L'assoluzione penale è un elemento di prova critica nel processo tributario

l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perchè il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario

Con la sentenza n.21966 del 28 ottobre 2015, la Corte di Cassazione, nel confermare la netta separazione tra processo penale e processo tributario, ha ritenuto che l’assoluzione in sede penale costituisce un elemento di prova critica nel processo tributario. Nel caso di specie, il giudice d’appello non ha attribuito valore vincolante, nel giudizio tributario, alla sentenza resa nel giudizio penale (infatti, gli stessi giudici regionali hanno escluso espressamente il valore di giudicato penale della sentenza di assoluzione cui hanno fatto riferimento, precisando che la stessa poteva però essere “debitamente tenuta in considerazione quale elemento probante, in specie sull’accertamento dei fatti“). Cosi facendo, osserva la Corte di Cassazione la “C.T.R. si è conformata al principio costantemente affermato da questa Corte, per cui, ferma restando l’inoperatività, nel giudizio tributario, dell’efficacia vincolante del giudicato penale ex art. 654 cod. proc. pen. (stanti le diverse regole probatorie vigenti nei due processi), la decisione penale può comunque costituire un elemento di prova critica, sulla base dei fatti accertati nel relativo giudizio (ex multis, Cass. n. 4924 del 2013)”.

Considerazioni

La sentenza che si annota, si pone sulla scia di precedenti pronunce che continuano a confermare la separazione netta tra processo tributario e processo penale, pur ritenendo legittimo che il giudice di appello possa conferire conferire alla sentenza di assoluzione penale un elemento di prova critica.

Proprio di recente, con la sentenza n. 6211 del 27 marzo 2015 (ud. 24 novembre 2014) la Corte di Cassazione aveva affermato lo stesso principio, aggiungendo però un ulteriore tassello : il giudice tributario deve offrire ed esplicitare una adeguata motivazione. La Suprema Corte, di fronte a quanto affermato dal giudice di appello, che conferisce “al giudicato penale una funzione orientativa del giudizio, pur prendendo atto che che nel processo tributario la sentenza penale può costituire semplice indizio od elemento di prova critica in ordine ai fatti in essa eventualmente accertati sulla base delle prove raccolte nel relativo giudizio (Cass. 27 febbraio 2013, n. 4924)”, rileva che lo stesso giudice di merito, tuttavia, “non esplicita, in relazione ai fatti allegati dall’appellante, quale sia l’ipotizzata funzione orientativa del giudizio, lasciando così un vuoto nella motivazione che corrisponde al vizio denunciato con il motivo in esame”.

L’autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale risiede nel fatto che nel primo vigono limitazioni della prova (come il divieto di quella testimoniale – art.7, del D.Lgs. n. 546 del 1992) e, sono utilizzabili anche presunzioni fiscalmente idonee ma non idonee nel processo penale.

Ne deriva che non sussiste nessuna efficacia automatica del giudicato penale nel processo tributario, restando salva però la possibilità per il giudice tributario, nell’esercizio dei propri autonomi poteri, di verificarne la rilevanza nel suo ambito specifico.

Nessuna automatica autorità di cosa giudicata può, quindi attribuirsi, nel separato giudizio tributario, alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente.

Sul punto, per la chiarezza dei principi affermati, ci piace ricordare la sentenza n.19026 del 10 settembre 2014, con cui la Suprema Corte ha fissato una serie di paletti, in ordine all’efficacia vincolante del giudicato penale nel giudizio civile o amministrativo, sancita dall’art. 654 c.p.p., subordinandola ad una duplice condizione:

a) che il giudicato stesso sia fatto valere nei confronti di chi abbia partecipato al giudizio penale;

b) che la legge civile non ponga limiti alla prova del diritto controverso”.

