Voluntary Disclosure: il problema dei prelievi non giustificati

I prelevamenti in contanti da conti correnti esteri, devono sempre essere spiegati al Fisco in fase di presentazione della Voluntary disclosure: i prelievi non giustificati possono essere altrimenti considerati reddito per il contribuente

I prelevamenti in contanti da conti correnti esteri devono sempre essere spiegati all’Amministrazione finanziaria.

Con l’arrivo della seconda circolare della Agenzia delle entrate sulla Voluntary Disclosure, n. 27/E del 16 luglio 2015, vengono forniti ulteriori chiarimenti usando la tecnica delle domande e risposte (c.d. FAQ).

Tra le risposte fornite “spicca” quella sui “prelievi non giustificati” operati su conti correnti esteri.

In riferimento a tale questione, l’Amministrazione ribadisce la propria posizione sottolineando, preliminarmente, la necessità che “il soggetto che aderisce alla procedura debba dettagliare, oltre agli incrementi delle attività estere, anche i decrementi delle stesse…”.

Uno dei problemi sorti all’indomani dell’emanazione della legge che ha introdotto in Italia l’istituto della “collaborazione volontaria” con il fisco, nota anche come Voluntary disclosure (L. 186 del 15 dicembre 2014), era quello relativo ai prelevamenti in contanti da conti correnti esteri in quanto, in fase di “emersione” dei patrimoni illecitamente detenuti all’estero, è necessario “confessare” tutto al Fisco. Non è sufficiente, infatti, dichiarare gli investimenti e le attività finanziarie detenute al di fuori dell’Italia, così come era avvenuto nelle varie edizioni del noto “scudo fiscale”, ma è necessario indicare anche in che modo esse si sono formate e quali redditi hanno procurato al contribuente, anche nella fase di disinvestimento.

Oltre alla documentazione prevista dall’apposito provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate del 30 gennaio 2015, il contribuente che accede alla collaborazione volontaria deve anche presentare una relazione di accompagnamento, che diviene parte integrante della richiesta stessa di accesso alla procedura, che per ciascuna annualità coinvolta non solo rappresenti analiticamente i dati schematicamente riportati nella richiesta, ma che fornisca altresì tutte le notizie a supporto “atte a rendere gli stessi (dati, ndA) intellegibili”.

 

La circolare n. 10/E del 13 marzo 2015, attraverso la quale l’Agenzia delle entrate ha fornito i primi chiarimenti sulla collaborazione volontaria, a proposito della relazione, evidenzia che essa deve comprendere:

  • l’ammontare degli investimenti e delle attività di natura finanziaria costituite o detenute all’estero, anche indirettamente o per interposta persona;

  • la determinazione dei redditi che servirono per costituirli o acquistarli, nonché dei redditi che derivano dalla loro dismissione o utilizzazione a qualunque titolo;

  • la determinazione degli eventuali maggiori imponibili agli effetti delle imposte sui redditi e relative addizionali, delle imposte sostitutive, dell’imposta regionale sulle attività produttive, dei contributi previdenziali, dell’imposta sul valore aggiunto e delle ritenute ancorché non connessi con le attività costituite o detenute all’estero.

La circolare n. 10/E sottolinea, quindi, che devono essere date indicazioni anche con riferimento agli utilizzi, degli investimenti esteri, effettuati “a qualunque titolo”.

Può capitare, però, che i soggetti che detengono investimenti all’estero, abbiano provveduto al loro utilizzo, nel corso del tempo, per motivi di carattere del tutto personale. Il classico esempio è dato dal denaro: chi ha un conto all’estero potrebbe avere prelevato, anche in più riprese, delle somme al fine di effettuare spese personali. Di tali spese potrebbero benissimo mancare anche i giustificativi: si pensi, a puro titolo esemplificativo, ad un soggetto che avendo un conto corrente all’estero, non dichiarato al Fisco, provveda a prelevare 15mila euro nel corso di un determinato anno, e che tale denaro venga poi speso per l’acquisto di capi di abbigliamento e accessori. Probabilmente le pezze giustificative di tali spese non saranno state conservate, ed anche se esistenti potrebbero essere fiscalmente non sufficienti per giustificare l’esborso in contanti.

 

Proprio nell’ambito di tale questione, la nuova circolare n. 27/E dell’Agenzia delle entrate, emanata in data 16 luglio scorso, rispondendo ad una precisa domanda in merito, fornisce importanti chiarimenti che, però, creano qualche ulteriore “angoscia”.

Premettendo che i prelevamenti da conti esteri “riferibili a persone che non esercitano attività di impresa”, di regola non sono gravati da alcun tipo di presunzione legale di reddito di alcun tipo, l’Amministrazione finanziaria evidenzia immediatamente come i prelevamenti costituiscono, comunque, una variazione del patrimonio detenuto all’estero “per il quale è necessario dimostrare il rientro in Italia o la perdita del possesso”.

