I soggetti dei delitti contro la Pubblica Amministrazione | Parte 1

iniziamo un percorso ragionato di approfondimenti in tema di reati contro la Pubblica Amministrazione per fornire ai lettori del Commercialista Telematico un quadro il più esaustivo e chiaro possibile (a cura di: Valeria Montesarchio, Massimiliano Giua e Daniele Corradini, che ringraziamo per la loro cortese disponibilità)

I soggetti dei delitti contro la Pubblica Amministrazione: premessa

delitti contro la pubblica amministrazioneCome noto, l’esigenza di dare maggiore impulso alla strategia di contrasto ai fenomeni illeciti nella Pubblica Amministrazione1, imposta da formali impegni assunti a livello internazionale ha in questi ultimi anni spinto il legislatore nazionale2 ad intervenire attraverso specifici provvedimenti.

Con la legge 6 novembre 2012, n 190 (in G.U. n. 265 del 13/11/2012), nota come Legge Severino, è stata varata una normativa organica volta ad implementare l’apparato preventivo e repressivo contro la corruzione e l’illegalità nella Pubblica Amministrazione3.

La predetta legge 190/12 ha disciplinato direttamente e per intero il sistema di prevenzione e repressione della illegalità nell’ambito della Pubblica Amministrazione, muovendosi alla stregua di legislatore delegante, ossia rimandando la disciplina attuativa di determinati parti o settori della materia ad altri e successivi provvedimenti legislativi (tipico esempio ne è il decreto legislativo 31/12/2012 n. 35 “testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’art. 1, co. 63 l. 190/2012”)4.

Le disposizioni in esame sono quindi il risultato di un complesso procedimento che ha avuto quali finalità quelle di rispondere a sollecitazioni socio-economiche5 ed agli specifici adempimenti derivanti dalle disposizioni di diritto internazionale di riferimento6.

I delitti in materia di corruzione in particolare e quelli contro la pubblica amministrazione in genere7, in rilevante numero sono delitti propri, in quanto le norme incriminatrici prevedono determinate caratteristiche dei soggetti attivi dei reati, ricollegabili alla pubblica funzione, come elementi costitutivi delle fattispecie.

Nell’analisi di tali fattispecie di reato assume rilevanza l’analisi volta ad individuare i soggetti che possono incorrere nella violazione indicate dalle norme incriminatrici in argomento8.

La predetta disamina diventa fondamentale alla luce della recente riforma dei reati contro la pubblica amministrazione e lo studio dell’evoluzione dottrinaria e giurisprudenziale in materia consente da un lato, in prospettiva interdisciplinare, di raccogliere i concetti acquisiti nel settore del diritto pubblico e allo stesso tempo di valorizzare l’offensività delle condotte incriminate rispetto ai beni protetti dal diritto penale.

Le norme introdotte dal Codice Penale sull’argomento (artt. 357-359) pongono, in merito, una definizione utilizzabile in ogni contesto giuridico.

Le qualifiche soggettive di pubblico ufficiale, di incaricato di pubblico servizio e di persona esercente un servizio di pubblica necessità costituiscono, quindi, un tema centrale per l’interpretazione di numerose disposizioni incriminatrici e, più in generale, per delimitare i confini della tutela penale dell’operato della pubblica amministrazione.9

Sin dall’800, i codici penali vigenti nell’Italia preunitaria10 individuavano quale figura di riferimento dei delitti contro la pubblica amministrazione quella del pubblico agente senza, peraltro, fornire una definizione specifica di tali soggetti11.

La figura del Pubblico Ufficiale viene, invece, introdotta per la prima volta dall’art. 165 del codice toscano12.

Anche il codice Zanardelli, individuava la definizione del pubblico ufficiale senza, peraltro, prevedere quella dell’incaricato di un pubblico servizio13.

A differenza del codice Zanardelli14, che individuava, quindi, la sola qualifica del pubblico ufficiale, il codice Rocco ha imperniato questa soggettività sulle tre citate figure principali.

