Accordi di separazione e divorzio: il punto fiscale

una guida analitica ai problemi fiscali che intervengono durante gli accordi di separazione e divorzio: la gestione fiscale delle sistemazioni patrimoniali fra coniugi, il regime IRPEF dell’assegno di mantenimento

aspetti fiscali e deducibilità dell'assegno di divorzioL’Agenzia delle Entrate, rispondendo ad una istanza di interpello presentata ai sensi dell’art. 11 della legge n. 212 del 2000, si è occupata della tassazione degli accordi di negoziazione assistita…

L’occasione ci permette di fare il punto sugli aspetti fiscali di maggiore interesse che investono gli accordi di separazione e divorzio…

Con R.M. n. 65/E del 16 luglio 2015, l’Agenzia delle Entrate, rispondendo ad una istanza di interpello presentata ai sensi dell’art.11 della legge n. 212 del 2000, si è occupata della tassazione, ai fini dell’imposta di registro, degli accordi di negoziazione assistita ex art. 6, c. 1, del DL 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162.

L’occasione ci permette di fare il punto sugli aspetti fiscali di maggiore interesse che investono gli accordi di separazione e divorzio.

 

LA R.M. n.65/2015

Il quesito

Nel caso in questione, gli accordi in corso di perfezionamento relativi ad una separazione coniugale prevedono anche la cessione da parte della moglie al marito della piena proprietà di un immobile e la costituzione di usufrutto da parte del marito in favore della moglie su un altro immobile.

I coniugi vorrebbero addivenire al perfezionamento delle predette operazioni immobiliari utilizzando il nuovo strumento giuridico della “convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati per le soluzioni consensuali di separazione personale”, introdotto dall’articolo 6 del decreto legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162.

Tanto premesso, l’interpellante chiede di conoscere se possa trovare applicazione, anche per il caso di specie, l’agevolazione di cui all’articolo 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74, che prevede l’esenzione dall’imposta di registro, di bollo e da ogni altra tassa per “tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio”, atteso che la norma in esame non circoscrive l’esenzione ai soli procedimenti che si concludano con provvedimenti giudiziali.

 

Parere dell’Agenzia delle Entrate

La risposta delle Entrate prende le mosse dall’art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74, secondo cui

“tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli artt. 5 e 6 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, sono esenti dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa”.

Le agevolazioni di cui al citato articolo 19 si riferiscono, dunque, a tutti gli atti, documenti e provvedimenti che i coniugi pongono in essere nell’intento di regolare i rapporti giuridici ed economici relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso1.

Così come precisato con la circolare del 29 maggio 2013, n. 18, l’esenzione recata dal citato articolo 19 della legge n. 74 del 1987 deve ritenersi applicabile, oltre che agli accordi di natura patrimoniale riferibili direttamente ai coniugi (quali gli accordi che contengono il riconoscimento o il trasferimento della proprietà esclusiva di beni mobili ed immobili all’uno o all’altro coniuge; cfr. Cass. 17 febbraio 2001, n. 2347), anche ad accordi aventi ad oggetto disposizioni negoziali in favore dei figli, a condizione che il testo dell’accordo omologato dal tribunale, al fine di garantire la certezza del diritto, preveda esplicitamente che l’accordo patrimoniale a beneficio dei figli, contenuto nello stesso, sia elemento funzionale e indispensabile ai fini della risoluzione della crisi coniugale.

Con riferimento al quesito proposto, si rileva che con il decreto legge 12 settembre 2014, n. 132, sono state introdotte disposizioni idonee alla risoluzione dei conflitti e delle controversie in via stragiudiziale viene favorita dall’introduzione di un nuovo istituto, ovvero la procedura di negoziazione assistita da un avvocato.

In particolare, l’accordo concluso tra i coniugi a seguito della convenzione produce i medesimi effetti dei provvedimenti giudiziari che concludono i procedimenti di separazione e divorzio.

