretato nel senso che il corrispondente tributo viene considerato ‘fuori conto’ e la relativa obbligazione ‘isolata’ da quella risultante dalla massa di operazioni effettuate, senza che possa operare, per tale fatto, il meccanismo di compensazione, tra I.V.A. ‘a valle’ ed I.V.A. ‘a monte’, che presiede alla detrazione d’imposta di cui all’art. 19 del D.P.R. citato, e ciò anche in considerazione della rilevanza penale della condotta consistente nell’emissione di fatture per operazioni inesistenti (Cass. n. 1565/2014)”.

 

Nel caso di specie, nonostante la Amministrazione avesse illustrato e fornito una serie di vali elementi di prova presuntiva “circa l’inserimento della società in un gruppo di società che operava in modo circolare attraverso una enorme quantità di operazioni di compravendita che intercorrevano tra le stesse società del gruppo e che erano risultate nella maggioranza dei casi fittizie, circostanza che peraltro non risulta contestata dalla società verificata, la CTR non li ha adeguatamente valutati, ha trascurato la ricorrenza della susseguente inversione dell’onere della prova e, non facendo applicazione dei principi di diritto anzidetti, ha basato la sua decisione, in merito alla effettiva esistenza delle operazioni, sulla regolare tenuta della contabilità e sulla considerazione che se le operazioni fossero state inesistenti allora la stessa società non avrebbe avuto ragione di esistere, circostanze e mere ipotesi allegate dalla ricorrente in giudizio, la quale, lungi dal dimostrare la effettività delle operazioni, come sarebbe stato suo onere a fronte della molteplicità di indizi forniti dall’Ufficio, aveva semplicemente affermato che nessuno aveva potuto accertare che i floppy effettivamente non contenessero i ed. software gestionali, affermazioni non decisive perchè attinenti al contenuto del software e non all’effettiva esecuzione delle prestazioni fatturate proprio da parte della società verificata e, non ultimo, perchè meramente ipotetiche”.

 

Inoltre, la Corte cassa la sentenza del giudice di appello, sul piano motivazionale, in quanto i giudici hanno del tutto omesso di considerare una serie di elementi, e cioè la circolarità delle operazioni intercorrenti tra le diverse società facenti capo gruppo societario, compresa quella sottoposta a verifica, e l’elevatissimo numero delle stesse, e hanno solo genericamente motivato su specifici elementi indiziari offerti dall’Ufficio, quali la testimonianza acquisita dal dipendente e la sentenza penale di condanna dell’amministratore, dalla quale emergeva un ingentissimo sistema di frode posto in essere tra le società del gruppo.

 

Breve nota

Le operazioni cartolari continuano ad essere sotto l’attento occhio della Cassazione, che pur avendo ormai assunto una posizione ben precisa, non scoraggiano le impugnazioni.

Posizione che ha sostanzialmente preso avvio dalla sentenza n. 21953 del 21 settembre 2007 (dep. il 19 ottobre 2007), che ha negato l’esistenza di un presunto contrasto interno in ordine al soggetto che deve assolvere la prova, e che nonostante il costante insegnamento della Corte, viene spesso eccepito. Nella richiamata sentenza n.21953/2007 la Suprema Corte di Cassazione così si è espressa: “le sentenze che vengono abitualmente citate a sostegno della teoria secondo cui l’onere della prova graverebbe sull’Amministrazione, in realtà non contengono affatto simile asserzione. Ed invero poiché le operazioni passive denunciate dal contribuente sono fonte di credito a suo vantaggio (nell’ambito dell’Iva) di detrazione dall’imponibile (nell’ambito delle imposte sui redditi), appare logico concludere che spetta al contribuente fornire la prova dell’esistenza di fatti da cui scaturisce un suo diritto”.

Pertanto, qualora l’amministrazione finanziaria fornisca validi elementi, anche presuntivi, per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni fittizie, si sposta sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate.

Come puntualmente rilevato dalla Suprema Corte nell’ordinanza n. 27547 del 19 dicembre 2011 (ud. 13 ottobre 2011)1, l’orientamento giurisprudenziale che assegnava all’ufficio l’onere della prova è ormai superato, ad opera della stessa Cassazione che ha ormai da tempo2 affermato che qualora l’Amministrazione contesti al contribuente che alcune fatture sono state emesse per operazioni inesistenti, incombe sul contribuente stesso dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni.

Principio ribadito con la sentenza n. 17959 del 24 luglio 2013 (ud. 17 ottobre 2012), secondo cuiuna volta che l’amministrazione abbia fornito oggettivi elementi di prova, anche indiziari, in ordine all’inesistenza dell’operazione o all’inattendibilità della scrittura addotta dal contribuente a base della richiesta di detrazione, sarà il contribuente a dovere offrire la prova circa la verità ed inerenza dell’operazione medesima – v. Cass. n. 12802/2011; Cass. n. 5282/2011”.

 

Ulteriori recenti pronunce

 L’interpretazione della Corte si è arricchita nel corso di questi anni di ulteriori pronunce. Indichiamo qui quelle maggiormente significative.