Pertanto, osserva la Corte, nel processo tributario:

  • anche la sentenza penale irrevocabile di assoluzione con formula piena, emessa “perché il fatto non sussiste”, non spiega automaticamente efficacia di giudicato, sebbene i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’amministrazione finanziaria abbia proposto l’accertamento nei confronti del contribuente (Cass. 5720/07), in quanto l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente, qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario (Cass. 8129/2012)”;

  • il giudice, nel processo tributario, non può, pertanto, limitarsi a rilevare l’esistenza di sentenze penali in materia di reati, tributari, recependone – acriticamente – le conclusioni assolutorie o di condanna, ma è tenuto ad operare un’autonoma valutazione di dette pronunce, nel quadro complessivo degli elementi di prova acquisiti nel corso dell’intero giudizio (Cass. 10945/2005; Cass. 5720/2007; Cass. 20860/2010; Cass.19786/2011);

  • la valutazione della prova operata, ai propri fini, dal giudice penale non vincola necessariamente ed automaticamente il giudice tributario che, a differenza del primo, può utilizzare, anche in materia di disponibilità e conseguente tassabilità di proventi illeciti, valide presunzioni. In questo senso si era, d’altronde, già espressa questa Suprema Corte (Cass. n. 16176/2000; cfr. Cass. 12041/2008)”.

Ricordiamo che la Corte di Cassazione, più volte, nel corso di questi anni, ha avuto modo di ribadire il suo pensiero.

  • Con l’ordinanza n. 18233 del 24 ottobre 2012 (ud. 10 ottobre 2012) la Suprema Corte ha affermato che “il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 cod. proc. civ.) deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 3724 del 17/02/2010, n. 20860 del 08/10/2010)”. Infatti, “nel processo tributario, il giudice può fondare il proprio convincimento in materia di responsabilità fiscale anche su elementi presuntivi, con una sua autonoma valutazione del quadro indiziario complessivo esaminato dal giudice penale, poichè nè le sentenze penali hanno efficacia di giudicato nel processo tributario, nè in questo la legge pone limitazioni (salvo che per le prove orali, non ammesse D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7) alla prova della situazione soggettiva controversa. Ne discende che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di sentenze penali in materia di reati tributari, recependone, senza motivazione critica, le conclusioni assolutorie (V. pure Cass. Sentenza n. 20860 del 08/10/2010, n. 12041 del 2008), mentre ciò non è stato svolto nel caso in esame”.

  • Con l’ordinanza n. 11490 del 14 maggio 2013 la Corte di Cassazione ha confermato che non è consentito al giudice di appello di respingere l’appello dell’Amministrazione finanziaria “sulla scorta della mera acritica ricezione degli esiti dei processo penale e senza chiarire in alcun modo la ragione per la quale detti esiti potessero avere rilevanza probatoria nell’alveo del procedimento relativo all’accertamento dell’obbligazione tributaria concernente l’avvenuta detrazione di costi che si assumono essere inesistenti e nulla ha detto – inoltre – con riferimento alle contestate omissioni di fatturazione di operazioni di vendita. Non par dubbio che siffatte motivazioni del provvedimento risultino apodittiche ed insufficienti a consentire a questa Corte di assolvere al dovere di controllo della coerenza logica del provvedimento giudiziale, a proposito di decisive circostanze oggetto di controversia tra le parti”;

  • Con l’ordinanza n. 15190 del 18 giugno 2013 (ud. 9 maggio 2013) la Corte di Cassazione ha confermato che costituisce principio consolidato quello secondo cui “l’efficacia vincolante del giudicato penale non opera nel processo tributario, poichè in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna” (Cass. nn. 6337/2002, 10945/2005 e 2499/2006);

  • Con la sentenza n. 20496 del 6 settembre 2013 (ud. 10 aprile 2013) la Corte di Cassazione ha confermato chenessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorchè i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, comma 4, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sè inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perchè il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario” (ex multis, Cass. n. 8129 del 2012). Infatti, “il giudice può fondare il proprio convincimento anche su elementi presuntivi, con una sua autonoma valutazione rispetto a quella del giudice penale; ne discende la legittimità della tassazione dei proventi di attività illecite anche quando dalla sentenza penale di condanna non è emerso in modo certo che il denaro in questione sia entrato nella disponibilità dell’interessato” (Cass. n. 12141 del 2008).