Pertanto, data la parificazione degli effetti dell’accordo concluso a seguito di convenzione di negoziazione assistita ai provvedimenti giudiziali di separazione e di divorzio,

“deve ritenersi applicabile anche a detto accordo l’esenzione disposta dall’articolo 19 della legge n. 74 del 1987, sempreché dal testo dell’accordo medesimo, la cui regolarità è stata vagliata dal Procuratore della Repubblica, emerga che le disposizioni patrimoniali, contenute nello stesso, siano funzionali e indispensabili ai fini della risoluzione della crisi coniugale”.

 

Detta interpretazione è, altresì, coerente con le considerazioni espresse, in sede referente, dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati (resoconto della seduta del 27 ottobre 2014) che, in sede di esame delle misure introdotte con il citato decreto legge n. 132 del 2014, ha precisato che l’agevolazione fiscale di cui all’articolo 19 delle Legge 6 marzo 1987, n. 74

“… trova applicazione anche per il nuovo procedimento, essendo questo una parte del procedimento di separazione e divorzio al quale il regime di favore viene applicato”.

 

 

ACCORDI DI SEPARAZIONE E DIVORZIO

Con circolare n. 27/E del 21 giugno 2012, l’Agenzia delle Entrate, fornendo una serie di risposte in materia di imposta di registro, si è occupata anche degli accordi di separazione e divorzio.

Analizziamo le indicazioni fornite, segnalando anche alcuni degli aspetti fiscali più interessanti sull’argomento.

Disposizioni patrimoniali in favore dei figli effettuate in adempimento di accordi di separazione e divorzio

Il quesito proposto all’amministrazione finanziaria riguarda, in particolare, il trattamento da riservare all’atto con il quale, nell’ambito di un accordo di separazione consensuale, un genitore, in qualità di proprietario della casa coniugale, dispone il trasferimento della nuda proprietà dell’immobile in favore dei figli (applicazione o meno dell’art. 19, della L. n. 74/86).

Per le Entrate, l’esenzione recata dal citato articolo 19 della legge n. 74 del 1987 deve ritenersi applicabile ad accordi di natura patrimoniale non soltanto direttamente riferibili ai coniugi (quali gli accordi che contengono il riconoscimento o il trasferimento della proprietà esclusiva di beni mobili ed immobili all’uno o all’altro coniuge) ma anche ad accordi aventi ad oggetto disposizioni negoziali in favore dei figli(2), a condizione che il testo dell’accordo omologato dal tribunale, al fine di garantire la certezza del diritto, preveda esplicitamente che l’accordo patrimoniale a beneficio dei figli, contenuto nello stesso, sia elemento funzionale e indispensabile ai fini della risoluzione della crisi coniugale.

Trasferimento, nell’ambito degli accordi di separazione o divorzio, dell’immobile acquistato fruendo delle agevolazioni “prima casa” anteriormente al decorso del quinquennio

La nota II–bis) all’articolo 1 Tariffa, parte prima, allegata al TUR dispone, al comma 4, la decadenza dalle agevolazioni “prima casa”, qualora si proceda al

“… trasferimento per atto a titolo oneroso o gratuito degli immobili acquistati con i benefici … prima … del decorso del termine di cinque anni dalla data del loro acquisto”.

 

Al verificarsi della decadenza, l’Agenzia delle Entrate provvede al recupero della “differenza fra l’imposta calcolata in assenza di agevolazioni e quella risultante dall’applicazione dell’aliquota agevolata”, nonché all’irrogazione della sanzione amministrativa pari al 30% e degli interessi di mora.

In caso di vendita dell’immobile nel quinquennio, la decadenza dall’agevolazione può essere evitata, in base a quanto previsto dalla citata nota II-bis), comma 4, dell’articolo 1, della Tariffa, parte prima, allegata al TUR, qualora, entro un anno dall’alienazione, si proceda all’acquisto di un nuovo immobile da adibire ad abitazione principale.

