Reverse charge e elementi che determinano la residenza fiscale estera; compensi corrisposti ad artisti stranieri che si esibiscono in Italia

nell’ipotesi di prestazioni di servizi artistici, effettuate da un soggetto italiano fittiziamente residente all’estero, l’applicabilità del criterio fondato sul principio di territorialità esclude che possa applicarsi il criterio residuale del reverse charge; in particolare, per quanto riguarda i compensi corrisposti ad artisti stranieri che si esibiscono in Italia, le fatture devono essere emesse dal committente italiano in quanto i prestatori residenti all’estero non sono tenuti al rispetto degli adempimenti formali previsti dalla legge Iva

 

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8369 del 24.04.2015, ha stabilito che nell’ipotesi di prestazioni di servizi artistici effettuate da un soggetto fittiziamente residente all’estero, l’applicabilità del criterio prioritario, fondato sul principio di territorialità, esclude che possa applicarsi il criterio residuale del reverse charge, né giova il richiamo al principio del divieto di doppia imposizione, che si verifica solo quando una medesima imposta gravi sullo stesso soggetto e non quando l’ente impositore la richieda a persone diverse.

In quest’ultimo caso, individuato il soggetto effettivamente debitore, l’estraneo maturerà il diritto a richiedere il rimborso di quanto eventualmente versato, fatto salvo il diritto alla detrazione del soggetto tenuto al pagamento dell’IVA.

Per quanto riguarda i compensi corrisposti ad artisti stranieri che si esibiscono in Italia, le fatture devono essere infatti emesse dal committente italiano, in quanto i prestatori residenti all’estero non sono tenuti al rispetto degli adempimenti formali previsti dalla legge Iva.

Le prestazioni di servizi effettuate nello Stato da soggetti residenti all’estero non identificati in Italia devono essere quindi documentate da un’autofattura, emessa entro lo stesso giorno del pagamento della prestazione.

 

Nel caso di specie era stato dunque notificato ad un cantante lirico un avviso di accertamento, con il quale l’Ufficio recuperava a tassazione l’IVA non versata, non riconoscendo efficacia al pagamento effettuato mediante autofattura dagli enti committenti, sulla base della procedura del reverse charge.

Secondo i giudici di legittimità, quindi, aveva errato la Commissione Tributaria Regionale nel ritenere, nonostante le deduzioni dell’Amministrazione Finanziaria circa la fittizietà della residenza all’estero, che la pretesa fiscale fosse infondata, essendo stata l’IVA comunque versata dai committenti.

In particolare i giudici di merito, sulla base degli atti a loro disposizione, avrebbero infatti dovuto verificare se il prestatore dei servizi artistici fosse stato realmente residente o domiciliato all’estero, essendo l’applicabilità del regime giuridico indicato condizionata all’effettiva sussistenza di tale presupposto.

E non a caso la sentenza parla di residenza o domicilio.

 

Gli elementi che determinano la residenza fiscale di un soggetto persona fisica sono infatti i seguenti un elemento temporale, quale la maggior parte del periodo d’imposta, e alcuni elementi tra loro alternativi, ovvero:

a) l’iscrizione anagrafica;

b) il domicilio (ossia la sede principale degli affari e interessi ex art. 43, c. 1 c.c.);

c) la residenza (ossia la dimora abituale ex art. 43, c. 2, c.c.).

 

Per quanto riguarda il presupposto temporale, la circolare 304/E del 2/12/1997 precisa che “con tale requisito il legislatore ha inteso, in effetti, richiedere la sussistenza di un legame effettivo e non provvisorio del soggetto con il territorio dello Stato, tale da legittimare il concorso alle spese pubbliche in ottemperanza ai doveri di solidarietà di cui all’articolo 2 della Costituzione“.

Il periodo di imposta coincide con l’anno solare, pertanto è sufficiente soggiornare all’interno del territorio nazionale per più di 183 giorni (184 se l’anno è bisestile).

 

Quanto agli altri requisiti bisogna evidenziare che l’iscrizione all’Anagrafe dei residenti rappresenta una presunzione assoluta ai fini della prova della residenza fiscale in Italia. Contro di essa quindi non è ammessa prova contraria.

La sua sussistenza, quindi, non potrà essere contestata.

Invece la cancellazione dall’anagrafe dei residenti e l’iscrizione nell’anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) non costituisce elemento per escludere tout court il domicilio o la residenza nello Stato, ma rappresenta solo una presunzione legale relativa (superabile quindi con prova contraria) a favore del contribuente.

L’Amministrazione Finanziaria potrà quindi dimostrare, con ogni mezzo di prova, l’effettiva residenza del soggetto in Italia.

 

Tanto detto in merito al requisito dell’iscrizione all’Anagrafe, per quanto riguarda invece l’altro requisito (alternativo) della residenza, questa, secondo la definizione che se ne dà nel codice civile, corrisponde al luogo in cui la persona ha la propria dimora abituale, ai fini della cui sussistenza assumono grande importanza sia l’elemento (oggettivo) della stabile permanenza, che quello (soggettivo) della volontà del soggetto di rimanere in un dato luogo.

Per quanto riguarda infine il domicilio, esso è definito come il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari ed interessi.

