IVA pagata a seguito di accertamento e l'esercizio della rivalsa

è incompatibile con il diritto comunitario la preclusione della rettifica della fattura a seguito di accertamento della maggiore IVA: ciò è quanto puntualizzato dalla Corte Giustizia UE

Aspetti generali

È incompatibile con il diritto comunitario la preclusione della rettifica della fattura a seguito di accertamento della maggiore IVA: ciò è stato in sintesi puntualizzato dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza del 23.4.2015, in esito alla causa C-111/14, con riferimento alla legislazione bulgara.

Le norme IVA interne della Bulgaria impedivano al prestatore di servizi che versa l’IVA a seguito di accertamento di addebitare l’imposta in rivalsa, con la conseguente lesione del principio di neutralità.

L’ordinamento interno italiano appare coerente con detto principio: ai sensi dell’art. 60, settimo comma, del D.P.R. n. 633/1972, il cedente può infatti addebitare in rivalsa l’IVA accertata, e il cessionario la può detrarre entro la dichiarazione del secondo anno successivo a quello del pagamento in rivalsa.

La pronuncia pregiudiziale

La domanda di pronuncia pregiudiziale sottoposta alla Corte di Giustizia riguardava l’interpretazione degli artt. 193 e 194 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio e in particolare il principio di neutralità dell’imposta.

Nel caso sottoposto all’esame dei giudici comunitari è emerso che la legge bulgara non consente né il rimborso, né l’addebito in rivalsa dell’IVA che il prestatore del servizio ha pagato a seguito di accertamento: ciò incide sulla neutralità di tale imposta, in quanto il tributo viene a gravare sul prestatore.

Richiamando la propria giurisprudenza pregressa, la Corte UE ha affermato che i provvedimenti legislativi strumentali ad assicurare la riscossione dell’IVA non possono essere utilizzati in modo da mettere in discussione la neutralità della stessa, che costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’imposta.

Né le misure antielusive e antifrode adottate dagli Stati membri possono eccedere quanto necessario per raggiungere tali obiettivi e, in particolare, non possono produrre effetti che mettano in discussione la neutralità dell’imposta, producendo fenomeni distorsivi in conseguenza dei quali la tassazione grava su soggetti diversi dai consumatori finali.

Le disposizioni comunitarie coinvolte dalla decisione sono le seguenti:

  • art. 193 della direttiva IVA [«L’IVA è dovuta dal soggetto passivo che effettua una cessione di beni o una prestazione di servizi imponibile, eccetto che nei casi in cui l’imposta è dovuta da una persona diversa in virtù degli articoli da 194 a 199 e 202»];

  • art. 194 della direttiva IVA [«1. Se la cessione di beni o la prestazione di servizi imponibile è effettuata da un soggetto passivo non stabilito nello Stato membro in cui è dovuta l’IVA, gli Stati membri possono prevedere che il debitore dell’imposta sia il destinatario della cessione di beni o della prestazione di servizi. 2. Gli Stati membri determinano le condizioni di applicazione del paragrafo 1»].

     

Il diritto bulgaro

L’art. 82 della legge bulgara sull’IVA («ZDDS») determina il debitore dell’IVA in caso di un’operazione imponibile.

L’art. 82, paragrafo 1, di tale testo normativo, prevede che «l’imposta è dovuta dal fornitore/prestatore del bene/servizio imponibile registrato ai fini dell’IVA conformemente alla presente legge, fatta eccezione per i casi disciplinati nei paragrafi 4 e 5».

Il successivo par. 2 aggiunge che «[s]e il fornitore o il prestatore di servizi è un soggetto passivo d’imposta non stabilito nel territorio nazionale e il luogo dell’adempimento della cessione o prestazione di servizi imponibile è situato in esso, l’imposta è dovuta dal destinatario in caso di:

(…)

3) prestazione di servizio, quando il destinatario è un soggetto passivo in forza dell’articolo 3, paragrafi 1, 5 e 6».

Il soggetto passivo può esercitare il diritto a detrazione se dispone di un documento fiscale redatto secondo i requisiti di cui agli articoli 114 e 115, in cui l’IVA sia indicata separatamente rapportata ai beni o ai servizi di cui il soggetto sia destinatario [art. 71 ZDDS].

Ulteriori disposizioni IVA interne bulgare stabiliscono le facoltà esercitabili dall’amministrazione finanziaria in materia di accertamento e rimborso.

In particolare, l’art. 129 del codice di diritto processuale in materia tributaria e previdenziale stabilisce che:

«1. La compensazione o il rimborso possono essere eseguiti dall’amministrazione tributaria d’ufficio o su richiesta scritta della persona interessata. La domanda di compensazione o rimborso viene presa in esame, qualora essa sia stata presentata entro un termine quinquennale decorrente dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto per il rimborso, a meno che la legge non disponga diversamente.

