Contro le indagini finanziarie servono prove analitiche

in caso di indagini finanziarie la prova liberatoria a carico del contribuente deve essere analitica e specifica, in ordine ad ogni movimentazione bancaria effettuata e contestata dal Fisco

Con la sentenza n. 13477 dell’1 luglio 2015 (ud. 25 marzo 2015) la Suprema Corte di Cassazione ha confermato che la prova liberatoria a carico del contribuente, per vincere la presunzione di cui all’art. 32, del D.P.R. n. 600 del 1973, deve essere analitica e specifica, in ordine ad ogni movimentazione bancaria effettuata.In senso sostanzialmenteconforme si era espressa la Corte con la sentenza n. 3776 del 25 febbraio 2015 (ud. 26 novembre 2014).

 

La sentenza

La corte rifissa, richiamando precedenti pronunce, una serie di principi:

  • (Cass. 13819/2007): “non è sufficiente al contribuente dimostrare genericamente di avere fatto affluire su un proprio conto corrente bancario, nell’esercizio della propria professione, somme affidategli da terzi in amministrazione, ma è necessario che egli fornisca la prova analitica della inerenza alla sua attività di maneggio di denaro altrui di ogni singola movimentazione del conto“;

  • (Cass. 7666/2008): “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presunzione legale relativa posta dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, vincola l’Ufficio tributario ad assumere per certo che i movimenti bancari effettuati sui conti correnti intestati al contribuente siano a lui imputabili, senza che risulti necessario procedere all’analisi delle singole operazioni, la quale è posta a carico del contribuente, in virtù dell’inversione dell’onere della prova” (cfr. Cass. 2752/2009; Cass. 21420/2012).

Brevi considerazioni

Ancora volta la Corte deve intervenire in materia di indagini finanziarie, leggendo, con estrema chiarezza, il dettato normativo di riferimento.

Le presunzioni fondate sulle movimentazioni bancarie legittimano l’ufficio a ritenere ricavi sia i versamenti che i prelevamenti, se il contribuente non riesce a dimostrare che ne ha tenuto conto ovvero che siano estranea alla sua attività.

 

Ricordiamo che, sempre la Corte di Cassazione, con sentenza n. 14052 del 27 giugno 2011 (ud. del 17 maggio 2011), ha confermato che l’Amministrazione finanziaria è legittimata alla rettifica del reddito attraverso le indagini finanziarie, competendo al contribuente dimostrare analiticamente l’irrilevanza reddituale dei movimenti bancari ovvero che gli stessi hanno avuto considerazione nella determinazione della base imponibile. Osserva il collegio, nello specifico che qui ci interessa, che in base all’orientamento espresso più volte dalla Corte, che qui si conferma, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, c. 2, consente all’amministrazione finanziaria di rettificare su basi presuntive la dichiarazione del contribuente utilizzando i dati relativi ai movimenti su conti bancari. “Si tratta di una presunzione legale di carattere relativo, in quanto è ammessa la prova liberatoria da parte del contribuente. Al quale resta garantito il diritto di difesa, potendo egli far valere le sue ragioni in sede contenziosa, depositando, anche a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, documenti e memorie fino alla data di trattazione del ricorso in primo grado. Consegue che, se il contribuente non dimostra che dei movimenti bancari acquisiti dall’ufficio egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che si tratta di movimentazioni che non si riferiscono a operazioni imponibili, è consentito all’amministrazione riferire i movimenti bancari all’attività svolta in regime d’Iva (Cass. n. 18421/2005; n. 26293/2005; n. 8422/2002;n. 3929/2002; n. 8457/2001; n. 2435/2001; n. 9946/2000)”.

 

E successivamente, con la sentenza n. 625 del 18 gennaio 2012 (ud. 20 settembre 2011) la Corte di Cassazione ha confermato che “è legittima l’utilizzazione da parte dell’amministrazione finanziaria (anche attraverso un puntuale richiamo, nell’avviso di accertamento, al verbale di ispezione redatto dalla guardia di finanza) dei dati relativi ai movimenti bancari del contribuente, che costituiscono valida prova presuntiva, restando a carico del contribuente l’onere della prova contraria (v. tra le altre cass. n. 7329 del 2003 e n. 15447 del 2001)”. La Corte, inoltre, rileva “che la prova contraria fornita dal contribuente deve essere specifica (v. cass. n. 14675 del 2006), non potendo contrapporsi alla presunzione legale in materia una affermazione generica (v. cass. n. 25365 del 2007), ed essendo in particolare da evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità espressasi con specifico riguardo ad accertamento in materia di IVA, qualora l’amministrazione proceda utilizzando, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, i dati risultanti dai movimenti dei conti correnti bancari, la prova che il contribuente è tenuto a dare della non riferibilità ad operazioni imponibili deve essere specifica e riguardare analiticamente i singoli movimenti bancari, così da dimostrare che ciascuna delle operazioni effettuate è estranea a fatti imponibili (v. cass. n. 1739 del 2007)”.

