Per non pagare le sanzioni l'incertezza normativa va richiesta e provata dal contribuente e non è applicabile d’ufficio dal giudice

spetta al contribuente richiedere e provare il caso di incertezza normativa al fine di poter validamente chiedere di essere dispensato dal pagamento delle sanzioni tributarie

Con la sentenza n. 12768 del 19 giugno 2015, la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi dell’esimente dell’art.8, del D.Lgs.n. 546/92 (inapplicabilità delle sanzioni per obiettive condizioni di incertezza).

 

La sentenza

La Corte prende atto che, nel caso di specie, non sono stati svolti argomenti diretti a contestare la sanzione pecuniaria.

Osserva la Corte che “la generica richiesta di accertamento della non debenza delle sanzioni, contenuta nelle conclusioni del ricorso introduttivo, non può evidentemente valere, in un giudizio di tipo impugnatorio-misto, qual è quello tributario (in cui l’oggetto del giudizio è circoscritto dalle ragioni della pretesa fiscale riportate nell’atto opposto e dagli ‘specifici’ motivi di opposizione proposti dal contribuente), a ricomprendere nel thema decidendum anche vizi di nullità del ruolo o della cartella non puntualmente dedotti, quale nella specie la richiesta di applicazione della “esimente”, fondata su presupposti del tutto diversi (obiettiva incertezza sulla portata della norma tributaria violata) da quelli, attinenti ai requisiti formali dell’atto esecutivo, ed ai quali sembra doversi ricollegare la contestazione della carenza di motivazione del ruolo – formato dall’ente impositore e trasfuso nella cartella emessa ai sensi dell’art. 36-bis d.P.R. n. 600/1973 e notificata dal Concessionario -, in ordine ai criteri di liquidazione delle sanzioni pecuniarie: in proposito è appena il caso di rilevare come l’applicazione della “esimente” per obiettiva incertezza sulla portata applicativa della norma tributaria violata, non spieghi effetto sugli elementi formali di validità del provvedimento irrogativo della sanzione, ma solo sul differente piano della punibilità di una condotta, astrattamente configurante una fattispecie illecita, e che, in assenza della norma che prevede l’esimente, sarebbe soggetta a sanzione”.

Di conseguenza, puntualizza la Suprema Corte, “la pronuncia della CTR che ha annullato il ruolo e la cartella in relazione alla irrogazione delle sanzioni pecuniarie, applicando ex officio la ‘esimente’ di cui all’art. 8 d.lgs. n. 546/1992, esula dai limiti imposti dal ‘tantum devolutum’ ed incorre pertanto nella violazione dell’art. 112 c.p.c., dovendo ritenersi esclusa, in considerazione del modello impugnatorio-misto adottato dal Legislatore per il giudizio tributario, la rilevabilità di ufficio – in assenza di specifica eccezione del contribuente – dei presupposti applicativi della esimente (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 25676 del 24 ottobre 2008; Id. Sez. 5, Sentenza n. 24060 del 12 novembre 2014)”.

 

ANALISI

La sentenza che si annota, unitamente alle altre pronunce emesse nel corso di questi anni, ci consente di fare il punto sulla questione, e di offrire Lettore un preciso quadro di riferimento dell’ambito di applicazione dell’art. 8 del D.Lgs. n. 546/92.

 

La prassi

In sede di prassi, la C.M. n. 98/E del 23 aprile 1996 (in ordine all’art. 8 del D.Lgs. n. 546/92) ha ritenuto che “deve trattarsi di incertezza oggettiva – come, ad esempio, nei casi di divergenze di contenuto tra atti ufficiali dell’amministrazione – non anche di incertezza derivante da condizioni soggettive del ricorrente”.

La stessa Amministrazione finanziaria, con la circolare n. 180/E del 10 luglio 1998 ha chiarito che “si deve reputare che sussista incertezza obiettiva di fronte a previsioni normative equivoche, tali da ammettere interpretazioni diverse e da non consentire, in un determinato momento, l’individuazione certa di un significato determinato. Una tale situazione, non infrequente rispetto alle norme tributarie assai spesso complesse e non univoche, si può verificare, ad esempio, in presenza di leggi di recente emanazione rispetto alle quali non si sia formato un orientamento interpretativo definito, ovvero coesistano orientamenti contraddittori.”

 

La giurisprudenza di legittimità

In sede giurisprudenziale, sul versante delle regole e principi, con la sentenza n. 20302 del 4 settembre 2013 (ud. 4 luglio 2013) la Corte di Cassazione ha osservato che, “l’incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, in base al principio generale stabilito nel D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 2, poi inserito nel c.d. Statuto del contribuente dal D.Lgs. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, e del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8, postula una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, ossia insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento di interpretazione, in presenza di pluralità di prescrizioni di coordinamento difficoltoso per via di elementi positivi di confusione, che è onere del contribuente allegare; dette insicurezza ed equivocità, inoltre, vanno riferite non già ad un generico contribuente, nè a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata, all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di un determinata interpretazione (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 24670 del 28/11/2007; id. Sez. 5, Sentenza n. 2192 del 16/02/2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 13457 del 27707V2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 18434 del 26/10/2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 4522 del 22/02/2013; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 3245 del 11/02/2013)”.