In linea generale, pertanto, qualora si trasferisca l’immobile acquistato con le agevolazioni “prima casa” e non si proceda all’acquisto entro l’anno di un nuovo immobile, da destinare ad abitazione principale, si verifica la decadenza dall’agevolazione fruita.

Nell’ipotesi di trasferimento della quota del 50% della casa coniugale, da parte di uno dei due coniugi all’altro, effettuato in adempimento di un accordo di separazione o divorzio, trova applicazione il regime di esenzione previsto dall’articolo 19 della legge 6 marzo 1987, n. 743.

In considerazione di tale principio, pertanto, per le Entrate, tale regime di favore trova applicazione anche al fine di escludere il verificarsi della decadenza dalle agevolazioni ‘prima casa’ fruite in sede di acquisto, qualora in adempimento di un obbligo assunto in sede di separazione o divorzio, uno dei coniugi ceda la propria quota dell’immobile all’altro, prima del decorso del termine quinquennale.

Il trasferimento al coniuge concretizza, infatti, un atto relativo

“al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio…”.

La decadenza dall’agevolazione è esclusa a prescindere dalla circostanza che il coniuge cedente provveda o meno all’acquisto di un nuovo immobile.

Inoltre, per le Entrate, la decadenza dall’agevolazione “prima casa” può essere esclusa anche nel diverso caso in cui l’accordo omologato dal tribunale preveda che entrambi i coniugi alienino a terzi la proprietà dell’immobile, con rinuncia da parte di uno dei coniugi a favore dell’altro, all’incasso del ricavato della vendita; in tal caso, tuttavia, la decadenza può essere esclusa solo nel caso in cui il coniuge (al quale viene assegnato l’intero corrispettivo derivante dalla vendita) riacquisti, entro un anno dall’alienazione, un altro immobile da adibire ad abitazione principale.

Infatti, ancorché in relazione all’atto di trasferimento dell’immobile a terzi non trovi applicazione il regime di esenzione previsto dall’articolo 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74, (in quanto il contratto di compravendita non trova la propria causa nel procedimento di separazione e divorzio), occorre comunque considerare che, nel caso in esame, il coniuge tenuto a riversare le somme percepite dalla vendita all’altro coniuge non realizza, di fatto, alcun arricchimento dalla vendita dell’immobile.

Il ricavato della vendita è, infatti, percepito interamente dall’altro coniuge in capo al quale resta fermo, conseguentemente, l’onere di procedere all’acquisto di un altro immobile, da adibire ad abitazione principale.

Si rileva, inoltre, che il coniuge cedente, sia nel caso in cui trasferisca la propria quota dell’immobile all’altro coniuge sia nel caso in esame in cui ceda a terzi l’immobile e riversi il ricavato della vendita all’altro coniuge, si priva del bene posseduto a favore dell’altro e, pertanto, non appare coerente un diverso trattamento fiscale delle due operazioni.

Tale soggetto non è, quindi, tenuto ad acquistare un nuovo immobile per evitare la decadenza.

Sull’altro coniuge che percepisce l’intero corrispettivo della vendita incombe l’obbligo di riacquistare, entro un anno dall’alienazione, un altro immobile da adibire ad abitazione principale, secondo le regole ordinarie.

Solo in tale ipotesi, non si verifica la decadenza dal regime agevolativo ‘prima casa’ fruito in relazione all’acquisto della casa coniugale.

 

 

GLI ONERI DEDUCIBILI

L’art. 10, c. 1, lett. c, del T.U. n. 917/86 prevede la deducibilità dal reddito complessivo, se non sono deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formarlo, degli

“assegni periodici corrisposti al coniuge, ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili nella misura in cui risultano da provvedimenti dell’autorità giudiziaria”.

I contribuenti, quindi, possono dedurre dal reddito gli assegni periodici corrisposti al coniuge, anche se residente all’estero, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento di matrimonio, e di divorzio, con esclusione della quota di mantenimento dei figli, ex art. 10, c. 1, lett. c, del T.U. n. 917/86.