 

Sempre di recente, la sentenza n. 4688 del 23 marzo 2012 (ud 14 marzo 2012) della Corte di Cassazione aveva confermato, ancora una volta, che i movimenti bancari vanno documentati in sede di indagine finanziaria. Per la Suprema Corte, “le presunzioni fondate sulle movimentazioni bancarie legittimano l’Ufficio a considerare come ricavi i versamenti e i prelevamenti dei quali il contribuente non riesca a dare giustificazione: per poter accertare la natura di costi degli addebiti; in particolare, al fine della loro deducibilità, è necessario che il contribuente fornisca prova contraria alla rilevanza fiscale delle movimentazioni bancarie (Cass, 17/6/2008, n. 16341)”. Infatti, “la presunzione legale relativa posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, costituisce una eccezione al principio del libero apprezzamento delle prove da parte del giudice ed alla regola dell’onere della prova. La motivazione dei giudici d’appello è esente da censura, in ordine ad entrambi i vizi denunciati, avendo fatto corretta applicazione, con un’adeguata motivazione, dei principi in tema di presunzione ricavatale dalla movimentazione bancaria in quanto ogni accredito nel conto corrente bancario equivale a ricavo che aumenta il reddito, in mancanza di prova contraria”. Inoltre, “anche i costi relativi ad acquisti non documentati devono considerarsi ricavo operando la presunzione di operazioni non fatturate e, nel caso di specie, in base alla motivazione della sentenza impugnata, non specificamente contestata sul punto, la ricorrente non è stato in grado di produrre fatture emesse o ricevute riconducibili alle operazioni bancarie indicate”.

 

E con la sentenza n. 1426 del 22 gennaio 2013 (ud. 21 novembre 2012) la Corte di Cassazione ha riconfermato il principio che in materia di movimenti bancari spetta al contribuente giustificarli, attraverso una prova specifica. Per i massimi giudici, “in base al consolidato orientamento di questa Corte, in virtù dell’inversione dell’onere della prova stabilito dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, è onere del contribuente dimostrare che i proventi desumibili dalla movimentazione bancaria non devono essere recuperati a tassazione o perchè egli ne ha già tenuto conto nelle dichiarazioni, o perchè non sono fiscalmente rilevanti in quanto riferiti ad operazioni non imponibili, mentre l’onere dell’amministrazione finanziaria di provare la sua pretesa è soddisfatto, per volontà di legge, per mezzo dei dati e degli elementi risultanti dai conti bancari il legislatore ha valutato come altamente probabile, secondo l’id quod plentmque accidit, che il contribuente si avvalga di lutti i conti di cui possa disporre per le rimesse ed i prelevamenti inerenti all’esercizio dell’attività (Cass. 14 gennaio 2011, n. 767; Cass. 29 luglio 2011, n. 16650)”. Nel caso di specie, “il fatto che gli accertatori non abbiano fatto riscontri incrociati anche con terzi e fornitori comporta, eventualmente, una lacuna probatoria che non giova al contribuente, il quale avrebbe dovuto fornire la prova della non imponibilità dei movimenti finanziari; il fallimento o comunque la carenza di tale prova lasciano intatta la presunzione stabilita dall’art. 32 (Cass. 22 ottobre 2010, n. 21695)”. Di conseguenza, la Corte afferma il seguente principio di diritto: “La presunzione fissata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 32, che il contribuente si avvale di tutti i conti di cui possa disporre per le rimesse ed i prelevamenti inerenti all’esercizio dell’attività può essere superata soltanto con la prova specifica della non imponibilità dei movimenti finanziari, che va fornita dal contribuente“.

 

E con la sentenza n. 1560 del 28 gennaio 2015 (ud. 26 novembre 2014) la Corte di Cassazione ha confermato che “a fronte di detta presunzione legale il contribuente è onerato di fornire la prova contraria, anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purchè grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative (Cass. 22502/2011)”. Prosegue la Corte affermando che “la presunzione di riferibilità dei movimenti bancari ad operazioni imponibili si correla, infatti, ad una valutazione del legislatore di rilevante probabilità che il contribuente si avvalga del conto corrente bancario per effettuare rimesse e prelevamenti inerenti all’esercizio dell’attività d’impresa, onde alla presunzione di legge (relativa) non può contrapporsi una mera affermazione di carattere generale, nè è possibile ricorrere all’equità (Cass. 13035/12)”. E nel caso di specie, osserva la Corte, “la CTR ha completamente omesso la analitica valutazione delle risultanze del conto corrente bancario poste a fondamento dell’accertamento e delle giustificazioni, correlate alle suddette movimentazioni, da parte del contribuente, erroneamente affermando da un lato che il contribuente non poteva fornire più dettagliate informazioni, in conseguenza del regime di contabilità, semplificata, adottato, dall’altro che in caso di dubbio spettava all’Amministrazione finanziaria effettuare ulteriori accertamenti. Tali statuizioni sono in contrasto con la presunzione legale posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, che ha portata generale, riguardando la rettifica delle dichiarazioni dei redditi di qualsiasi contribuente, quale che sia la natura dell’attività svolta e dalla quale quei redditi provengano (Cass. 19692/11) e che pone un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, a prescindere dal regime di contabilità. Pertanto, il contribuente – e non già l’Amministrazione finanziaria – è tenuto a fornire prova contraria alle risultanze, che deve essere valutata dal giudice, non già in modo generico, ma in rapporto agli elementi risultanti dai conti correnti, per verificare, attraverso i riscontri possibili (date, importi, tipo di attività, soggetti coinvolti), se ed eventualmente a quali operazioni la documentazione fornita dal contribuente si riferisca, così da escludere dal calcolo dell’imponibile soltanto quanto risultante dai singoli movimenti bancari (Cass. 16650/2011)”.

28 agosto 2015

Roberta De Marchi