Legittima la presunzione di distribuzione di utili (in nero) ai soci ma il giudizio sui soci va sospeso, occorre attendere quello sulla società

analisi delle recenti sentenze di Cassazione che trattano della distribuzione di utili in nero nelle società a ristretta base proprietaria: ecco quando scattano le presunzioni contro i soci dopo l’accertamento del Fisco contro la società, e analisi di alcune opzioni per la difesa dei singoli soci

Con cinque recenti sentenze, la Corte di Cassazione torna ad occuparsi di accertamenti in capo ai soci, per effetto degli atti impositivi notificati alle società a ristretta base azionaria.

In particolare, da una parte, con le sentenze nn.10897 e 10898 del 27 maggio 2015, i supremi giudici hanno confermato che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non risultando tuttavia a tal fine sufficiente nè la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili, nè il definitivo accertamento di una perdita contabile, circostanza che non esclude che i ricavi contabilizzati, non risultando nè accantonati nè investiti, siano stati distribuiti ai soci. Tale prova contraria, come affermato, non risulta essere stata fornita dal contribuente”.

Dall’altra parte, con le ordinanze nn.9755 e 9758 del 13 maggio 2015, e con l’ordinanza n.18062 del 14 settembre 2015, preso atto del costante l’indirizzo giurisprudenziale che esclude che si possa ravvisare nei casi di specie un necessario litisconsorzio tra soci e società (per tutte, si veda Cass. Sez. 5, Sentenza n. 426 del 10/01/2013), “appare invece calzante l’assunto secondo il quale – nella situazione dianzi riassunta ed alla luce del costante indirizzo di codesta Corte in materia di necessaria sospensione del processo pregiudicato – il giudicante non avrebbe potuto ritenere automaticamente definita la questione afferente alle obbligazioni individuali dei soci”. La Corte, a supporto, richiama la sentenza n. 2214/2011 secondo cui: “L’accertamento tributario nei confronti di una società di capitali a base ristretta, nella specie riferito ad utili extracontabili, costituisce un indispensabile antecedente logico-giuridico dell’accertamento nei confronti dei soci, in virtù dell’unico atto amministrativo da cui entrambe le rettifiche promanano, con la conseguenza che, non ricorrendo, com’è per le società di persone, un’ipotesi di litisconsorzio necessario, in ordine ai rapporti tra i rispettivi processi, quello relativo al maggior reddito accertato in capo al socio deve essere sospeso ai sensi dell’art. 295 c.p.c., applicabile nel giudizio tributario in forza del generale richiamo del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1” (negli stessi termini Sez. 6-5, Ordinanza n. 1865 del 08/02/2012 e, con percorso logico assimilabile, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 24049 del 16/11/2011).

LE QUESTIONI

Con le sentenze sopra indicate, la Corte affronta sostanzialmente le due questioni di maggior rilievo che investono la presunzione di distribuzione degli utili nelle società a ristretta base azionaria: da una parte la legittimità o meno della rettifica in capo ai soci di capitali, dall’altra parte la sospensione o meno del processo relativo alla posizione del socio fino a quando non si definisca la pregiudiziale societaria.

La prima questione

La prima questione (la legittimità della presunta distribuzione in capo ai soci degli utili non contabilizzati da parte delle società a ristretta base azionaria, che non abbia optato per il regime di trasparenza di cui all’art. 116 del T.U. n. 917/86), è ormai risolta favorevolmente all’Amministrazione finanziaria.

Fra i precedenti di rilievo segnaliamo le sentenze più recenti sull’argomento.

  • Con la sentenza n. 15334 del 19 giugno 2013 (ud 24 aprile 2013) la Corte di Cassazione ha ritenuto ancora una volta legittima la presunzione di distribuzione degli utili cd. extrabilancio ai soci. La Corte si è adeguata al principio costantemente ribadito secondo cui “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci, degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, per essere stati, invece, accantonati dalla società ovvero da essa reinvestiti, non risultando tuttavia a tal fine sufficiente nè la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili nè il definitivo accertamento di una perdita contabile, circostanza che non esclude che i ricavi non contabilizzati, non risultando nè accantonati nè investiti, siano stati distribuiti ai soci” (sentenza n. 18640 del 08/07/2008; ordinanza n. 17928 del 18/10/2012; sentenza n. 9519 del 22/04/2009). In particolare, è stato ritenuto che nel caso di società a ristretta base sociale, “è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, la quale non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poichè il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale. Affinchè, però, tale presunzione possa operare occorre, pur sempre, sia che la ristretta base sociale e/o familiare – cioè il fatto noto alla base della presunzione – abbia formato oggetto di specifico accertamento probatorio, sia che sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, il quale costituisce il presupposto per l’accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi (così Cass. n. 29605 del 29/12/2011)”.

  • Con la sentenza n. 20806 dell’11 settembre 2013 (ud. 11 luglio 2013) la Corte di Cassazione ha legittimato, in presenza di società a ristretta base azionaria, l’imputazione ai soci degli utili extracontabili.In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva … la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non risultando tuttavia a tal fine sufficiente nè la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili, né il definitivo accertamento di una perdita contabile, circostanza che non esclude che i ricavi contabilizzati, non risultando nè accantonati né investiti, siano stati distribuiti ai soci”. Tale principio sussistente “nella più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. 5076/2011, 8954/2013), ma la sua declinazione decisoria impone il riscontro, conseguente ad un accertamento sulle movimentazioni finanziarie ovvero gli atti giuridico-economici di una società ovvero dei suoi soci, che vi sia stata formazione di utili non contabilizzati, da tale circostanza scattando la citata presunzione distributiva e la correlata tassazione individuale pro parte”.

Principi confermati nel corso di quest’anno, con l’ordinanza n. 5327 del 18 marzo 2015 (ud. 19 febbraio 2015), con cui la Corte di Cassazione ha aderito, ancora una volta, all’orientamento giurisprudenziale consolidato, secondo cui “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria, in caso di accertamento di utili non contabilizzati, opera la presunzione di attribuzione pro quota ai soci degli utili stessi, salva la prova contraria e la dimostrazione che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti” (Cass. nn. 16885/03, 10951/02 e 7174/02), sicchè “è legittima la presunzione di attribuzione pro quota ai soci, nel corso dello stesso esercizio annuale, degli utili extra bilancio prodotti da società di capitali a ristretta base azionaria e tale presunzione – fondata sul disposto del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), – induce inversione dell’onere della prova a carico del contribuente (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 18032 del 24/07/2013; Sez. 5, Sentenza n. 1924 del 29/01/2008; n. 20851/05, n. 6780/03, n. 7218/01)”.

La seconda questione

In ordine alla seconda questione relativa alla sospensione dell’atto presupposto, rileviamo che da ultimo con l’ordinanza n. 18062 del 14 settembre 2015 la Corte di Cassazione ha confermato l’orientamento recentemente assunto, secondo cui l‘accertamento nei confronti di una società di capitali a base ristretta costituisce un indispensabile antecedente logico-giuridico dell’accertamento nei confronti dei soci, con la conseguenza che il processo relativo al maggior reddito accertato in capo al socio deve essere sospeso.

E quindi costituendo l’accertamento societario atto presupposto per l’accertamento nei confronti del socio, il giudice, ai sensi dell’art. 295 del C.p.c., deve disporre la cd. sospensione necessaria.

1 ottobre 2015

Roberto Pasquini