  • Sentenza n. 7650 del 2 aprile 2014 (ud 27 gennaio 2014): la Corte di Cassazione ha ritenuto che l’assenza della dotazione minima per la fornitura della prestazione costituisce prova di mancata effettuazione della prestazione. I massimi giudici, quindi, ribadiscono il principio secondo cui “qualora l’Amministrazione contesti al contribuente – come nel caso di specie – l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, e fornisca attendibili riscontri indiziari sull’inesistenza delle operazioni fatturate, ricade sul contribuente medesimo l’onere di dimostrare la fonte legittima della detrazione, altrimenti non operabile. Il cessionario, in particolare, ha l’onere di dimostrare almeno, anche in via alternativa, di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta in occasione dell’operazione contestata, di non essere stato in grado di abbandonare lo stato di ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti collegati all’operazione”. Per la Corte, pertanto, “non è sufficiente dedurre, da parte del contribuente, che la merce sia stata consegnata e la fattura, IVA compresa, sia stata effettivamente pagata, trattandosi di circostanze pienamente compatibili con il modello di frode fiscale, posto in essere mediante un’operazione soggettivamente inesistente (Cass. 17377/09; 230744/12). E tanto meno può considerarsi sufficiente la dimostrazione della regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta – com’è del tutto evidente – di dati e circostanze facilmente falsificabili dal contribuente (cfr. Cass. 1950/07, 12802/11)”. Nel caso di specie, “non giova affatto alla contribuente – al contrario di quanto erroneamente ritenuto dal giudice di appello – dedurre e comprovare l’avvenuto pagamento delle fatture e l’effettivo ricevimento della merce, a fronte di elementi di forte spessore indiziario e presuntivo, forniti in giudizio dall’Amministrazione finanziaria, e consistenti nella totale assenza, presso le società cartiere, di strutture e mezzi idonei a consentire loro di effettuare le forniture oggetto delle fatture in contestazione. Elementi di fatto, questi, della cui sussistenza effettiva, peraltro, neppure il giudice di appello ha mostrato di dubitare in alcun modo. Ed invero, come dianzi detto, l’immediatezza dei rapporti tra la apparente cedente della merce acquistata dalla contribuente e quest’ultima – comprovata dai due processi verbali di constatazione – induce ragionevolmente ad escludere l’ignoranza incolpevole della cessionaria circa l’avvenuto versamento dell’IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta. Con la conseguenza che, in siffatta ipotesi – contrariamente a quanto affermato dalla CTR -, avrebbe dovuto la contribuente provare di non essere a conoscenza della circostanza che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante, ma altri, dovendosi – in mancanza – negare il diritto alla detrazione dell’IVA versata. Il che appare, poi, vieppiù evidente nelle ipotesi – come quella ricorrente nel caso di specie – in cui gli acquisti di merce vengano sistematicamente, e per ingenti quantitativi operati presso le società c.d. cartiere”.

  • Sentenza n. 18767 del 5 settembre 2014 (ud. 23 giugno 2014): la Corte di Cassazione osserva che, “la prova, fornita dall’Amministrazione, che la prestazione non è stata effettivamente resa dal fatturante, perchè sfornito della, sia pur minima, dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione, costituisce di per sè, per la sua pregnanza dimostrativa, idoneo elemento sintomatico dell’assenza di buona fede del contribuente. L’immediatezza dei rapporti (cedente o prestatore – fatturante – cessionario o committente) induce, invero, ragionevolmente ad escludere in via presuntiva – a fronte di una conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica – l’ignoranza incolpevole del cessionario o committente circa l’avvenuto versamento dell’IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa, nè assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta. In tal caso, sarà – di conseguenza – il contribuente a dover provare, in applicazione di principi ordinari sull’onere della prova vigenti nel nostro ordinamento (art. 2697 c.c.), di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante, ma altri, dovendosi altrimenti negare il diritto alla detrazione dell’IVA versata (Cass. n. 6229/2013)”. E quindi, la Corte, richiama il principio più volte espresso, secondo cui “qualora l’Amministrazione contesti al contribuente – come nel caso di specie – l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, e fornisca attendibili riscontri indiziari sull’inesistenza delle operazioni fatturate, ricade sul contribuente medesimo l’onere di dimostrare la fonte legittima della detrazione, altrimenti non operabile. Il cessionario, in particolare, ha l’onere di dimostrare almeno, anche in via alternativa, di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta in occasione dell’operazione contestata, di non essere stato in grado di abbandonare lo stato di ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti coinvolti nell’evasione (Cass. nn. 8132/2011; 23074/2012). A tal fine, per le ragioni suesposte, non è – tuttavia – sufficiente dedurre, da parte del contribuente, che la merce sia stata consegnata e la fattura, IVA compresa, sia stata effettivamente pagata, trattandosi di circostanze pienamente compatibili con il modello di frode fiscale, posto in essere mediante un’operazione soggettivamente inesistente (Cass. nn. 17377/2009; 230744/2012). E tanto meno può considerarsi sufficiente la dimostrazione della regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta – com’è del tutto evidente – di dati e circostanze facilmente falsificabili dal contribuente (cfr. Cass. nn. 1950/2007; 12802/2011)”.