(…)

5. L’amministrazione tributaria è tenuta, conformemente al paragrafo 2, punto 2, entro il termine di 30 giorni dalla data di ricezione di una decisione giudiziaria passata in giudicato o di un atto amministrativo definitivo, a rimborsare o compensare interamente le somme ivi indicate, inclusi gli interessi dovuti ai sensi del paragrafo 6, qualora con la decisione o l’atto amministrativo sia stato riconosciuto sussistente in capo al debitore un diritto al pagamento di:

1) importi erroneamente o indebitamente corrisposti, versati o riscossi in relazione a tributi, contributi sociali obbligatori, diritti, sanzioni pecuniarie, ammende, accertati, riscossi o applicati dall’amministrazione tributaria, inclusi gli importi versati sulla base di ordini o prese di posizione scritti;

2) importi il cui rimborso è stato illegittimamente negato;

3) somme accordate, indennizzi e spese sostenute.

(…)

7. Avverso gli avvisi di compensazione o rimborso può essere proposto ricorso secondo la procedura prevista per i ricorsi contro gli avvisi di rettifica».

La fattispecie

La vertenza sfociata nella causa avanti la CGCE traeva origine da un accertamento tributario con il quale l’amministrazione finanziaria bulgara aveva constatato a una società tedesca (GST – Sarviz) l’esistenza di una stabile organizzazione in Bulgaria, con la conseguente necessità di adempiere agli obblighi IVA strumentali e sostanziali.

La GST – Sarviz aveva pagato l’importo richiesto dall’amministrazione tributaria e aveva in seguito prodotto una domanda di compensazione o rimborso dell’imposta assolta in base all’art. 129, par. 1, del richiamato codice di diritto processuale in materia tributaria e previdenziale.

Nel suo avviso di compensazione o rimborso, del 1° ottobre 2012, l’amministrazione tributaria aveva negato il rimborso in quanto non aveva ravvisato i presupposti di legge per il rifondere l’IVA.

Ciò era motivato (nel pensiero dell’amministrazione) dal fatto che, poiché l’avviso di accertamento era un atto amministrativo valido, e non vi era una decisione giudiziaria passata in giudicato o di un atto amministrativo definitivo, l’imposta assolta non poteva essere considerata indebita ed essere restituita.

Le questioni sottoposte alla Corte

Il tribunale amministrativo adito aveva deciso di sospendere la pronuncia sottoponendo alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

  • se l’art. 193 della direttiva IVA fosse da interpretare nel senso che l’IVA è dovuta, dal soggetto passivo ovvero dalla persona che acquisisce i beni o riceve la prestazione di servizi, ma non contemporaneamente da entrambe le persone;

  • dovendosi presumere che l’IVA sia dovuta da una sola delle due persone – dal fornitore del bene o dal prestatore del servizio oppure dall’acquirente o dal destinatario di essi – se il disposto dell’art. 194 della direttiva IVA valga anche per i casi in cui il destinatario delle prestazioni abbia applicato erroneamente la procedura dell’autoliquidazione perché convinto che il prestatore non disponesse di un’organizzazione stabile nello Stato;

  • se il principio di neutralità dell’imposta sia da interpretare nel senso di poter ritenere con esso compatibile una prassi di controllo fiscale secondo cui l’IVA, nonostante l’applicazione del meccanismo dell’autoliquidazione da parte della destinataria della prestazione, è nuovamente calcolata anche a carico della prestatrice del servizio;

  • se il principio di neutralità dell’IVA sia da interpretare nel senso che osta a che l’amministrazione tributaria, sulla base di una norma giuridica nazionale, neghi al prestatore di un servizio, per il quale il destinatario abbia già determinato l’imposta, il rimborso dell’IVA calcolata due volte.

     

Solo il soggetto passivo è debitore

In sostanza, con la prima questione il giudice del rinvio chiedeva se l’art. 193 della direttiva IVA deve essere interpretato nel senso che è debitore dell’IVA solo il soggetto passivo che fornisce una prestazione di servizi o il destinatario di tale prestazione quando quest’ultima è stata fornita a partire da una stabile organizzazione (SO) situata nello Stato membro in cui l’IVA è dovuta.

La Corte ha osservato al riguardo che, conformemente all’art. 193 della direttiva IVA, l’IVA è dovuta dal soggetto passivo che effettua una prestazione di servizi imponibile, eccetto che nei casi in cui l’imposta è dovuta da una persona diversa in virtù, in particolare, dell’art. 194 della medesima direttiva. In forza di tale ultima disposizione normativa, se la prestazione di servizi imponibile è fornita da un soggetto passivo non stabilito nello Stato membro in cui è dovuta l’IVA, gli Stati membri possono prevedere che il debitore dell’imposta sia il destinatario della prestazione di servizi.

Su questa base, la Corte ha precisato che l’art. 193 della direttiva va interpretato nel senso che è debitore dell’IVA solo il soggetto passivo che fornisce una prestazione di servizi quando quest’ultima è fornita a partire da una SO situata nello Stato membro in cui tale imposta è dovuta.