Dalla lettura della vecchia formulazione del codice Rocco15, ovvero, degli artt. 357- 359 si evincevano concetti e definizione estensibili a tutto il sistema giuridico nazionale.

Nella stesura delle citate norme ci si trovò di fronte al difficile compito di mediare i contrapposti pensieri interpretativi16 inerenti alla nozione del pubblico ufficiale17.

La teoria soggettiva18, infatti, ricollegava la titolarità della qualifica al rapporto di pubblico impiego, operando, in tal senso, una equivalenza tra Ente Pubblico e qualificazione pubblicistica del dipendente; quella oggettiva funzionale, invece, poneva in relazione la qualifica medesima all’attività svolta in concreto dal soggetto a prescindere da ogni investitura pubblicistica dell’agente19.

E non solo, oltre alla figura del pubblico ufficiale, il dibattito si incentrò, anche sulla base di talune vicende dell’epoca20, sulla definizione di ulteriori posizioni a cui l’ordinamento penale avrebbe dovuto ricollegare un sistema di tutele differenti rispetto al privato21.

Difatti, in relazione alla nascita del c.d. sistema corporativo, sulla base delle disposizioni contenute nella legge n. 563 del 03.04.1926 vennero ad evidenza le figure degli “esercenti imprese di servizi pubblici o di pubblica necessità”22

Secondo il pensiero dei compilatori, la differenza tra le due figure di servizio risiedeva nella minore “diffusività” ed “espansione” del bisogno al cui soddisfacimento mira il servizio di pubblica necessità, tale cioè da non esigere la creazione di monopoli gestiti direttamente od a mezzo di concessionari: l’assenza del monopolio e della concessione e la presenza dell’autorizzazione consentivano, quindi, di distinguere il servizio pubblico da quello di pubblica necessità23.

L’inserimento nel sistema giuridico dei concetti di servizio di pubblica necessità e di servizio pubblico, alla luce delle citate teorie soggettiva e oggettiva funzionale, condusse ad enucleare le relative figure dell’incaricato di un pubblico servizio e dell’esercente di un servizio di pubblica necessità, le quali vennero affiancate a quella di pubblico ufficiale già prevista dal Codice Zanardelli.

Nell’interpretazione delle norme del codice penale si oscillava tra una concezione “soggettiva”, secondo cui determinante per la qualifica pubblicistica era la pubblicità dell’ente e la natura della funzione in forza del rapporto d’impiego, ed una concezione “oggettiva” per la quale non rilevava tanto il rapporto d’impiego, quanto la circostanza di esercitare una funzione legislativa, amministrativa o giudiziaria, senza però che di essa se ne desse una qualificata definizione24.

 

Continua a leggere la 2a parte dell’approfondimento >>

 

2 ottobre 2015

Valeria Montesarchio, Massimiliano Giua e Daniele Corradini

 

NOTE

1 – Con riguardo alle fattispecie criminose ante riforma del novembre 2012 si vedano anche ROMANO M., I delitti contro la pubblica amministrazione – I delitti dei pubblici ufficiali. Artt. 314-335-bis cod. pen. – Commentario sistematico, Milano, 2002: BALBI , I delitti di corruzione. Un’indagine strutturale e sistemica, Napoli, 2003; BARATTA A., La violenza e la forza. Alcune riflessioni su mafia, corruzione e il concetto di politica, in Dei delitti e delle pene, 1993, II, p. 115; CINGARI F., La corruzione pubblica: trasformazioni fenomenologiche ed esigenze di riforma, in Riv. trim. dir. pen. contemp., 2012, I, p. 79; FIANDACA G., Esigenze e prospettive di riforma dei reati di corruzione e concussione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, p. 883; MASSI S., Qui in corruptione versatur etiam pro licito tenetur. “Offesa” e “infedeltà” nella struttura della corruzione propria, Torino, 2004; PADOVANI T., Il confine conteso: Metamorfosi dei rapporti tra concussione e corruzione ed esigenze “improcrastinabili” di riforma, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, p. 1302; PALAZZO F. (a cura di), Corruzione pubblica. Repressione penale e prevenzione amministrativa, Firenze, 2011; PULITANÒ D., La giustizia penale alla prova del fuoco, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, p. 3; SEMINARA S., Gli interessi tutelati nei reati di corruzione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1993, III, p. 951; SEMINARA S., La corruzione: problemi e prospettive nella legislazione italiana vigente, in FORNASARI G.-LUISI N.D. (a cura di), La corruzione: profili storici, attuali, europei e sovranazionali (Atti convegno Trento, 18-19 maggio 2001), Verona, Cedam, 2003, p. 145; RAMPIONI R., Dalla parte degli ingenui, Padova, 2007; ID., I delitti di corruzione, Padova, 2008; SPENA A., Il “turpe mercato”.