Con riferimento, quindi, al prelievo di contante, facendo presente che per tale rientro di capitali in Italia potrebbe essere stata compilata la dichiarazione di “trasporto al seguito”, l’Agenzia arriva d individuare le seguenti situazioni:

  • il denaro prelevato è stato utilizzato per costituire, in tutto o in parte, una nuova attività patrimoniale o finanziaria in Italia;

  • il denaro prelevato è stato utilizzato per l’acquisizione di beni o servizi;

  • del denaro prelevato si è perso il possesso in quanto destinato ad altre persone o a liberalità o donazioni.

 

Il problema sorge con riferimento alla seconda ipotesi, ossia al consumo del denaro per l’acquisizione di beni o servizi di cui non si sono conservate le pezze giustificative, in quanto negli altri casi una documentazione ci dovrebbe sempre essere.

Nell’ipotesi del denaro prelevato per spese personali, la circolare arriva ad effettuare alcune considerazioni che fanno pervenire alla seguente ulteriore classificazione:

  • prelievi cadenziati: nel caso di prelevamenti dal conto corrente di natura “cadenziata”, ossia periodica, che rimangano, però, all’interno del rendimento delle attività illecitamente detenute all’estero e sempre che queste ultime non subiscano incrementi attraverso versamenti in contanti, si può trattare di somme destinate ai consumi personali, che non possono essere dimostrati ma che non portano a compromettere l’intera procedura di collaborazione volontaria;

  • prelievi non cadenziati giustificabili: nel caso in cui, invece, i prelievi effettuati nei conti correnti esteri siano non cadenziati, ma si tratti di prelievi spot, di importo rilevate e cioè superiore alla redditività annuale delle attività presenti sul conto, la circolare ritiene che, nella maggior parte dei casi, “l’impiego degli importi in contanti prelevati possa ricondursi alla trasformazione patrimoniale”, e cioè all’acquisto di beni quali, ad esempio, immobili, imbarcazioni, gioielli, ecc., oppure a donazioni o liberalità. In ogni caso, si tratta di utilizzi dimostrabili e, quindi, che non arrivano a compromettere la procedura;

  • prelievi non cadenziati non giustificabili: per tale tipologia di utilizzo, ossia per i prelievi spot in riferimento ai quali il contribuente non riesce a fornire spiegazioni in ordine alla loro destinazione, e che vanno ad intaccare, afferma la circolare, “la consistenza patrimoniale media illecitamente detenuta all’estero”, se il contribuente si rifiuta di fornire spiegazioni potrebbe avvenire l’esclusione dello stesso contribuente dalla procedura “per incompletezza”. Ribadisce, infatti, la circolare a tale proposito che la mancata dimostrazione del rientro in Italia delle somme o del loro utilizzo può stare ad indicare che “dette somme siano servite per costituire o acquistare un’ulteriore attività estera indebitamente non ricompresa nella procedura”.

 

Tale ultima conclusione che si ritiene riguardi, purtroppo, un numero non limitato di contribuenti, creerà certamente qualche problema: non è raro il caso in cui, infatti, un soggetto detentore di denaro all’estero abbia effettuato prelevamenti di una certa entità, nel corso del singolo anno, al fine di “coprire” tutta una serie di spese personali per un periodo di non breve termine. Tali utilizzi oggi, in presenza della voluntary, non saranno di certo giustificabili, visto che per del denaro prelevato in contante ci sarà stato, ovviamente, un utilizzo in contante e le pezze giustificative, anche se conservate, nella maggior parte dei casi saranno “anonime” (si pensi, per esempio, agli scontrini).

Per tali soggetti, quindi, pende come una spada di Damocle tale tipo di situazione, essendo possibile che, una volta presentata la richiesta di collaborazione volontaria accompagnata dalla relativa relazione, in cui verranno date spiegazioni non sostenute, però, da apposita ed inconfutabile documentazione, l’Ufficio possa ritenere insufficienti i chiarimenti forniti, facendo decadere il soggetto dalla predetta collaborazione. E’ evidente che, a questo punto, si aprirebbero scenari a dir poco “pesanti” per tale contribuente, a cui saranno applicate non solo tutte le sanzioni nella loro interezza, ma anche i reati penali, visto che verrebbe a saltare ogni copertura al riguardo.

La presa di posizione molto rigida, da parte dell’Agenzia, risulta gettare un’ulteriore ombra nella già non facile procedura collaborativa, ombra degna, sicuramente, di grandi riflessioni.

 

22 luglio 2015

Michele Brusaterra