La posizione del destinatario del servizio

Con la sua seconda questione chiedeva se l’art. 194 della direttiva debba essere interpretato nel senso che consente all’amministrazione tributaria di uno Stato membro di considerare debitore dell’IVA il destinatario di una prestazione di servizi fornita a partire da una SO del prestatore quando sia quest’ultimo sia il destinatario di tali servizi siano stabiliti sul territorio dello stesso Stato membro, anche se tale destinatario abbia già assolto all’obbligo IVA basandosi sull’errata supposizione che il prestatore non disponesse di una SO residente.

Secondo i giudici comunitari, il destinatario della prestazione anche in tale ipotesi non può ritenersi debitore dell’IVA.

La risposta è stata quindi nel senso che l’art. 194 della direttiva IVA non consente in nessun caso all’amministrazione tributaria di uno Stato membro di considerare debitore dell’IVA il destinatario di una prestazione di servizi fornita a partire da una SO del prestatore quando sia quest’ultimo, sia il destinatario di tali servizi, siano stabiliti sul territorio dello stesso Stato membro.

Sul principio di neutralità

Con le questioni terza e quarta, il giudice del rinvio chiedeva se il principio di neutralità dell’IVA debba essere interpretato nel senso che esso osta a una disposizione nazionale che consente all’amministrazione finanziaria di negare al prestatore di servizi il rimborso dell’imposta assolta, quando al destinatario dei servizi – che ha pagato l’imposta – non è stato riconosciuto il diritto di detrarla poiché la normativa nazionale non consente la rettifica dei documenti fiscali quando esiste un avviso di accertamento definitivo.

La Corte richiama sul punto la propria giurisprudenza pregressa, secondo la quale il principio di neutralità dell’IVA trova riscontro nel regime delle detrazioni, inteso a sgravare interamente il soggetto passivo dall’onere dell’IVA dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività economiche. Il sistema comune dell’IVA garantisce quindi la neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di dette attività, purché queste siano, in linea di principio, di per sé soggette all’IVA1.

La Corte ha altresì dichiarato che per garantire la neutralità dell’IVA spetta agli Stati membri dotarsi di norme atte a consentire la rettifica di ogni imposta indebitamente fatturata, purché chi ha emesso la fattura dimostri la propria buona fede.

La rettifica non può dipendere dal potere discrezionale dell’amministrazione2.

I provvedimenti che gli Stati membri possono adottare per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare le frodi non devono eccedere quanto necessario per raggiungere tali obiettivi (con ciò ponendo in discussione la neutralità dell’IVA)3.

Secondo la citata normativa nazionale bulgara, il prestatore di servizi non aveva più la possibilità di rettificare le fatture che aveva emesso dal momento che l’amministrazione tributaria aveva adottato un avviso di accertamento definitivo nei suoi confronti.

Poiché l’amministrazione finanziaria aveva definitivamente negato il diritto del destinatario di detrarre l’IVA pagata mediante il meccanismo dell’autoliquidazione, il rischio di perdita di gettito connesso all’esercizio di tale diritto era inoltre del tutto escluso.

In tali circostanze, dal momento che il prestatore di servizi non poteva rettificare le fatture e si trovava quindi nell’impossibilità di richiedere al destinatario il pagamento dell’IVA, il diniego di rimborso oppostogli dall’amministrazione comportava che l’onere fiscale dell’imposta venisse fatto gravare su di lui, in contrasto con il principio di neutralità dell’IVA.

Alle questioni terza e quarta la Corte ha pertanto risposto «che il principio di neutralità dell’IVA dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una disposizione nazionale che consente all’amministrazione tributaria di negare al prestatore di servizi il rimborso di tale imposta, da questi assolta, quando non è stato riconosciuto al destinatario di tali servizi, che pure ha pagato detta imposta per gli stessi servizi, il diritto di detrarla, per il motivo che non disponeva del corrispondente documento fiscale, allorché la normativa nazionale non consente la rettifica dei documenti fiscali in presenza di un avviso di accertamento definitivo».

Il diritto interno italiano

Le disposizioni IVA interne italiane sembrano porci al riparo da effetti quali quelli che sono stati sottolineati dalla Corte Comunitaria.

Si rammenta al riguardo che l’art. 93 del D.L. 24.1.2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla L. 24.3.2012, n. 27, ha modificato il settimo comma dell’art. 60 del D.P.R. n. 633/1972, stabilendo che «il contribuente ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi. In tal caso, il cessionario o il committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione».

La novella legislativa è stata introdotta, a chiusura della procedura di infrazione n. 2011/4081 aperta contro l’Italia dalla Commissione UE, in quanto la preclusione posta dal previgente settimo comma dell’art. 60 citato era stata ritenuta non conforme ai principi comunitari di neutralità e proporzionalità dell’IVA.

Le innovazioni in commento sono state oggetto dell’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 35/E del 17.12.2013.

10 luglio 2015

Fabio Carrirolo

1 Sentenza Malburg, C-204/13, EU:C:2014:147, punto 41 e giurisprudenza ivi citata.

2 Sentenza Rusedespred, C-138/12, EU:C:2013:233, punti 26 e 27, e giurisprudenza ivi citata.

3 Sentenza Rusedespred, C-138/12, EU:C:2013:233, punti 28 e 29,e giurisprudenza ivi citata.