Di converso, detti assegni periodici costituiscono per il coniuge che ne beneficia redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e

“si presumono percepiti, salvo propria contraria, nella misura e alle scadenze risultanti dai relativi titoli” (artt. 50, c.a 1, lett. i, e 52, c. 1, lett. c, del Tuir).

 

Importante 

Gli assegni periodici sono deducibili nella misura in cui risultano dal provvedimento dell’autorità giudiziaria. Per il coniuge costituiscono redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente

 

REQUISITI NECESSARI
  • Separazione legale ed effettiva, La somma corrisposta deve Deve trattarsi di somme ovvero scioglimento, essere pari a quella determinata corrisposte periodicamente
    annullamento o cessazione dal giudice. degli effetti civili del matrimonio ( in caso di separazione di fatto, l’eventuale corresponsione volontaria di assegni non fa sorgere alcun diritto alla deduzione).
  • Separazione legale ed effettiva, La somma corrisposta deve Deve trattarsi di somme ovvero scioglimento, essere pari a quella determinata corrisposte periodicamente annullamento o cessazione dal giudice.
  • Separazione legale ed effettiva, La somma corrisposta deve Deve trattarsi di somme ovvero scioglimento, essere pari a quella determinata corrisposte periodicamente

 

 

Prassi e giurisprudenza
  • Gli assegni periodici corrisposti al coniuge separato, per il solo mantenimento dei figli, sono indeducibili
  • Gli assegni periodici corrisposti al coniuge separato, per il solo mantenimento dei figli, sono indeducibili Gli assegni periodici corrisposti al coniuge separato, senza la specificazione della parte destinata al mantenimento dei figli, sono deducibili nei limiti del 50% dell’importo degli assegni Le somme versate al coniuge separato in base all’ordinanza giudiziale di cui all’art.708 del C.p.c., sono deducibili in virtù della loro equiparazione agli assegni periodici corrisposti al coniuge separato, in base al provvedimento dell’autorità giudiziaria
  • Le somme versate al coniuge separato in base all’ordinanza giudiziale di cui all’art.708 del C.p.c., sono deducibili in virtù della loro equiparazione agli assegni periodici corrisposti al coniuge separato, in base al provvedimento dell’autorità giudiziaria
  • L’assegno di mantenimento è deducibile solo per la parte spettante al coniuge. Tale quota, se non diversamente stabilito, si presume pari al 50% dell’importo totale
  • L’assegno alimentare, ai sensi della successiva lett.d), dell’art.10, del T.U. 917/86, è deducibile per il suo intero importo
  • Nel caso in cui la sentenza emessa preveda un criterio di adeguamento automatico dell’assegno dovuto al coniuge, la deduzione è possibile anche relativamente a tale adeguamento.

 

 

GLI ASSEGNI UNA TANTUM

Sono indeducibili gli assegni una tantum. Confermando la tesi dell’indeducibilità si è espressa l’Agenzia delle Entrate, in diversi momenti.

 

La R.M. n. 153/2009

Con la R.M. n. 153/E dell’11 giugno 2009, le Entrate, partendo dal dettato normativo di riferimento (art. 5, c. 6, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, recante la disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, così come modificata dalla legge 6 marzo 1987, n. 74), rilevano che tale norma prevede che

“con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.

 

Il medesimo articolo, al successivo comma 8, dispone che

“su accordo delle parti la corresponsione dell’assegno può avvenire in unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal tribunale. In tal caso non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico”.

 

Dal punto di vista fiscale, l’art. 10, c. 1, lett. c, del T.U. n. 917/86 disciplina solo gli assegni corrisposti al coniuge con carattere periodico, restando fermo che ai fini della deducibilità e dell’imponibilità delle somme in questione è richiesto che la misura e la periodicità di corresponsione delle stesse risultino dal provvedimento dell’autorità giudiziaria.