  • Con la sentenza n. 25467 del 13 novembre 2013 (ud. 23 settembre 2013) la Corte di Cassazione ha ribadito che “nessuna automatica autorità di cosa giudicata può più attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati ributari, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente. Pertanto, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 cod. proc. civ.), deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare”.

  • Con la sentenza n. 27822 del 12 dicembre 2013 (ud. 22 maggio 2013) la Corte di Cassazione ha confermato, secondo il consolidato orientamento della Corte, che “ai sensi dell’art. 654 c.p.p., che ha implicitamente abrogato il D.L. n. 429 del 1982, art. 12, (convertito nella L. n. 516 del 1982), poi espressamente abrogato dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 25, l’efficacia vincolante del giudicato penale non opera automaticamente nel processo tributario, poichè in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto della prova testimoniale) e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Nessuna automatica autorità di cosa giudicata può quindi attribuirsi, nel separato giudizio tributario, alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente. Ne consegue che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 cod. proc. civ.) deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare” (ex multis, Cass. n. 3724 del 2010).

  • Con la sentenza n. 7651 del 2 aprile 2014 (ud. 27 gennaio 2014) la Corte di Cassazione ha ribadito che nessuna automatica autorità di cosa giudicata può più attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente. Pertanto, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 cod. proc. civ.), deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui esso è destinato ad operare” (cfr. Corte Cass. 5 sez. 21.6.2002 n. 9109. Vedi: Corte Cass. 5 sez. 8.3.2001 n. 3421; id. 25.1.2002 n. 889; id. 19.3.2002 n. 3961; id. 24.5.2005 n. 10945; id. 12.3.2007 n. 5720; id. 18.1.2008 n. 1014).

  • Con la sentenza n. 431 del 14 gennaio 2015 (ud. 24 aprile 2014) la Corte di Cassazione ha confermato che l’assoluzione penale non copre l’accertamento fiscale. Nel caso di specie era in gioco una fattura ritenuta relativa ad operazioni inesistenti da parte del Fisco, per la quale, nel giudizio penale, il contribuente era stato assolto, non sussistendo elementi probatori circa la presunta falsità della stessa.La Corte, dopo aver rilevato che nel caso in esame l’Amministrazione finanziaria ha indicato puntualmente la serie di elementi presuntivi della fittizietà dell’operazione, ha affermato che “il richiamo al positivo esito del processo penale avviato nei confronti dell’amministratore della società L.C., non appare ammissibile per mancanza di autosufficienza del motivo, che non riporta puntualmente il contenuto della sentenza del GP richiamata”. Proseguono i giudici, ribadendo che tutto ciò comunque non sarebbe risultato decisivo, alla luce di un convincente e conforme orientamento della Corte di Cassazione secondo il quale “In materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorchè i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono limiti in materia di prova posti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4 e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sè inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perchè il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario (Cass. Sent. n. 8129/2012)”.

  • Con la sentenza n. 2938 del 13 febbraio 2015 (ud. 9 gennaio 2015) della Corte di Cassazione ha confermato la netta separazione tra giudizio penale e giudizio tributario, ribandendo che l’assoluzione penale non vincola il giudice tributario, che è libero di pervenire ad una soluzione diversa. La Commissione Tributaria Regionale del Lazio non ha violato il principio della libera valutazione, nel giudizio tributario, del giudicato penale; in realtà, nella concreta fattispecie, la CTR ha proprio applicato il consolidato principio per cui una penale sentenza non può far stato nel giudizio tributario, costituendo semplice elemento di prova; un elemento di prova che però, appunto liberamente valutandolo, nell’ipotesi pervenuta all’esame, ha considerato non concludente in confronto alle contrarie presunzioni ritenute gravi, precise e concordanti (Cass. sez. trib – n. 8129 del 2012; Cass. sez. trib. n. 19786 del 2011)”.

30 novembre 2015

Gianfranco Antico