  • sentenza 13 febbraio 2015, n. 2935: la Corte torna ad occuparsi di operazioni inesistenti, affermando che all’ufficio bastano delle presunzioni semplici per dimostrare la falsità delle fatture. Infatti, la prova dell’indeducibilità dei costi deve esser sopportata dal contribuente e nel caso in cui ciò avvenga attraverso la produzione di fatture, non è preclusa all’Amministrazione la prova della falsità del documento anche a mezzo di presunzione semplice.La giurisprudenza di questa Corte è costante nel senso che la prova del diritto alla deduzione di costi è a carico del contribuente e ciò sia con riferimento al criterio che chi afferma un fatto costitutivo di un diritto lo deve provare e sia con riferimento al criterio di vicinanza della prova (Cass. sez. trib. n. 13943 del 2011; Cass. sez. trib. n. 4554 del 2010). E’ peraltro possibile che il contribuente sia in grado di assolvere l’onere dimostrativo di che trattasi mediante la produzione di fatture, ma per contro è altrettanto possibile che l’Amministrazione possa fornire prova dell’inattendibilità delle stesse anche mediante praesumptio hominis. Ed, in questa direzione, il giudice di merito deve prendere in considerazione il complessivo quadro probatorio al fine di verificare l’esistenza o meno di operazioni fatturate e dedotte (Cass. sez. trib. n. 9958 del 2008; Cass. sez. trib. n. 21953 del 2007). La Commissione Tributaria Regionale del Lazio ha quindi violato la legge, quando ha ritenuto di non poter considerare i fatti secondari indicati dalla Agenzia delle Entrate al fine di ricavare per presunzione semplice l’inesistenza delle operazioni in discorso”.

  • Sentenza n. 8634 del 29 aprile 2015 (ud. 12 dicembre 2014), e in senso sostanzialmente conforme sentenze n.8635 e 8636 di pari data: la Suprema Corte di Cassazione afferma che in tali casi, “a fronte della esibizione di una tale fattura spetta all’Ufficio dimostrare (anche attraverso presunzioni semplici) il difetto delle condizioni per la detta detrazione o deduzione e, in particolare, che la fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti, e cioè sia una mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da, alcuno; in tal caso, pertanto, l’Ufficio ha l’onere di fornire elementi probatori del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata (ad esempio provando che la società emittente la fattura è una cartiera)”. Dopo però, precisa la Corte, la palla passa al contribuente: “a questo punto passa sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate ma siffatta prova non può consistere (per quanto su precisato) nella esibizione della fattura o nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono infatti normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (su tale punto, v. anche Cass. 12802/20111)”.

  • Sentenza 5 agosto 2015, n. 16437: il fatto prende avvio da due avvisi di accertamento emessi nei confronti di un medico specialista in ortopedia, a seguito di ripresa a tassazione di costi indeducibili riferiti a prestazioni parzialmente inesistenti (fatture emessa da società terza per la fornitura, sulla base di un contratto, di strutture e servizi sanitari, precisamente una sala operatoria e personale specializzato, risultati poi, secondo l’Ufficio, mai messi a disposizione ed utilizzati). “Nel caso in cui l’Ufficio ritenga che la fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti, cioè sia una mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, e quindi contesti l’indebita detrazione dell’IVA e/o deduzione dei costi, ha l’onere di fornire elementi probatori del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata (ad esempio, provando che la società emittente la fattura è una cartiera) e a quel punto passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. Quest’ultima prova non potrà consistere, però, per quanto detto sopra, nella esibizione della fattura, né nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (tra le altre, Cass. nn. 15228 del 2001, 12802 del 2011); in caso di accertata assenza dell’operazione, è escluso che possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente (il quale sa bene se una determinata fornitura di beni o prestazione di servizi l’ha effettivamente ricevuta o meno) (Cass. 24426/2013)”.

 

20 novembre 2015

 

Gianfranco Antico

 

1In tema di IVA, nel caso di contestazione di indebita detrazione di fatture, perchè relative ad operazioni inesistenti, la prova della legittimità e della correttezza delle detrazioni IVA deve essere fornita dal contribuente con l’esibizione dei documenti contabili legittimanti, in mancanza della quale la detrazione va ritenuta indebita e, conseguentemente, l’ufficio può recuperare a tassazione l’imposta irritualmente detratta (Cass. n. 27341/2005; n. 18710/2005; n. 11109/2003, n. 5717/2007, n. 6378/2006)”. Nel caso specifico, peraltro, l’impugnata sentenza ha fatto applicazione di tale principio, avendo esaminato le risultanze processuali, e verificato che il contribuente aveva “beneficiato di fatture per operazioni inesistenti“, stante che era emerso, sia che i pagamenti non trovavano “conferma e coincidenza tra le due contabilità“, sia “pure che la portata utile del mezzo di trasporto indicato non era tale da giustificare le quantità di merce che si assumeva essere state vendute e trasportate”.

 

2 Per un approfondimento della sentenza si rinvia ad ANTICO, Operazioni inesistenti: la prova dell’esistenza spetta al contribuente, in www.https://www.commercialistatelematico.com.