2 – Sulla necessità di intervenire attraverso lo strumento del diritto penale, parte della dottrina ha rilevato talune perplessità. In particolare A. ALESSANDRI, “I reati di riciclaggio e corruzione nell’ordinamento italiano: linee generali di riforma”, in penalecontemporaneo.it, 25 marzo 2013 e Forti G., “Sulle riforme necessarie del sistema penale italiano: superare la centralità della risposta carceraria”, in www.penalecontemporaneo.it 16.09.2012.

3 – Relazione del Massimario della Corte di Cassazione sulla riforma dei reati di corruzione “Novità legislative: 6 novembre 2012, n. 190 recante Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, Rel. N. III/11/2012 in www.dirittopenalecontemporaneo.it.

4 – BILARDO, M. PROSPERI, “Piano nazionale e piani decentrati anticorruzione – la riforma anticorruzione in una visione integrata giuridica e organizzativa”, Maggioli, 2013, 23.

5 – In questo senso, tra gli altri, Forti G., “Sulle riforme necessarie del sistema penale italiano: superare la centralità della risposta carceraria”, in penalecontemporaneo.it 16.09.2012 secondo il quale “Economia e mercato non sono pensabili senza regole, senza garantire l’integrità di chi vi opera, a cominciare dai soggetti pubblici. Tutti sappiamo (anche se nei fatti una parte della classe politica lo ha spesso dimenticato in questi anni) che tra gli innumerevoli danni causati dalla corruzione c’è quello all’economia e alla concorrenza, al mercato appunto, che cessa di essere tale quando i suoi meccanismi vengono illecitamente alterati dalle tangenti.”

6 – Oltre quelli derivanti dalla Convenzione ONU contro la Corruzione del 2003 e dalla Convenzione Penale sulla Corruzione del Consiglio d’Europa del 1999 erano quelli indirettamente desumibili dalle seguenti disposizioni di Diritto Internazionale tuttora vigenti: Convenzione interamericana contro la corruzione, adottata dall’Organizzazione degli Stati americani il 29 marzo 1996; Convenzione sulla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità Europee o degli Stati membri dell’Unione Europea, adottata dal Consiglio dell’Unione Europea il 26 maggio 1997; Convenzione sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, adottata dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico il 21 novembre 1997; Convenzione civile sulla corruzione, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 4 novembre 1999; Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla corruzione, adottata dai capi di Stato e di governo dell’Unione africana il  12 luglio 2003.

7 – Per una analisi profonda dell’argomento, si rimanda tra l’altro a I soggetti dei delitti contro la pubblica amministrazione contributo estrapolato dal sito del Dipartimento di Giurisprudenza dell’università di Torino giurisprudenza.unito.it.

8 – Secondo M. ROMANO, I delitti contro la Pubblica Amministrazione, Commentario Sistematico, Giuffre II , 229 ss, “la concentrazione dei delitti contro la p.a. riflette lo speciale ruolo degli agenti pubblici negli ordinamenti penali che collegato alla manifestazione della sovranità statuale che era comprensibilmente in auge negli stati autoritaria si è conservata in termini in parte diversi anche negli stati liberali moderni e che si ricollega, inoltre, alla peculiarità dei compiti assegnati a tali soggetti chiamati a promuovere interessi generali o comunque a rendere servizi per la collettività”.

