La ripartizione dei costi infragruppo e cost sharing agreements

la deducibilità fiscale dei costi che la capogruppo ripartisce fra le controllate per le attività svolte a favore del gruppo è spesso contestata dal Fisco: gli ultimi principi giurisprudenziali in tema di inerenza e deducibilità di tali spese

Il trattamento fiscale dei cost sharing agreements

cassazione reato indebita compensazioneLa sentenza della Corte di Cassazione, n. 9361, depositata in data 08.05.2015, ha chiarito il trattamento fiscale dei cosiddetti cost sharing agreeements, inquadrabili fra i costi infragruppo che la controllante, al fine di coordinare le scelte operative delle aziende, formalmente autonome, facenti parte del gruppo, e/o ridurre i costi di gestione attraverso economie di scala, fornisca servizi e curi le attività nell’interesse del gruppo, ripartendone poi i costi tra le varie consociate.

In tal caso però l’onere della prova in ordine all’inerenza e alla deducibilità del costo per il corrispettivo riconosciuto alla capogruppo spetta alla controllata, la quale deve dimostrare non solo l’esistenza della prestazione, ma anche che dal servizio ne abbia ricavato un’effettiva utilità, oggettivamente determinabile e documentabile.

Spesso, società facenti parte di un medesimo gruppo regolano infatti la suddivisione delle spese per mezzo di scritture private, in base alle quali una delle società (o la stessa capogruppo) si impegna a eseguire una serie di servizi nei confronti delle altre.

La suddivisione dei costi infragruppo: attenzione alle verifiche del Fisco

Nel caso in cui però l’Amministrazione finanziaria chieda conto dei criteri e delle modalità di suddivisione di tali spese, il contribuente oggetto di controllo dovrà necessariamente produrre la relativa documentazione giustificativa, che ne provi certezza ed effettività, pena la indeducibilità del costo.

Del resto è chiaro che l’onere della prova sia in tali casi a carico del contribuente.

La fattispecie in esame rientra, come detto, nei cosiddetti rapporti di service infragruppo che, di solito, contemplano rapporti di assistenza amministrativa, fornitura di servizi, attività di marketing.

La dottrina ha individuato le seguenti due forme di accordi che possono regolare il service infragruppo:

  • service agreement: accordo sulla base del quale le società stabiliscono un corrispettivo specifico per la fruizione di un determinato servizio, senza la correlazione diretta dello stesso con i costi sostenuti dalla società fornitrice;
  • cost-sharing agreement: accordo basato su di una suddivisione diretta del costo sostenuto dalla società fornitrice fra tutte le società fruitrici.

I costi sostenuti da una società per la fruizione di un servizio infragruppo debbono, quindi, per essere deducibili, essere dotati dei requisiti generalmente ed ordinariamente richiesti dalla normativa tributaria per qualsiasi componente negativo di reddito.

Tra questi, in primis, il requisito dell’inerenza, che, come noto, implica la necessità che sussista e che, come giustamente ricorda la Cassazione nella sentenza in commento, sia dimostrato e documentato, non solo un rapporto fra i servizi forniti e quelli effettivamente necessari alla gestione e allo sviluppo della singola società del gruppo, ma anche un collegamento degli stessi servizi alla specifica attività economica esercitata dalla società e ai redditi dalla stessa prodotti.

Al fine di determinare la rilevanza fiscale di un rapporto di service in termini di inerenza è, quindi, innanzitutto necessario provare che il servizio offerto (nell’ambito del gruppo) generi un’utilità (cioè un vantaggio specifico) per la società fruitrice e non (solo o, comunque, non prevalentemente) per il gruppo in generale, non potendosi, per esempio, parlare di costo della consociat,a laddove la capogruppo fornisca servizi connessi direttamente alle esigenze sue proprie di direzione generale.

La congruità dei costi infragruppo

Provata infine l’esistenza del costo e la sua inerenza (all’attività della consociata e non della capogruppo), andrà dimostrata anche la congruità del costo.

I costi per i servizi infragruppo devono infatti comunque essere suddivisi fra le varie consociate, in relazione (specifica) ai benefici che ciascuna di esse può ottenere (ed effettivamente ottiene) dalla loro utilizzazione, individuando (quanto meno) i seguenti fattori, rilevanti ai fini della congruità dei corrispettivi:

  • inclusione o meno del corrispettivo del servizio nel prezzo dei beni ceduti;
  • effettiva utilizzazione del servizio da parte della consociata italiana;
  • effettiva incidenza del servizio sulla riduzione dei costi per l’affiliata;
  • rapporto tra l’utile di esercizio, la riduzione dei costi (in relazione alla prestazione resa) e il corrispettivo pagato;
  • vantaggi conseguiti dall’affiliata in relazione alla prestazione del servizio.

