Il trasferimento della licenza taxi non è una cessione d’azienda! Lo dice la Commissione tributaria di Milano

non è configurabile come compenso da cessione d’azienda il corrispettivo percepito da un taxista per la cessione della licenza ad un soggetto subentrante

 

I controlli fiscali sui trasferimenti delle licenze dei taxi sono iniziati all’incirca nel 2007, sulla base di un articolato percorso d’indagine elaborato dall’Ufficio analisi fenomeni evasivi della Direzione Centrale dell’Agenzia delle entrate, con il quale era stato evidenziato che tali trasferimenti devono essere trattati fiscalmente alla stregua di cessioni d’azienda e tassati secondo la relativa disciplina. La prassi degli operatori del settore sino ad allora, invece, era proprio quella di non dichiarare gli importi percepiti per il trasferimento della licenza al soggetto subentrante e ovviamente non tassarli.

Della questione si è recentemente occupata la C.T. Prov. di Milano, con la «singolare» sentenza 1886/8/15, che merita un approfondimento. Secondo i giudici milanesi, infatti, la scrittura con la quale l’intestatario della licenza taxi s’impegna a richiedere al Comune il trasferimento del titolo amministrativo all’altro contraente della scrittura, a fronte di una contropartita in denaro, non configura una cessione d’azienda, ma un contratto atipico tra il titolare della licenza ed il soggetto subentrante.

 

In passato, la giurisprudenza di merito ha stabilito che il trasferimento della licenza di taxi deve considerarsi alla stessa stregua di una vera e propria cessione d’azienda, che impone al cedente di presentare la dichiarazione dei redditi, esponendo come reddito il valore della plusvalenza conseguita con il predetto trasferimento. Se il taxista omette la dichiarazione, l’Ufficio è legittimato a procedere all’accertamento induttivo, avvalendosi di dati e notizie comunque raccolti e utilizzando anche presunzioni semplici (C.T. Reg. di Roma, sentenza del 20 luglio 2011, numero 234/29/11.).

In un’altra occasione, invece, è stato stabilito che la cessione da padre a figlio della licenza del servizio taxi si presume a titolo gratuito, non generando quindi alcuna plusvalenza imponibile (C.T. Reg. Roma, sentenza 2 febbraio 2011 n. 24/6/11).

La Cassazione – a quanto consta – non si è ancora pronunciata apertamente sulla questione. Tuttavia, con la sentenza 16836/2014, ha sostanzialmente confermato l’annullamento di un atto impositivo, atteso che, nel caso di specie, l’Ufficio si era limitato ad affermare l’omessa indicazione, da parte del contribuente, di una plusvalenza derivante dalla cessione della licenza di taxi, senza peraltro precisare a quale delle ipotesi di “redditi diversi” fosse riconducibile la cessione della licenza di taxi, omettendo di qualificare l’oggetto di tale negozio ed, in particolare, di indicare se detta cessione configurasse, o dovesse ritenersi equiparabile, alla cessione di azienda.

 

Con la pronuncia in oggetto – sebbene riguardante l’ambito dell’imposta di registro, a differenza di tutte le sentenze sopra richiamate che attengono le imposte dirette ed, in particolare, le plusvalenze ai fini Irpef – il collegio milanese ha osservato che la licenza taxi costituisce un provvedimento amministrativo comunale e, quindi, non può essere oggetto di accordi tra privati, atteso che un contratto di diritto privato avente ad oggetto un provvedimento rientrante nella discrezionalità della pubblica amministrazione sarebbe radicalmente nullo per impossibilità dell’oggetto (art. 1346 C.C.) o per contrarietà della causa all’ordine pubblico e a norme imperative (art. 1343 C.C.).

A supporto di ciò, è stato evidenziato che, infatti, nel caso di specie, il regolamento comunale consentiva al titolare della licenza soltanto di indicare il soggetto subentrante, il quale avrebbe dovuto essere fornito dei requisiti normativamente previsti per poter subentrare nella licenza.

 

In regione di quanto poc’anzi espresso, secondo il collegio di merio, il “passaggio” della licenza dal titolare al subentrante non poteva configurarsi come una cessione d’azienda, perché con il contratto non era prevista alcuna cessione di beni, dovendosi escludere, per quanto sopra indicato, che la licenza taxi possa costituire un bene, inteso come cosa che possa essere oggetto di diritti, atteso che la licenza taxi non può mai essere oggetto del diritto soggettivo di un privato.

Il contratto contestato, quindi, doveva correttamente qualificarsi quale contratto atipico (secondo quanto previsto dall’art. 1322 C.C.) concluso fra titolare della licenza ed aspirante al subentro, volto a realizzare un interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento, in quanto finalizzato ad agevolare il subentro nella licenza di taxi secondo la prescrizione del regolamento comunale.

 

La pronuncia appare quantomeno “singolare” sotto alcuni profili. Innanzitutto, i giudici milanesi concludono, affermando di non escludere, in senso assoluto, l’assoggettabilità ad imposta di registro del contratto in oggetto, pur dovendo escludere, invece, che lo stesso costituisca una cessione di azienda.

Già questo primo punto risulta alquanto lacunoso: il collegio sostiene che la cessione della licenza taxi non costituisca una cessione d’azienda, ma non chiarisce come diversamente può inquadrarsi ai fini fiscali, posto che la ritenuta qualificazione del contratto come atipico ha rilievo ai solo fini civilistici.

In secondo luogo, qualche perplessità desta anche il ragionamento circa la “non trasferibilità” della licenza di taxi, ai fini della configurazione della cessione d’azienda: è ovvio che la licenza sia un provvedimento amministrativo soggetto alle regole di diritto pubblico e, quindi, anche revocabile dall’amministrazione, ma è altresì palese che, nel momento in cui il titolo viene trasferito dal titolare al subentrante, quest’ultimo acquisisce il diritto di esercitare l’attività di conducente di taxi (al posto del suo predecessore), diritto per il quale, salvo casi di successione familiare, avrà certamente corrisposto una somma al cedente. Pare, insomma, che il trasferimento della licenza taxi sia ben possibile e che ciò sia sufficiente ad integrare i presupposti per una cessione d’azienda.

Infine, sotto il profilo dell’imposta di registro, che è poi quello oggetto della pronuncia in commento, ed in relazione al quale, di fatto, i giudici di merito non hanno fornito indicazioni sul trattamento applicabile, deve ritenersi che l’atto di trasferimento della licenza sia assoggettabile all’aliquota residuale del 3% di cui all’art. 9 della Tariffa, parte I, allegata al DPR 131/86.

10 ottobre 2015

Alessandro Borgoglio