9 – O. DI GIUSEPPE, Qualifiche soggettive nell’ambito dei reati contro la pubblica amministrazione , in Diritto On-line (2012) www.treccani.it. L’autore rimanda per una più approfondita analisi dell’argomento ai seguenti riferimenti bibliografici B. BEVILACQUA, I reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Cedam, 2003; A. CADOPPI, P. VENEZIANI, Elementi di diritto penale. Parte speciale. Introduzione e analisi dei titoli, Cedam, 2007, 102; B. ROSINI, Il pubblico ufficiale, l’incaricato di pubblico servizio e l’esercente un servizio di pubblica necessità, in Giurisprudenza Penale, a cura di O. DOMINIONI, F. MANTOVANI, Cedam, 1998; A. CRESPI, Il nuovo testo dell’art. 358 c.p. e un preteso caso di corruzione punibile, in Riv. it. dir. proc. pen., 1992; A. MANNA, Introduzione dei reati contro la Pubblica amministrazione, in A. CADOPPI, S. CANESTRARI, A. MANNA, M. PAPA, Trattato di diritto penale. Parte speciale II. I delitti contro la pubblica amministrazione, Utet Giuridica, 2008; V. MANZINI, Trattato di diritto penale, Utet, 1950; A. PAGLIARO, M. PARODI GIUSINO Principi di diritto penale, parte speciale, I, I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Ibs, 2000; L. PICOTTI, Le nuove definizioni penali di pubblico ufficiale e di incaricato di un pubblico servizio nel sistema dei delitti contro la Pubblica Amministrazione , cit, 1988; V. PLANTAMURA, Le qualifiche soggettive pubblicistiche, in A. CADOPPI, S. CANESTRARI, A. MANNA, M. PAPA, Trattato di diritto penale. Parte speciale II. I delitti contro la pubblica amministrazione, ibid.; P. SEVERINO DI BENEDETTO, I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Le qualifiche soggettive , Giuffrè, 1983.

10 – Si fa qui riferimento al Codice degli Stati Uniti delle Isole Ionie o al Codice penale per il regno delle Due Sicilie.

11 – Per la ricostruzione storica dell’argomento si veda anche O. DI GIUSEPPE, qualifiche soggettive nell’ambito dei reati contro la pubblica amministrazione, cit., nonché per una più profonda analisi M. ROMANO, I delitti contro la Pubblica Amministrazione, cit, 229.

12 – In merito, oltre a ROMANO, I delitti contro la Pubblica Amministrazione, cit, si veda, tra gli altri, B. BEVILACQUA, I reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Cedam, 2003, 3.

13 – In particolare l’art. 207 del c.d. Codice Zanardelli definiva, al primo comma, in maniera generale la figura del pubblico ufficiale. Il secondo comma individuava, altresì, quali pubblici ufficiali i notai, il terzo, gli agenti della forza pubblica e gli uscieri addetti all’Ordine

14 – Circa i contenuti e i principi cui era informato il Codice dell’epoca, dal sito del Centro di Documentazione “L’altro diritto” dell’Università di Firenze – http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/law- ways/musio/cap1.htm si rileva quanto segue “Il Codice Zanardelli era un codice di impronta nettamente liberale: oltre a riaffermare i fondamentali principi di garanzia di derivazione illuministica, non ammetteva l’estradizione (neppure dello straniero) per i reati politici, aveva abolito la pena di morte e i lavori forzati, aveva statuito minimi e massimi di pena meno elevati rispetto ai codici anteriori, prevedeva le attenuanti Disciplinava in modo articolato sia il tentativo che il concorso di persone, regolando il primo secondo la formula napoleonica del commencement d’éxecution, e il secondo sulla base del cumulo giuridico e dell’assorbimento. Inoltre, distingueva e graduava la responsabilità dei concorrenti nel reato prevedendo figure di compartecipi primari e secondari. Il problema dell’imputabilità veniva risolto alla luce della volontarietà del fatto, attraverso formulazioni chiare per la sua esclusione e diminuzione; veniva cancellata “la forza irresistibile”, e l’ubriachezza non accidentale era considerata causa attenuante dell’imputabilità e della pena.