La verifica della congruità del prezzo potrà del resto rilevare anche sotto il profilo della determinazione del valore normale ai fini del transfer pricing.

I cost sharing agreements

Nello specifico, tali accordi possono infatti prevedere: attività di assistenza e supporto tecnico; attività di assistenza amministrativa in campo legale, contabile e fiscale; attività di marketing, finalizzate alla creazione di una immagine di gruppo; la fornitura di servizi di ricerca e sviluppo.

Atteso il loro potenziale impatto elusivo, i contratti di service infragruppo possono quindi essere vagliati, sia sotto il profilo dell’esistenza, che dell’inerenza, che del transfer pricing, al fine di accertare che la loro stipula risponda a logiche di carattere economico e non ad esigenze di pianificazione tributaria.

Una strumentale alterazione del valore normale dei servizi resi o ricevuti potrebbe infatti risolversi nella illegittima riduzione del carico fiscale del gruppo, in particolare laddove avente ramificazioni internazionali.

Visto poi che l’onere della prova in ordine alla loro deducibilità spetta, come per tutti i componenti negativi, al contribuente, la società dovrà senz’altro dotarsi di un corredo documentale in grado di attestare l’effettività, inerenza e congruità delle prestazioni.

Ciò che però ora sottolinea la Cassazione con la sentenza in commento è che la deducibilità fiscale degli oneri derivanti da un rapporto di service non è vincolata al solo rispetto dei requisiti ‘ordinari’, occorrendo, in aggiunta, che il servizio reso dalla controllante generi una utilità, effettiva e non occasionale in capo alle consociate, traducendosi in un reale ‘vantaggio’ per le società fruitrici dei servizi.

Laddove poi il prezzo non risulti congruo, se vi è una differenza con i prezzi applicati in condizioni di libero mercato,

ciò può indicare che le condizioni delle relazioni commerciali e finanziarie delle imprese associate non sono concorrenziali, risultando pertanto necessario sostituire il prezzo applicato nel corso di una transazione controllata con il prezzo della transazione sul libero mercato” (vedi capitolo II, paragrafo C, del Rapporto Ocse del 1996).

Si potrebbe, tuttavia, in tali casi ancora eccepire che i prezzi di vendita alle consociate devono essere per forza inferiori (o superiori), dato che tali società, a differenza degli altri clienti (esterni), svolgono (o ricevono) altre funzioni che devono essere adeguatamente remunerate: costi della funzione commerciale, costi di subagenzia, rischio di insoluto, onere di riacquisto dei capi invenduti eccetera.

Ma questo punto di vista non è condivisibile.

Infatti, può anche essere vero (sempre che sia provato) che le controllate svolgano o ricevono funzioni che comportano maggiori oneri rispetto ai clienti non del “gruppo”. Ma, come affermato anche nella direttiva Ocse, una parte può effettivamente assicurare un vasto numero di funzioni in relazione a quelle dell’altra parte della transazione, ma ciò che rileva è il reale significato economico di quelle funzioni, in termini di frequenza, natura e valore per le rispettive parti della transazione.

Il problema degli sconti infragruppo

In pratica, ciò che deve essere appurato è se gli sconti effettuati alla controllata possono davvero considerarsi giustificati da tali maggiori oneri “funzionali”: quella effettiva utilità, appunto di cui parla la Corte nella sentenza in esame.

L’aspetto maggiormente significativo di tale tipologia di accordi va quindi individuato nella corretta determinazione delle quote di costi addebitate dalla società che svolge le funzioni accentrate (di norma la capogruppo) alle consociate contraenti le quali fruiscono dei servizi connessi a dette funzioni centralizzate.

E da un punto di vista probatorio potrà a tal fine essere utile un contratto stipulato per iscritto, concluso in via preventiva rispetto alla sua esecuzione e che specifichi:

  • l’indicazione delle società partecipanti all’accordo;
  • la descrizione dei servizi oggetto dell’accordo;
  • la determinazione dei costi da ripartire, il metodo di rilevazione dei costi ed eventuali variazioni;
  • la determinazione del beneficio atteso dai singoli partecipanti;
  • la determinazione dei fattori di ripartizione;
  • la durata del contratto.

Laddove poi l’utilità funzionale del costo non sia dimostrata, oppure sia evidente la duplicazioni di componenti negativi di reddito, l’Amministrazione Finanziaria potrà allora contestare la carenza del requisito dell’inerenza in capo alla società fruitrice, supponendo l’esistenza di illegittime forme di pianificazione fiscale, realizzate mediante il “trasferimento intercompany” di materia imponibile.

Nel 2022 abbiamo trattato un nuovo caso relativo ai cost sharing agreements > 

3 luglio 2015

Giovambattista Palumbo