La corretta deducibilità degli ammortamenti in base alle regole civilistiche

La deducibilità degli ammortamenti dal reddito d’impresa deve seguire le inderogabili regole civilistiche di redazione del bilancio e la percentuale dell’ammortamento non può variare in relazione alle diverse annualità, ad esempio un anno la percentuale dimezzata e l’anno successivo la percentuale intera.

La Corte di Cassazione, con la sentenza 20680 del 14 ottobre 2015, ha affrontato un caso in tema di corretta deducibilità degli ammortamenti.

 

Il caso: un contribuente adottava percentuali di ammortamento non uniformi di anno in anno

La ripresa a tassazione era fondata sulla circostanza che la società contribuente, mentre, fino al 31.12.1998, aveva adottato una percentuale di ammortamento dei beni strumentali pari al 50% dei coefficienti previsti dal d.m. 31.12.1987, a partire dalla data dell’1 gennaio 1999 (coincidente con la cessazione del beneficio dell’esenzione decennale da Irpeg ed Ilor), aveva, senza fornire giustificazione di sorta, elevato la percentuale di ammortamento dei beni medesimi al 100%, così adottando un comportamento contrario:

  • all’obbligo di redigere il bilancio con chiarezza e verità ex art. 2423 c.c.
  • ed al principio, sancito dall’art 2426 c.c., secondo cui il costo delle immobilizzazioni deve essere ammortizzato in modo sistematico e tendenzialmente uniforme, in relazione alla residua possibilità di utilizzazione del bene.

L’adita Commissione provinciale accolse parzialmente il ricorso, con decisione, tuttavia, poi riformata dalla Commissione regionale, che, accogliendo il ricorso principale della società e respingendo quello incidentale dell’Agenzia, dispose l’integrale annullamento dell’atto impugnato.

In merito al recupero sopra evidenziato i giudici di appello ritennero, in particolare, che, stante l’insindacabilità delle scelte aziendali di determinazione del risultato del bilancio di esercizio operate nel rispetto di previsioni normative, il censurato comportamento della società era legittimo, in quanto conforme alla normativa vigente ed in particolare all’art. 2426, ult. comma, c.c..

Tanto, sul presupposto che l’omessa annotazione della variazione del piano di ammortamento nella nota integrativa non inficiava la correttezza e la validità del bilancio, non consentiva una ripresa a fini impositivi, né tradiva la ricorrenza di finalità elusive o di evasione d’imposta.

 

Il ricorso per cassazione dell’Agenzia delle Entrate

Avverso la sentenza di appello, l’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso per cassazione, deducendo in particolare

“violazione e falsa applicazione degli artt. 67 e 75 (ora 102 e 109) d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917 e degli artt. 2423, 2426, secondo comma, e dell’art. 2427, primo comma, n. 144, c.c., e dell’art. 2427, primo comma, n. 14, c.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3. c.p.c. ed all’art. 62, primo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546”.

 

Formulando corrispondente quesito, l’Agenzia ha quindi censurato la decisione impugnata per non aver riscontrato l’illegittimità del comportamento di una società per azioni che, in corrispondenza con la cessazione dell’esenzione Irpeg ed Ilor, vari, nella redazione del bilancio di esercizio, la misura percentuale delle quote di ammortamento dei propri beni strumentali, elevandola fino al limite massimo consentito dalla normativa fiscale senza illustrare le giustificazioni economiche della variazione nella nota integrativa redatta ai sensi dell’art. 2427 c.c..

Con la seconda articolazione del medesimo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate censurava poi la decisione impugnata, sul piano motivazionale, con particolare riguardo alla ritenuta esclusione d’intento evasivo.

Il primo profilo della doglianza, secondo i giudici di legittimità, era dunque fondato ed il relativo accoglimento comportava pertanto l’assorbimento della relativa seconda articolazione.

Al riguardo, evidenziano infatti i giudici, deve osservarsi che la stessa Corte ha già affermato, peraltro in analoghe controversie tra le medesime parti (cfr., tra le altre, Cass. nn. 451/15, 22016/14, 16478/14), il principio secondo cui, ai fini della determinazione del reddito di impresa, la deduzione delle quote di ammortamento del costo dei beni strumentali deve avvenire in base alle inderogabili regole civilistiche di redazione del bilancio, operanti, in difetto di disposizioni specifiche di segno contrario, anche a fini fiscali.

Con la conseguenza che, in sede di dichiarazione, il contribuente non può procedere discrezionalmente alla determinazione delle quote di ammortamento, giacché, stante la previsione dell’art. 2426, coma 1 n. 2, c.c., l’ammortamento deve essere necessariamente improntato a criterio di sistematicità e le quote di ammortamento, dovendo essere rapportate in modo tendenzialmente uniforme alla durata normale di utilizzazione dei beni strumentali, non possono, in assenza di adeguata esposizione della relativa giustificazione economica nella nota integrativa di bilancio, variare in relazione alle diverse annualità.