Nel sistema delle pene, oltre all’abolizione della pena di morte, si distingueva tra detenzione e reclusione regolando quest’ultima secondo i principi dell’esecuzione progressiva e in funzione della rieducazione ed emenda del condannato. Numerose erano le disposizioni in tema di dolo, errore, cause di giustificazione, ma il merito di questo codice sarebbe stato soprattutto quello di aver disciplinato per la prima volta nella parte generale l’elemento soggettivo del reato e le cause di giustificazione, stabilendo le premesse per l’elaborazione della teoria dell’antigiuridicità. Nella parte speciale, la distinzione dei reati avveniva in relazione all’interesse da questi leso (oggetto giuridico del reato), realizzando una classificazione dei delitti e delle contravvenzioni secondo criteri destinati in gran parte a restare inalterati anche nel codice successivo.” Per una profonda analisi dell’argomento si vedano anche: M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, vol. I, Giuffrè, Milano 1995, p. 2; F. DESPORTES, F. LE GUNEHEC, Le nouveau droit penal, Economica, Paris 1994, p.25, V. G. VASSALLI, Codice penale, in Enciclopedia del diritto, vol. III, Giuffrè, 1960, p. 270, E. DOLCINI, Codice penale, in Digesto discipline penalistiche, vol.II, Utet, 1988, p. 277.

15 – Sempre dal sito internet del Centro di Documentazione “L’altro diritto” dell’Università di Firenze – http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/law-ways/musio/cap1.htm, si rileva che al nome del guardasigilli Rocco è legato non solo il codice penale, ma anche il codice di procedura penale e le leggi sull’ordinamento “Un complesso normativo coordinato e imponente…che forse soltanto un regime dittatoriale poteva realizzare in tanto breve tempo e con tale simultaneità“. In merito per approfondimenti sulla genesi del c.d. codice Rocco, tra gli altri, V. G. VASSALLI, Codice penale, cit., secondo il quale “Nel 1925, quindi, il ministro Rocco presentò un disegno di legge per la delegazione al governo “…della facoltà di modificare” la legislazione in materia penale. Le ragioni della riforma vennero illustrate nella Relazione che accompagnava lo stesso disegno di legge: di fronte all’aumento della criminalità negli anni del dopoguerra, da ricondursi ai “…profondi rivolgimenti prodottisi nella psicologia e nella morale degli individui e della collettività, e nelle condizioni della vita economica e sociale”, la legislazione penale si era rivelata negli ultimi anni densa di difetti e di lacune. L’esperienza aveva messo in luce quanto fossero insufficienti nella lotta contro il delitto, “…i mezzi puramente repressivi e penali … e l’assoluta inidoneità delle pene a combattere i gravi e preoccupanti fenomeni della delinquenza abituale, della delinquenza minorile, degli infermi di mente pericolosi”. Era necessario, dunque, predisporre, accanto a tradizionali misure di repressione, “…nuovi e più adeguati mezzi di prevenzione della criminalità “.

Sempre dal sito del Centro di Documentazione “L’altro diritto” dell’Università di Firenze – http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/law-ways/musio/cap1.htm si evince che “Il progetto preliminare del Codice, ultimato nell’ottobre del 1927, non rimase nel chiuso della Commissione, ma fu sottoposto al parere di una Commissione parlamentare mista, cui si aggiunsero, secondo una tradizione risalente all’elaborazione del codice del 1889, le osservazioni della magistratura, dei consigli forensi e dell’università. Il testo definitivo, accompagnato dalla relazione al re venne pubblicato con r.d n. 1398 il 19 ottobre 1930 ed entrò in vigore il I luglio 1931.”

16 – In merito, tra gli altri, GIOVAGNOLI, Studi di Diritto Penale: parte speciale, Giuffrè, 2008, 113.

17 – Vengono appositamente tralasciate le teorie del c.d. socialismo giuridico nonché l’evoluzione delle stesse contenute in un primo progetto di riforma del Codice Penale, il d. Progetto Ferri del 1921.

