Se il concordato liquidatorio non va a buon fine? L'inadempimento, prima e dopo la riforma del 2015

cosa accade praticamente nel caso in cui il concordato liquidatorio non raggiunga i risultati promessi, impedendo il soddisfacimento dei creditori?

 

Il concordato liquidatorio nella legge fallimentare trova espressione all’articolo 160, ove si prevede che la soddisfazione dei crediti si possa realizzare “anche attraverso la cessione di beni”.

Il Legislatore nella L.F. utilizza due espressioni diverse per le forme di rimborso dei crediti: il “pagamento” (i.e. art 182-bis, 182-ter, 186-bis l.f.), quando fa riferimento soltanto a forme di soddisfacimento dei crediti eseguibili con danaro, e il “soddisfacimento”, quando prevede che il loro rimborso possa avvenire anche con strumenti differenti dal denaro, tra i quali la cessione dei beni: ”l’imprenditore … può proporre ai creditori…a) la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma anche mediante cessione dei beni” (cfr art 160)

Il significato di “cessione dei beni” è quello di dismissione dell’intero patrimonio1 a soddisfacimento dei creditori attraverso (prevalentemente) il ricavato dalla vendita.

La cessione dei beni nella versione concordataria trova ispirazione nell’articolo 1977 c.c. da cui si distingue tuttavia per il fondamentale elemento che mentre l’articolo 1984 c.c. permette al debitore la liberazione dei suoi debiti nella sola misura in cui ha soddisfatto i creditori, nella versione concorsuale la cessione dei beni produce l’esdebitazione, spiegando quindi effetti in un raggio più ampio.

 

Ma cosa accade nel caso in cui la cessione non permetta di raggiungere i risultati promessi ed attesi nel concordato, impedendo il “soddisfacimento”?

In epoche di crisi economica come l’attuale, è frequente che le previsioni di soddisfacimento dei crediti attraverso lo strumento della cessione dei beni non performino come sperato, per l’effetto svalutativo provocato dal mercato che penalizza l’offerta, soprattutto in campo immobiliare.

Gli orientamenti sono essenzialmente due: il primo, sostenuto da Cassazione n. 6022 14 marzo 20142, dichiara l’inammissibilità della risoluzione in caso di inadempimento del concordato per cessio bonorum.

L’orientamento citato si richiama alla sentenza di Cassazione a Sezioni Unite n 1521 del 2013 secondo cui il mancato raggiungimento delle percentuali promesse non può mai costituire motivo di risoluzione, in quanto l’obbligazione del debitore si esaurisce nell’impegno a mettere a disposizione i beni ai creditori liberi da vincoli che ne impediscano la cessione o ne diminuiscano il valore.

La sentenza di Cassazione a SS.UU. aggiunge che non compete al giudice il sindacato economico della proposta e sulla correttezza dell’indicazione della misura di soddisfacimento offerta ai creditori in quanto la percentuale di pagamento eventualmente prospettata non è vincolante non essendo prescritta da alcuna disposizione.

 

A questo orientamento se ne contrappone un secondo che trae ispirazione da Cassazione 20 giugno 2011 n 13446, sostenuto principalmente dai giudici di merito tra cui, recentemente, Tribunale di Monza 16 febbraio 20153 e Tribunale di Modena 11 giugno 2014 supportati da un’ordinanza della stessa Corte di Cassazione n. 11885 del 2014; secondo tale indirizzo, il concordato con cessione dei beni è passibile di risoluzione ogni qual volta, anche prima del termine del concordato, secondo il prudente apprezzamento del giudice del merito appaia che le somme ricavabili dalla liquidazione dei beni ceduti si rivelino insufficienti a soddisfare anche in minima parte i creditori chirografari.

Anche quest’orientamento si rifà alla sentenza di Cassazione a SS.UU. n.1 521/2013 richiamando il principio da questa espresso secondo cui la causa concreta del concordato consiste nella finalità di superare la crisi aziendale, assicurando il soddisfacimento dei crediti in termini anche parziali ma non irrilevanti e in tempi ragionevoli.