Il legislatore,

“nell’assimilare gli assegni in questione ai redditi di lavoro dipendente ha tenuto conto del fatto che gli stessi sono corrisposti con cadenza periodica e, come tali, assimilabili al pagamento di una retribuzione stabilita a tempo e potenzialmente vitalizia. Ciò pur in assenza di un collegamento con una prestazione lavorativa. Non hanno natura reddituale, invece, gli assegni corrisposti in unica soluzione, i quali rappresentano sostanzialmente una transazione in ordine alle pregresse posizioni patrimoniali dei coniugi. Per detti assegni, non é prevista alcuna tassazione in capo al beneficiario, né alcuna deduzione per il soggetto che li corrisponde”.

 

 

Ordinanza della Corte Costituzionale 6 dicembre 2001, n. 383 e Ordinanza 29 marzo 2007, n. 113

La Corte ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 del Tuir nella parte in cui non prevede la deducibilità dal reddito complessivo, ai fini dell’Irpef, dell’assegno corrisposto al coniuge in unica soluzione, questione alla quale risulta connessa la tassazione dell’assegno in capo al percipiente.

In particolare, la Corte Costituzionale, nell’ordinanza del 2001, ha affermato che le

 

“due forme di adempimento, cioè quella periodica e quella una tantum, le quali pur avendo entrambe la funzione di regolare i rapporti patrimoniali derivanti dallo scioglimento o dalla cessazione del vincolo matrimoniale, appaiono sotto vari profili diverse, e tali sono state considerate dal legislatore nella disciplina dettata in materia”.

Più precisamente, la Corte Costituzionale ha posto in evidenza come,

“l’importo da corrispondere in forma periodica viene stabilito in base alla situazione esistente al momento della pronuncia, con la conseguente possibilità di una … revisione, in aumento o in diminuzione; mentre al contrario quanto versato una tantum, che non corrisponde necessariamente alla capitalizzazione dell’assegno periodico, viene concordato liberamente dai coniugi nel suo ammontare e definisce una volta per tutte i loro rapporti per mezzo di una attribuzione patrimoniale, producendo l’effetto di rendere non più rivedibili le condizioni pattuite, le quali restano così fissate definitivamente”.

 

In ragione di quanto esposto sopra, la Corte ha rilevato come la scelta del legislatore di prevedere una diversa regolamentazione tributaria per l’assegno periodico rispetto a quella riservata all’erogazione una tantum non debba considerarsi irragionevole, poiché la diversa disciplina prevista per l’erogazione in unica soluzione è diretta ad escludere la possibilità che anche trasferimenti squisitamente patrimoniali siano dedotti dal reddito complessivo (in maniera conforme cfr. Cass. sentenza 6 novembre 2006, n. 23659).

Per le Entrate, la particolare connotazione giuridica che caratterizza la liquidazione una tantum dell’ammontare stabilito per il mantenimento del coniuge, rilevata dalla Corte Costituzionale per dichiarare immune dal vizio di irragionevolezza la scelta del legislatore tributario, si ritiene

“che permanga anche nell’ipotesi in cui sia prevista la corresponsione di un importo complessivo, il cui versamento sia frazionato in un numero definito di rate qualora la corresponsione del predetto importo escluda la possibilità di presentare una successiva domanda di contenuto economico”.

La possibilità di rateizzare il pagamento costituisce, infatti, solo una diversa modalità di liquidazione dell’importo pattuito tra le parti, il quale mantiene comunque la caratteristica di risolvere definitivamente ogni rapporto tra i coniugi

“e non va quindi confuso con la corresponsione periodica dell’assegno, il cui importo è invece rivedibile nel tempo”.

Ne consegue che, nel caso in esame, qualora ricorra la predetta condizione, il coniuge erogante non potrà beneficiare della deduzione dal reddito imponibile di cui all’art. 10, c. 1, lett. c, del Tuir.