18 – GIOVAGNOLI, Studi di diritto penale parte speciale, cit., N. LEVI, I delitti contro la Pubblica Amministrazione, in Trattato di Diritto Penale, coordinato da E. FLORIAN, 1935, 30; ROSINI, B., Il pubblico ufficiale, l’incaricato di un pubblico servizio e l’esercente un servizio di pubblica necessità, cit., 2 ss; L. PICOTTI, Le nuove definizioni penali di pubblico ufficiale e di incaricato di un pubblico servizio nel sistema dei delitti contro la Pubblica Amministrazione, cit., 278.

19 – Dottrina Penalistica maggioritaria secondo cui per individuare le qualifiche soggettive in merito alla tipologia dei reati propri si deve fare riferimento all’effettivo svolgimento del servizio o della funzione Si veda in tal senso anche F. ANTOLISEI, Manuale di Diritto Penale, Giuffrè, 1998, 259, nell’ambito del quale l’autore evidenzia che “le nuove formulazioni degli artt. 357 e 358 c.p. introdotte nell’ordinamento dalla legge 26.04.1990, n. 86 sulla base di criteri funzionali oggettivi capaci di prescindere in toto da qualsiasi rapporto di dipendenza dallo Stato o da altro Ente Pubblico, richiamano principi già evidenziati dall’autore in precedenti edizioniper pubblico servizio deve intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione d’opera meramente materiale.”

Sul tema anche GALLO, Pubblico Ufficiale ed Ente Pubblico, in Banca Borsa e titoli di credito, 1951; V. MANZINI, in Trattato di diritto penale, cit., 4 ss., per il quale “la qualità di impiegato non è essenziale per la nozione di pubblico ufficiale dovendosi tale qualità riconoscere in capo al soggetto, impiegato o meno che eserciti effettivamente una funzione pubblica”.

La teoria è stata ripresa, tra l’altro, dalla giurisprudenza: sentenza Cassazione, sez. VI penale, in data 2 luglio 2008, n. 26569 secondo cui lo svolgimento di un servizio giornalistico della RAI è da considerarsi Pubblico Servizio. In particolare, per la Suprema Corte ”La difesa ha fortemente contestato nella memoria difensiva la natura pubblica del servizio espletato nel caso in esame, ma proprio dal richiamo al D.Lgs. 31 luglio 2005, n. 177, art. 45, recante norme sulla disciplina del servizio pubblico radiotelevisivo, si evince la infondatezza della censura, laddove la norma, improntata al principio di libertà e rispetto del pluralismo, in una ottica di libera concorrenza, pur sottoponendo il gestore a determinati obblighi, definisce di interesse pubblico le trasmissioni televisive e radiofoniche dedicate all’educazione, all’informazione, alla formazione, alla promozione culturale.

E nella fattispecie concreta non v’è dubbio che il servizio giornalistico, inserito nel corso del TG Uno Rai delle ore 13,30 fosse finalizzato all’informazione sulle modalità di svolgimento degli esami di Stato presso il Liceo (OMISSIS) di Roma in una materia certamente di interesse pubblico”; la sentenza delle SSUU civili della Corte di Cassazione, in data 22-12-2009, n. 27092 che ha definito quale Ente Pubblico la RAI considerato che ”lo si desume dai peculiari caratteri del regime della RAI, la quale:- è designata direttamente dalla legge quale concessionaria dell’essenziale servizio pubblico radiotelevisivo, svolto nell’interesse generale della collettività nazionale per assicurare il pluralismo, la democraticità e l’imparzialità dell’informazione; – è sottoposta, per la verifica della correttezza dell’esercizio di tale funzione, a penetranti poteri di vigilanza da parte di un’apposita commissione parlamentare, espressione dello Stato- comunità; – è destinataria, per coprire i costi del servizio, di un canone di abbonamento, avente natura di imposta e gravante su tutti i detentori di apparecchi di ricezione di trasmissioni radiofoniche e televisive, che è riscosso e le viene versato dall’Agenzia delle Entrate; – è compresa tra gli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, sottoposti pertanto al controllo della Corte dei Conti; – è tenuta all’osservanza delle procedure di evidenza pubblica nell’affidamento di appalti, in quanto “organismo di diritto pubblico” ai sensi della normativa comunitaria in materia; queste particolarità – già evidenziate dalla giurisprudenza di legittimità, sia pure ai limitati fini che in quella sede venivano in considerazione: Cass. 23 aprile 2008 n. 10443 – concordemente e univocamente depongono nel senso dell’inclusione della RAI nel novero degli enti pubblici”; Cass. Civ. 16.05.2002.