 

Il confronto fra i due indirizzi, apparentemente in contrasto, fornisce il pretesto per gettare uno sguardo più approfondito all’istituto del concordato con cessione dei beni, che rappresenta un contenitore al cui interno si possono differenziare diverse fattispecie.

Appartiene alla nozione di cessione dei beni la fattispecie che si traduce in termini traslativi a ciò giungendo dalla considerazione che se è possibile, secondo l’art. 160 lett. b l.f., attribuire ai creditori, per il loro soddisfacimento, azioni di società costituite nel corso della procedura, altrettanto può prevedersi nell’ipotesi di cessione dei beni che assicuri il loro soddisfacimento attraverso il trasferimento ai creditori di tutto o parte del patrimonio immobiliare.

La fattispecie può trovare esecuzione anche attraverso la cessione dei beni ad una Newco con funzione di assuntore del concordato le cui quote siano costituite in un trust di scopo nell’interesse dei creditori concordatari4.

Nei casi descritti l’obbligazione del debitore si esaurisce con il trasferimento dei beni direttamente ai creditori o alla società veicolo destinata a realizzare il soddisfacimento, con il che è dunque evidente che il mancato raggiungimento dei livelli di soddisfacimento raffigurati nel piano non possa costituire motivo di risoluzione, in quanto il debitore ha fedelmente adempiuto all’impegno preso, costituito dalla cessione dei suoi beni.

 

Diverso è invece il caso in cui il debitore nella cessione dei beni, secondo lo schema classico del conferimento di un mandato ad un liquidatore giudiziale nominato dal tribunale, prenda un impegno vincolante riguardo alle percentuali da offrire ai creditori e dei tempi di esecuzione del concordato, ipotesi che si può verificare, per esempio, nel caso in cui nel piano sia già indicato il proponente l’acquisto la cui offerta può soltanto essere migliorata in fase di liquidazione attraverso l’avvio di procedure competitive organizzate dal liquidatore giudiziale.

In questo caso appartiene alla proposta non soltanto l’impegno di soddisfare i creditori con il ricavato dalla vendita dei beni ma anche l’indicazione dei tempi e della percentuale promessa, la cui inottemperanza costituisce effettivamente motivo di risoluzione.

Nello schema classico e più ricorrente della semplice offerta dei beni ai creditori, le dichiarazioni svolte dal debitore in ordine alle percentuali promesse e ai tempi prospettati per il pagamento costituiscono elementi puramente indicativi da utilizzare per la votazione dei creditori (così Cass. SS.UU. n 1521/2013).

In tale ipotesi il Tribunale potrà arrestare il procedimento di concordato, impedendo che la proposta giunga alla votazione del ceto creditorio, solo nel caso in cui il commissario giudiziale, prima dell’adunanza, comunichi ex art. 173 l.f. al Tribunale le proprie motivate ed oggettive obbiezioni in ordine alla realizzabilità del piano5.

 

Nel caso in cui non esistano motivi di obiettiva irrealizzabilità del piano, la valutazione della sua fattibilità economica deve essere rimessa alla votazione della platea dei creditori i quali, una volta espressa la propria adesione alla proposta, partecipano in qualche modo al rischio della realizzabilità del programma sottostante la proposta contrattuale del concordato, circostanza che sottrae loro la possibilità di richiedere la risoluzione del concordato ove questo, in fase di esecuzione, non sia pervenuto neppure a quelle percentuali di soddisfacimento minime che costituiscono il contenuto della causa concreta del concordato6.

In tali casi il concordato può trovare motivo di risoluzione, oltre che per mancato integrale pagamento dei creditori privilegiati7, per difetto nei beni ceduti delle qualità promesse ex articolo 1497 c.c., come può accadere ad esempio nell’ipotesi in cui un terreno edificabile offerto in cessione, successivamente all’omologa del concordato riveli l’esistenza di elementi inquinanti che ne diminuiscono il valore.