Atteso dunque che, nemmeno in sede contenziosa, la società contribuente risultava aver fornito giustificazione all’operata variazione, i giudici di legittimità fondavano la propria decisione sulle seguenti notazioni:

  1. sul rilievo che ai criteri di cui all’art. 2426 c.c. (e, dunque, a quello indicato al relativo comma 1, numero 2) è stato specificamente riconosciuto carattere d’inderogabilità, in considerazione della funzione loro demandata di garantire la trasparenza del bilancio e la sua leggibilità e controllabilità da parte dei soci e dei terzi (Cass. 23976/2004 e Cass. 4874/2006);
  2. sull’osservazione che, sul piano precipuamente fiscale, l’art. 67 d.p.r. 917/1986 (applicabile ratione temporis), lungi dal rimettere la gestione degli ammortamenti alla discrezionalità del contribuente e dal costituire deroga al principio sopra esposto, vincola strettamente detta gestione, anche sotto il profilo della “competenza”, a rigorosi parametri quantitativi, temporali e di bilancio, limitandosi, al comma 4, a porre limiti alla facoltà del contribuente di recuperare quote di ammortamento non recuperate nell’esercizio competenza;
  3. sulla considerazione, infine, che la finalità delle norme che, in materia di imposte sui redditi, disciplinano l’ammortamento dei costi per beni strumentali è quella di garantire la corretta rappresentazione del reddito d’impresa, tanto in relazione al principio di competenza quanto in rapporto all’autonomia delle obbligazioni tributarie relative a ciascun periodo di imposta, e, quindi, quella di assicurare l’esatta determinazione della base imponibile nel caso di deduzione di spese afferenti beni strumentali il cui impiego e sfruttamento sia durevole nel tempo; cosicché l’ingiustificata adozione di un regime di ammortamento diverso da quello prescritto, implicando una non consentita deduzione, si traduce in indebita alterazione della stessa base imponibile (v. Cass. 25758/14).

In conclusione, come chiarito in via ormai consolidata dalla giurisprudenza di legittimità, l’ammortamento non può che uniformarsi al criterio di sistematicità posto dall’art. 2426 c.c., n. 2, sulla base di un piano di ammortamento che indichi il valore da ammortizzare (differenza tra costo dell’immobilizzazione e suo presumibile valore residuo al termine del periodo di vita utile), residua possibilità di utilizzazione e criteri di ripartizione del valore da ammortizzare, tendenzialmente costituiti da quello a quote costanti, che costituisce l’ordinario criterio di imputazione, o a quote decrescenti.

Ed invero, in difetto di disposizioni specifiche di segno diverso, sono pur sempre le disposizioni civilistiche di redazione del bilancio a valere anche ai fini delle determinazioni fiscali.

Non può dunque ritenersi che l’art. 102, c. 2, TUIR stabilisca un criterio di determinazione dell’ammortamento per l’esercizio di competenza, dal punto di vista tributario, variabile e diverso da quanto il contribuente è tenuto a dichiarare in conformità alle norme civilistiche di redazione del bilancio.

Oltre al principio generale di chiarezza e verità del bilancio, espresso dall’art. 2423 c.c., viene in rilievo, come già evidenziato, la specifica disposizione dell’art. 2426 c.c., n. 2, secondo cui il costo delle immobilizzazioni, materiali ed immateriali, la cui utilizzazione è limitata nel tempo dev’essere sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione alla residua possibilità di utilizzazione.

I criteri di ripartizione del valore da ammortizzare devono dunque assicurare una razionale e sistematica imputazione del valore dei cespiti durante la stimata vita utile dei medesimi, onde eventuali modifiche dei criteri di ammortamento dei coefficienti applicati devono essere giustificate in forza di una valida ragione economica e specificamente motivate nella nota integrativa.

Le quote di ammortamento non possono infatti essere determinate e variate in modo arbitrario dalla società, ma devono essere rapportate, in modo tendenzialmente uniforme, alla durata normale di utilizzazione dei beni strumentali, in quanto l’art. 67 (adesso 102) TUIR non introduce una deroga alle disposizioni del codice civile in materia di redazione del bilancio, le quali sono destinate a valere anche ai fini delle determinazioni fiscali.

L’obbligo della continuità di applicazione dei criteri di valutazione si pone dunque come un esplicito limite alla discrezionalità tecnica dei redattori, al fine di consentire la ricostruzione della dinamica societaria attraverso la lettura comparatistica del bilancio di esercizio e della contabilità nella loro successione annuale ed eliminare l’utilizzo delle c.d. “politiche di bilancio” al fine di occultare gli effettivi risultati dell’esercizio, tramite un cambiamento artificioso dei criteri valutativi.

In particolare non possono ritenersi casi eccezionali che legittimino il mutamento dei criteri valutativi e la deroga al principio di continuità, quelli legati ad eventuali esigenze della società in tema di ottimizzazione del carico fiscale sul reddito imponibile.

A proposito invece di legittime, differenti, modalità di ammortamento, si sottolinea infine che, sul tema degli ammortamenti, la Legge di Stabilità, in corso di definizione, dovrebbe prevedere, a quanto risulta dalle prime notizie già apparse sugli organi di stampa, che,per i soggetti titolari di reddito d’impresa e per gli esercenti arti e professioni che effettuino investimenti in beni materiali strumentali nuovi dal 15 ottobre 2015 al 31 dicembre 2016, con esclusivo riferimento alla determinazione delle quote di ammortamento, il costo di acquisizione sia maggiorato del 40%.

 

Solo per gli investimenti effettuati nello stesso periodo sopra previsto, dovrebbero essere altresì maggiorati del 40% i limiti rilevanti per la deduzione delle quote di ammortamento dei beni di cui all’articolo 164, comma 1, lettera b, del citato testo unico.

 

25 novembre 2015

Giovambattista Palumbo