In tale pronuncia in chiave prettamente funzionalistica la Corte ha, altresì, evidenziato ”che va infatti disatteso l’assunto del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti secondo cui, attenendo la procedura di selezione, in vista di future assunzioni, all’attività di autoorganizzazione della R.A.I., soggetto privato concessionario di pubblico servizio, sarebbe configurabile l’ipotesi, prevista dal comma 2, lettera e), del citato art. 33, di una controversia riguardante le attività e le prestazioni rese dal gestore (anche privato) “nell’espletamento di pubblici servizi”. Tali attività e prestazioni vanno individuate in quelle che vengono erogate al pubblico degli utenti nell’espletamento del servizio nei confronti della generalità dei fruitori e che consistono in manifestazioni proprie del tipo di servizio prestato, restando escluse le attività che, collocandosi a monte dell’espletamento del servizio, ne consentono l’erogazione, e rivestono quindi soltanto rilievo strumentale ed interno (sent. n. 71/00; n. 532/00; n. 10032/01). E natura meramente strumentale ed interna va appunto riconosciuta alla procedura di selezione di cui trattasi, volta ad individuare, nell’ambito dell’attività di autoorganizzazione della R.A.I., soggetto privato gestore di pubblico servizio, un gruppo di soggetti professionalmente idonei, dai quali attingere in occasione della futura costituzione di rapporti di lavoro giornalistico.”

20 – Parte della dottrina ha, infatti, rilevato che i delitti dei pubblici ufficiali subiscono gli effetti, nella loro versione del 1930, dei principi autoritari dell’epoca, che fondavano la tutela penale non tanto sulla difesa di concreti interessi, quanto sulla violazione del rapporto di “fedeltà” tra pubblico agente e Stato. In merito, si vedano, tra gli altri, MANNA, Introduzione dei reati contro la Pubblica amministrazione, cit., 3.

21 – Alle figure individuate nel Codice se ne affiancavano, poi, talune altre, da ricondurre alle vicende dell’epoca con particolare riferimento alla previsione del c.d. sistema corporativo e alla vecchia formulazione dei reati di cui agli artt. 330-333 codice penale. In particolare, le basi del sistema corporativo furono poste dalla l. 3 aprile 1926 n. 563. Il sistema presupponeva, infatti, il divieto di serrata e il divieto di sciopero, entrambi penalmente sanzionati e per la cui trasgressione erano previste pene più severe qualora fosse commessa da “esercenti imprese di servizi pubblici o di pubblica necessità” o dai dipendenti di tali imprese (artt. 19 e 20).

22 – Nonostante la l. 562 del 1926 non definisse i concetti di servizio pubblico e di servizio di pubblica necessità il r.d. n. 1130 del 1926 prevedeva che fosse il Ministero per le Corporazioni a stabilire quali fossero i servizi di da ritenersi di pubblica necessità e che, successivamente, fossero i comuni, annualmente ad individuare le imprese che potessero svolgere tali tipi di servizio.

23 – Si rimanda tra l’altro a “I soggetti dei delitti contro la pubblica amministrazione” contributo estrapolato dal sito del Dipartimento di Giurisprudenza dell’università di Torino giurisprudenza.unito.it/. In particolare, nell’elaborato in argomento si richiama la “Relazione del Guardasigilli al progetto definitivo di un nuovo codice penale contenuta nei Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale”, V, II, 1929, 122-123.

Scarica il documento