Quanto riportato riassume il quadro del concordato liquidatorio depositato dagli imprenditori sino a luglio 2015 che produrrà effetti sulle esecuzioni di quelli che verranno omologati alla luce dei criteri normativi vigenti anteriormente alla L 132/2015 (7/8/2015).

 

Per i concordati liquidatori le cui domande sono stati o saranno depositati dopo l’entrata in vigore della L 132/2015 la prospettazione sin qui offerta troverà un forte ridimensionamento in ragione dell’introduzione, all’ultimo comma dell’art 160, di una soglia minima del 20% di “pagamento” dei creditori chirografari.

La richiesta di pagamento voluto dalla novella come (unica) forma di rimborso del credito è d’ora in avanti tesa a condizionare l’espressione “soddisfazione mediante cessione dei beni” prevista dell’art 160 c. 1 lett. a riconducendo il concordato liquidatorio a semplice natura remunerativa.

In questo contesto non si vede infatti come possano coesistere altre forme di concordato liquidatorio al di fuori di quelle che permettono di “soddisfare” il creditore chirografario attraverso il pagamento in danaro del proprio credito nella misura minima del 20%.

L’ultimo comma dell’art. 160 in commento pare condizionare l’interpretazione anche dell’art. 186 che, pur continuando ad escludere, come ipotesi di risoluzione, “l’inadempimento di scarsa importanza”, nel futuro potrebbe permetterla anche con riferimento a casi di esecuzione di concordati che pervengano a scostamenti minimi rispetto alla soglia di pagamento del 20%.

Infatti l’art. 160 u.c. richiede che il rispetto della soglia minima sia “assicurato” dal debitore, facendo pensare che la deroga non sia per nessuna ragione contemplata.

 

L’interpretazione letterale dell’art.186 può essere conservata nel diverso caso in cui il raggiungimento della soglia minima sia letto quale requisito di fattibilità giuridica della proposta e non quale insuperabile vincolo di adempimento: solo in tale caso potrà permanere una flessibilità tra la promessa concordataria e l’esecuzione del piano sulla cui scommessa la valutazione economica della platea dei creditori può ancora giustificare una condivisione del rischio di mancato allineamento tra la promessa e l’adempimento (dovuto ad esempio a sopravvenienze passive non considerate al momento della domanda).

In ogni caso per il futuro, le ipotesi di liquidazioni traslative consentite dal principio di atipicità del concordato, espresso dall’art. 160 c. 1 lett. a, potranno conservare legittimità soltanto entro il perimetro del concordato in continuità aziendale che, ai sensi dell’art 186-bis c. 1 permette la liquidazione dei beni non funzionali alla prosecuzione dell’attività d’azienda; in questo contesto, svincolato ex art. 160 u.c. dall’obbligo di assicurare il pagamento del 20%, non rinvengo controindicazioni alla conservazione dell’orientamento giurisprudenziale che indica nella messa a disposizione del patrimonio da liquidare l’esaurimento dell’obbligazione del debitore.

Infatti l’ulteriore novità introdotta all’art. 161 c. 2 lett. e secondo cui “la proposta deve indicare l’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore” costituisce un requisito di ammissibilità della domanda che può essere soddisfatto attraverso una perizia di stima del compendio da liquidare al fine di tradurre la proposta in un elemento indicativo chiaro che possa orientare il creditore nella votazione.

 

13 novembre 2015

Gianfranco Benvenuto

 

1 La cessione parziale non sarebbe ammissibile in quanto costituirebbe una violazione del principio di responsabilità patrimoniale del debitore espressa dall’art 2740 c.c.: cfr Appello Roma 5 marzo 2013: “La cessione parziale dei beni ai creditori è ammissibile solamente nell’ambito di un concordato che favorisca la conservazione dell’impresa; essa non può, pertanto, essere prevista in un concordato esclusivamente liquidatorio ove i creditori devono potersi soddisfare sull’intero patrimonio del debitore, così come previsto dall’articolo 2740 c.c..“; contra Trib. Mantova 9 ottobre 2014.