 

La R.M. n. 157/2009

Le Entrate, sull’argomento, sono intervenute ancora con la R.M. n. 157/2009, rilevando che nel sistema del TUIR, le somme orrisposte una tantum al coniuge, diversamente da quanto stabilito per gli assegni periodici, non sono riconducibili ad alcuna categoria reddituale, in capo al percipiente e non sono contemplate tra gli oneri che danno diritto alla deduzione dal reddito, ai sensi dell’art. 10 del TUIR, per il coniuge che li corrisponde.

 

 

Si ricorda che

Anche la restituzione di dette somme, qualora siano state corrisposte dal coniuge divorziato in misura maggiore del dovuto, non assume alcuna rilevanza reddituale.

Nella fattispecie in esame, la ex moglie deve restituire al contribuente istante, in quanto non dovuta, una somma a suo tempo trattenuta in eccesso a valere sulla liquidazione di fine rapporto di lavoro del marito.

Ai sensi dell’art. 12-bis della legge 1 dicembre 1970, n. 898, infatti, il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno di mantenimento divorzile, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza di divorzio.

Tale percentuale è pari al quaranta per cento dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio.

Non può richiedersi la quota di TFR se la corresponsione dell’assegno di mantenimento in sede di divorzio sia stata concordata in unica soluzione.

La percentuale di indennità di fine rapporto cui ha diritto il coniuge separato (o divorziato) deve essere intesa al netto delle imposte che sono calcolate dal datore di lavoro erogante la medesima indennità, secondo le disposizioni del Tuir.

Con riferimento a detta somma, in quanto erogata una tantum, non deve essere operata nessuna tassazione in capo al coniuge separato né è possibile per il coniuge erogante beneficiare della deduzione dal reddito

Secondo quanto assume l’istante, il giudice ha stabilito che la restituzione della somma (parte della suddetta liquidazione) debba avvenire mediante l’ordinanza all’INPS “di non effettuare più la rattenuta sulla pensione della somma di euro X mensili” fino ad esaurimento del credito.

Quanto disposto dal giudice, in merito alla sospensione dell’erogazione dell’assegno periodico, realizza pertanto una compensazione tra due diversi emolumenti, gli assegni periodici spettanti alla moglie e la quota di liquidazione che la stessa deve restituire al marito.

In sostanza nel nuovo assetto dei rapporti economici conseguenti allo scioglimento del matrimonio, delineato dal giudice, permane a carico dell’istante l’obbligo degli alimenti nei confronti dell’ex moglie, che è assolto, peraltro, attraverso la descritta procedura di compensazione.

In tale contesto l’Agenzia delle Entrate è dell’avviso che l’istante possa dedurre l’importo corrispondente all’assegno alimentare, dato che si realizza la situazione disciplinata dall’art. 10 del TUIR, secondo cui gli assegni periodici sono deducibili nella misura in cui risultino dal provvedimento dell’autorità giudiziaria e siano sostenuti dal contribuente (sia pure con il meccanismo della compensazione).

Gli assegni periodici deducibili dal reddito, per effetto dell’art. 10 citato, da parte del coniuge che li eroga, vanno assoggettati ad IRPEF da parte del coniuge percipiente, quali redditi assimilati al lavoro dipendente, ai sensi dell’art. 50, c. 1, lett. i, del TUIR.

Inoltre, come già ricordato, l’art. 52, c 1, lett. c, del Tuir, stabilisce che gli assegni in questione

“si presumono percepiti, salvo prova contraria, nella misura e alle scadenze risultanti dai relativi titoli”.

 

Nel caso in esame la percezione si deve ritenere realizzata per effetto della intervenuta compensazione.

Pertanto la ex moglie deve continuare ad assoggettare ad imposizione l’importo dell’assegno alimentare in questione.

 

 

Il recente pensiero della Corte di Cassazione

Da ultimo registriamo la sentenza n. 2236 del 31 gennaio 2011 (ud. del 1 dicembre 2010) della Corte Cassazione, che nel confermare che la deducibilità è limitata agli oneri costituiti dall’assegno di mantenimento del coniuge divorziato, ha affermato che

“il beneficio non si estende ai premi pagati per l’assicurazione sulla vita a favore della moglie, ancorchè ciò fosse stato stabilito con la sentenza del tribunale. Invero tali statuizioni attengono al diverso settore civilistico dei rapporti tra coniugi, e non possono rilevare ai fini fiscali, non essendo consentita un’interpretazione analogica della disciplina di favore in siffatta materia.