Il concetto è ribadito dalla Circolare n. 304/E del 2 dicembre 1997, che specifica che “la giurisprudenza prevalente sostiene che il domicilio è un rapporto giuridico con il centro dei propri affari e prescinde dalla presenza effettiva in un luogo. Esso consiste dunque principalmente in una situazione giuridica che, prescindendo dalla presenza fisica di un soggetto, è caratterizzata dall’elemento soggettivo, cioè dalla volontà di stabilire e conservare in quel luogo la sede principale dei propri affari ed interessi”.

La valutazione da effettuare in questi casi è dunque spiccatamente di fatto, intendendo, così continua la circ. 304/E, “la locuzione “affari ed interessi” in senso ampio, cioè comprensivo non solo di rapporti di natura patrimoniale ed economica ma anche morali, sociali e familiari; sicchè la determinazione di domicilio va desunta alla stregua di tutti gli elementi di fatto che, direttamente o indirettamente, attestino la presenza in un certo luogo di tale complesso di rapporti ed il carattere principale che esso ha nella vita della persona”.

Dunque la nozione di residenza fiscale è più ampia di quella civilistica, comprendendo sia le persone che per la maggior parte dell’anno sono rimaste iscritte all’anagrafe dei comuni italiani, sia quelle che hanno dimorato abitualmente in Italia, sia infine quelle che hanno comunque mantenuto nel territorio nazionale il proprio domicilio, inteso, come detto, come sede principale degli affari ed interessi (economici e personali).

L’Amministrazione Finanziaria, peraltro, vista l’alternatività di tali presupposti, potrà contestare la fittizietà del trasferimento all’estero, dimostrando la sussistenza anche soltanto di uno di questi elementi.

 

Il fatto per esempio che i figli, o la moglie (o il marito) del contribuente, risiedano in Italia rappresenta senza dubbio un indizio importante per poter affermare che un soggetto abbia in Italia il proprio centro di interessi affettivi (domicilio).

In tal caso l’Agenzia delle Entrate potrà contestare la residenza fiscale in Italia anche solo facendo riferimento ad un’ipotesi presuntiva, caratterizzata comunque dal requisito della verosimiglianza (secondo l’id quod plerumque accidit) e dal fatto che, comunque, le presunzioni utilizzate presentino i requisiti della gravità, precisione e concordanza.

Quelle presunzioni che, nel caso di specie, i giudici di merito non avevano neppure inteso valutare, ritenendo, erroneamente, che altrimenti si verificasse una doppia imposizione.

Occorre pertanto in questi casi effettuare una valutazione d’insieme dei rapporti che il soggetto mantiene in Italia. Valutazione che, indipendentemente dalla presenza fisica e dall’attività lavorativa, permetta di stabilire che la sede principale degli affari ed interessi si trova, in realtà, in territorio italiano.

In tale contesto, proprio al fine di agevolare l’azione di contrasto dell’Amministrazione Finanziaria, l’art. 10 della L. n. 448 del 1998 ha infine provveduto ad integrare (e rafforzare) i criteri fissati dall’art. 2 del DPR n. 917 del 1986, introducendo il comma 2 bis, che dispone che “si considerano residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dall’anagrafe della popolazione residente ed emigrati in Stati o Territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con Decreto del Ministero delle Finanze da pubblicare in G.U.”.

E nel caso di specie il contribuente risultava per l’appunto residente nel Principato di Monaco.

 

Se dunque un soggetto ha trasferito la propria residenza in un “paradiso fiscale”, si inverte anche l’onere della prova, che sarà pertanto a carico del contribuente e non dell’Amministrazione Finanziaria.

La norma, quindi, si risolve in un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente che si è trasferito, al quale viene comunque consentito di dimostrare l’esistenza di fatti o atti che comprovino l’effettività della situazione dichiarata (cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente).

E se è vero che tali previsioni attengono più che altro alle imposte dirette, il caso in esame dimostra come possano avere effetti anche ai fini Iva.

Per quanto riguarda poi, in particolare, la prova contraria che il contribuente può offrire, come anche evidenziato nella Circolare n. 140/99, questa potrà consistere:

  • nella dimostrazione della sussistenza della dimora abituale nel paese fiscalmente privilegiato (sia personale che dell’eventuale nucleo familiare);

  • l’iscrizione ed effettiva frequenza dei figli presso istituti scolastici o di formazione del paese estero;

  • lo svolgimento di un rapporto di lavoro continuativo, ovvero l’esercizio stabile di un’attività economica nel Pese estero;

  • la stipula di contratti di acquisto e locazione di immobili residenziali nel paese estero;

  • le fatture o ricevute di erogazione di servizi di gas, telefono, luce etc. pagate nel paese estero;

  • la movimentazione di somme di denaro nel paese estero;

  • l’iscrizione a liste elettorali nel paese estero.

Accertata dunque la fittizietà della residenza all’estero, ugualmente errata, secondo la Cassazione, era poi la conclusione in base alla quale la pretesa fiscale si sarebbe posta in contrasto con il divieto di doppia imposizione, dato appunto che, come detto, la doppia imposizione non si verificava certo sul medesimo soggetto.

Ne conseguiva pertanto che, nell’ipotesi di prestazioni di servizi effettuate da un soggetto domiciliato o residente in Italia (o che risulti tale sulla base degli accertamenti dell’Amministrazione Finanziaria), non può considerarsi applicabile il criterio di imposizione in base ad autofattura del committente sulla base del criterio del reverse charge.

1 settembre 2015

Giovambattista Palumbo