2 Cass 14 marzo 2014 numero 6022: “Nel concordato con cessione dei beni l’imprenditore assume l’obbligo di porre a disposizione dei creditori l’intero patrimonio dell’impresa e non di garantire il pagamento dei crediti in misura percentuale prefissata a meno di un espressa previsione del senso”.

3Trib Monza 13 febbraio 2015la giurisprudenza della suprema corte ha a più riprese affermato che il concordato preventivo deve essere risolto qualora emerga che esso sia venuto meno alla sua funzione in quanto secondo il prudente apprezzamento del giudice del merito le somme ricavabili dalla liquidazione dei beni ceduti si rivelino insufficienti in base ad una ragionevole previsione a soddisfare anche in minima parte i creditori chirografari. La risoluzione può essere richiesta dai creditori e pronunciata dal tribunale prima della scadenza del termine previsto per il pagamento dei creditori quando sia evidente la mancata realizzazione degli obiettivi del piano e sia probabile in base ad una ragionevole previsione è rimesso al prudente apprezzamento del giudice che la proposta non potrà più essere adempiuta”.

4Tribunale di Bologna 14 ottobre 2014: “è meritevole di accoglimento la proposta di concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori ove l’attività di liquidazione dell’attivo sia demandata ad una Newco con funzioni di assuntore del concordato le cui quote siano costituite in un trust di scopo nell’interesse dei creditori concordatari, con nomina del commissario giudiziale nel ruolo di guardiano del trust e di un soggetto dallo stesso indicato nel ruolo di trustee”.

5Tribunale Bergamo 9 ottobre 2014:In linea di principio, non v’è dubbio che il tema dell’effettivo valore dei beni ceduti alla massa dei creditori con lo scopo di realizzare la causa del concordato preventivo (la soluzione/gestione della crisi attraverso il soddisfacimento di tutti i creditori in un lasso di tempo ragionevolmente breve) inerisca alla cd. fattibilità economica del piano e sia, quindi, devoluto alle valutazioni che la massa dei creditori esprime con il voto, favorevole o sfavorevole, alla proposta (Cass., Sezioni Unite, n. 1521/13). Tuttavia qualora il commissario abbia l’evidenza di una sopravvalutazione dei beni di entità significativa, e comunque tale da determinare una prognosi di certa impossibilità di soddisfacimento dei creditori chirografari, e sia in grado di dimostrarla previo ricorso all’accertamento tecnico eseguito da un c.t.u. di cui abbia chiesto ed ottenuto la nomina da parte del giudice delegato, il tribunale, verificato che gli accertamenti degli organi della procedura non si prestino a rilievi di incoerenza (e per fare ciò vanno considerate anche le eventuali deduzioni e contestazioni del debitore), non può che prendere atto del fatto che, in questa ipotesi, il tema del valore dei beni ceduti alla massa dei creditori incide direttamente sulla cd. fattibilità giuridica del concordato e, come tale, rientra nella sua sfera di cognizione.

6In Cass SS. UU. 21 gennaio 2013 n 1521si legge che:“la fattibilità economica è legata ad un giudizio prognostico, che fisiologicamente presenta margini di opinabilità ed implica la possibilità di errore, che a sua volta si traduce in un fattore di rischio per gli interessati. È pertanto ragionevole, in coerenza con l’impianto generale dell’istituto, che si facciano esclusivo carico i creditori una volta che vi sia stata corretta informazione sul punto“.

Cass 4 luglio 2014 n. 15345 così dispone: “in sede di omologazione il sindacato del tribunale non può estendersi alla probabilità di insuccesso del concordato approvato dai creditori e l’omologazione non può essere negata neppure quando al giudizio in tribunale sia prevedibile l’inadempimento del concordato”.

7 Nei casi in cui non sia stato previsto il loro degrado al chirografo attraverso una attestazione ex articolo 160 comma 2 l.f..