Infatti essa non può applicarsi nemmeno laddove si tratti di corresponsione di tale assegno in unica soluzione, e quindi a maggior ragione nella fattispecie in esame, in cui il premio non viene corrisposto al coniuge, ma ad un terzo (la compagnia o istituto d’assicurazione), ed inoltre il relativo capitale sarà versato (presumibilmente) in unica soluzione alle scadenze pattuite.

Questa Corte al riguardo ha statuito che in tema di oneri deducibili dal reddito delle persone  fisiche, il D.P.R. n. 597 del 1973, art. 10, comma 1, lett. g), (al pari del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 10, comma 1, lett. c) limita la deducibilità, ai fini dell’applicazione dell’IRPEF, solo all’assegno periodico – e non anche a quello corrisposto in unica soluzione – al coniuge, in conseguenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nella misura in cui risulta da provvedimento dell’autorità giudiziaria.

Tale differente trattamento – come affermato dalla Corte costituzionale nella ordinanza n. 383 del 2001 – è riconducibile alla discrezionalità legislativa la quale, riguardando due forme di adempimento tra loro diverse, una soggetta alle variazioni temporali e alla successione delle leggi, l’altra capace di definire ogni rapporto senza ulteriori vincoli per il debitore, non risulta nè irragionevole nè in contrasto con il principio di capacità contributiva (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 16462/2002, n. 795/2000)”.

 

 

14 settembre 2015

Roberta De Marchi

 

 

NOTE

1 Come precisato dalla Corte Costituzionale, con sentenza 11 giugno 2003, n. 202, l’esigenza di agevolare l’accesso alla tutela giurisdizionale, che giustifica il beneficio fiscale con riferimento agli atti del giudizio divorzile, è altresì presente nel giudizio di separazione, in quanto finalizzato ad agevolare e promuovere, in breve tempo, una soluzione idonea a garantire l’adempimento delle obbligazioni che gravano sul coniuge non affidatario della prole.

2 Al riguardo, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 11458 del 2005, ha precisato che “la norma speciale contenuta nell’art. 19 L. 6 marzo 1987, n. 74 … dev’essere interpretata nel senso che l’esenzione ‘dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa’ di ‘tutti gli atti, documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti del matrimonio’ si estende ‘a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi’, in modo da garantire l’adempimento delle obbligazioni che i coniugi separati hanno assunto per conferire un nuovo assetto ai loro interessi economici (Corte costituzionale 25 febbraio 1999, n. 41), anche con atti i cui effetti siano favorevoli ai figli (in questo senso già si era pronunciata la Corte costituzionale con sentenza 15 aprile 1992, n. 176, ma ancor più chiaramente e decisamente il principio è enunciato dalla sentenza della Corte costituzionale 11 giugno 2003, n. 202)”.

3 La giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. sentenza n. 7493 del 22 maggio 2002 che richiama la sentenza n. 2347 del 2001) è ferma nello statuire che le agevolazioni in questione “… operano con riferimento a tutti gli atti e convenzioni che i coniugi pongono in essere nell’intento di regolare sotto il controllo del giudice, i loro rapporti patrimoniali conseguenti allo scioglimento del matrimonio, ivi compresi gli accordi che contengono il riconoscimento o il trasferimento della proprietà esclusiva di beni mobili ed immobili all’uno o all’altro coniuge”.
Come affermato dalla Corte Costituzionale (cfr. sentenza n. 202 dell’11 giugno 2003), con il regime di esenzione disposto dall’art.19 il legislatore ha inteso escludere da imposizione gli atti del giudizio divorzile (o di separazione), al fine di favorire una rapida definizione dei rapporti patrimoniali tra le parti.

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