 

Ancora di recente, con la sentenza n. 208 del 9 gennaio 2014 (ud. 16 ottobre 2013) la Cassazione ha richiamato il principio più volte affermato secondo cui, “intema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie,l’incertezza normativa oggettiva, che costituisce causa di esenzione delcontribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, postula unacondizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e suidestinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocitàdel risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazionenormativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a queicontribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci diinterpretazione normativa qualificata, e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione.Tale verifica è censurabile in sede di legittimità per violazione di legge,non implicando un giudizio di fatto, riservato all’esclusiva competenza delgiudice di merito, ma una questione di diritto, nei limiti in cui la stessarisulti proposta in riferimento a fatti già accertati e categorizzati nelgiudizio di merito (tra le tante, Cass. nn. 24670 del 2007, 19638 del 2009,2192, 4685, 13457 e 18434 del 2012, 3245 e 6190 del 2013)”.

 

E con l’ordinanza n.2379 del 4 febbraio 2014 la Corte di Cassazione ha ribadito i principi contenuti nella pronuncia n.14476/2003, secondo cui “In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il potere delle commissioni tributarie di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni in caso di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme alle quali la violazione si riferisce potere riconosciuto dall’art. 39 bis del dPR 26 ottobre 1972, n.636 (applicabile “ratione temporis”), tenuto fermo dall’art. 8 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e ribadito, con più generale portata, dall’art. 6, comma secondo, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 – sussiste quando la disciplina normativa, della cui applicazione si tratti, si articoli in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità’ del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione, il cui onere di allegazione grava sul contribuente“.

 

E con la sentenza n. 11452 del 23 maggio 2014 (ud 31 gennaio 2014) ha riconfermato l’orientamento secondo cui l’incertezza normativa oggettiva postula una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un qualsiasi contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata, e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione.

 

E con l’ordinanza n. 17250 del 29 luglio 2014 (ud. 18 giugno 2014) la Suprema Corte di Cassazione ha ricordato, nel solco di una serie di precedenti (Cass. 28.11.2007n. 24670, Cass. 21.03.2008, n. 7765 e Cass. 11.09.2009 n. 19638), che per “incertezza normativa oggettiva tributaria” deveintendersi “la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazioneper effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primoluogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che ècaratterizzata dall’impossibilità, esistente in sè ed accertata dal giudice,d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimentointerpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la qualeeffettuare la sussunzione di un caso di specie”. L’essenza del fenomeno “incertezza normativa oggettiva” si può rilevare attraverso una serie di “fatti indice” che compete “al giudice accertare e valutare nel loro valore indicativo, e che sono stati esemplificati: 1) nella difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative, dovuta magari al difetto di esplicite previsioni di legge; 2) nella difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) nella difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) nella mancanza di informazioni amministrative o nella loro contraddittorietà; 5) nella mancanza di una prassi amministrativa o nell’adozione di prassi amministrative contrastanti; 6) nella mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) nella formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, magari accompagnati dalla sollecitazione, da parte dei Giudici comuni, di un intervento chiarificatore della Corte costituzionale; 8) nel contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) nel contrasto tra opinioni dottrinali; 10) nell’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente. Tali fatti devono essere accertati ed esaminati ed inseriti in procedimenti interpretativi della formazione che siano metodicamente corretti e che portino inevitabilmente a risultati tra loro contrastanti ed incompatibili” (cfr. Cass. n. 4685/2012). Proprio richiamando tali principi, ai quali è stata data continuità da Cass. n. 14080/2013, Cass. n. 5210/2013, Cass. n. 5207/2013, per la Corte appare evidente e conclamata la presenza di una situazione di incertezza nel caso di specie (bonus qualitativi riconosciuti ai concessionari di autovetture delle case automobilistiche).

 

Sempre sul versante giurisprudenziale, in ordine alla prova, richiamiamo la pronuncia della Corte di Cassazione n. 4031/2012, che ha ricordato che la Corte ha stabilito che “in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il potere delle commissioni tributarie di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni in caso di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme alle quali la violazione si riferisce, … deve ritenersi sussistente quando la disciplina normativa, della cui applicazione si tratti, si articoli in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione; l’onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi di confusione, se esistenti, grava sul contribuente, sicchè va escluso che il giudice tributario di merito debba decidere d’ufficio l’applicabilità dell’esimente, nè, per conseguenza, che sia ammissibile una censura avente ad oggetto la mancata pronuncia d’ufficio sul punto” (Cass. nn. 22890 del 2006 e 7502 del 2009). Nel caso di specie questa “pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione non è rilevabile nella normativa applicabile”.

 

E da ultimo, con l’ordinanza n. 7067 dell’8 aprile 2015, la Corte di Cassazione, alla luce dei principi precedentemente espressi (Cass. Sent. nn. 4031/2012 e 22890/2006), ha riconfermato che “in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il potere delle commissioni tributarie di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni in caso di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme, cui la violazione si riferisce, sussiste quando la disciplina normativa da applicare si articoli in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione; l’onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi, se esistenti, grava sul contribuente, sicché va escluso che il giudice tributario di merito decida d’ufficio l’applicabilità dell’esimente”.

 

24 agosto 2015

Gianfranco Antico