Il riconoscimento in giudizio di un credito d'imposta

analisi dei margini che hanno a disposizioni i giudici tributari per il riconoscimento o meno di un credito d’imposta contestato dal Fisco

 

Con atto del 13 giugno 2006 l’Agenzia delle entrate rigettava la richiesta di rimborso del credito vantato da un contribuente per IVA relativa all’anno d’imposta 2004, avendo rilevato, dai controlli fatti, che mancava l’effettivo esercizio di una impresa da parte della stessa.

Questa adiva il giudice tributario chiedendo di “dichiarare illegittimo il provvedimento di diniego” e di “annullare l’avviso in oggetto ed accettare quanto dichiarato in atto”. Osservava dunque che l’accesso dell’Amministrazione finanziaria era avvenuto quando la ditta era chiusa per il funerale di un parente e in periodo di ridotta attività, peraltro mai cessata com’era dimostrato da numerosi indicatori (acquisto di beni strumentali; rapporti bancari; documentazione contabile e fiscale; verifiche di enti vari).

La Commissione Tributaria Provinciale di Caserta accoglieva il ricorso con decisione poi confermata in appello il 26 gennaio 2009.

L’Agenzia delle Entrate, nel proporre il gravame, si doleva tra l’altro del fatto che il primo giudice aveva trascurato di considerare che i locali aziendali erano stati trovati chiusi e che il mancato accesso aveva nei fatti impedito tutti i controlli tecnico-contabili preordinati al riscontro necessario per la erogazione del richiesto rimborso.

Lamentava, inoltre, che il primo giudice, oltre ad annullare l’atto di diniego, aveva disposto direttamente il rimborso senza verificare an e quantum della pretesa, riscontro peraltro concretamente impossibile perché la contribuente si era limitata ad esibire solo alcune fatture dei 2006 e non quelle relative all’anno d’imposta 2004, interessato dalla richiesta di restituzione.

 

La Commissione Tributaria Regionale della Campania, però, nel rigettare l’appello, affermava che “i primi giudici [avevano] correttamente vagliato gli elementi offerti dalla contribuente a dimostrazione della esistenza e della operatività della stessa” e osservava che “la momentanea chiusura dell’impresa all’atto dell’accesso degli ispettori non poteva fare determinare l’ufficio a ritenere provata la mancanza dell’esercizio dell’impresa, quindi, rigettare la richiesta di rimborso IVA avanzata dalla contribuente’: Infine rilevava che “la superficialità adottata dall’Ufficio nel procedere al rigetto del rimborso trova[va] conferma nella documentazione offerta dall’appellata la quale dimostra[va] la esistenza dell’impresa e la sua continuità di esercizio”.

L’Agenzia delle Entrate ricorreva quindi in Cassazione, denunciando vizio di extrapetizione, laddove la sentenza d’appello disponeva direttamente il rimborso e non si limitava al richiesto annullamento dell’atto di diniego (motivo 1) e vizio di omessa pronuncia, laddove trascurava di esaminare il rilievo circa l’an e il quantum della pretesa in relazione alla insufficiente produzione di fatture da parte della contribuente (motivo 2).

Quest’ultimo rilievo era infine evidenziato (come terzo motivo) pure quale violazione del riparto degli oneri probatori (ex art. 2697 cod. civ. e art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) e quale vizio di omessa motivazione (art. 360 n.5 cod. proc. civ.) sulla incongruenza della documentazione dei 2006 ai fini dimostrativi del diritto ai rimborso per l’anno d’imposta 2004.

Con la sentenza n. 10917 del 27 maggio 2015 i giudici di legittimità riconoscevano la fondatezza del ricorso, anche considerato che dalla qualificazione del processo tributario come giudizio impugnazione-merito discende che il giudice tributario decide sull’an e sul quantum debeatur, sia che agisca il fisco con atto impositivo, sia che agisca il contribuente con domanda di rimborso.

 

In quest’ultimo caso il rifiuto al rimborso da parte del fisco è da considerarsi decisione amministrativa e il ricorso contro di essa tende dunque all’accertamento del rapporto sottostante tra Erario e contribuente.

Pertanto, la cognizione del giudice tributario, se appunto deve entrare nel merito della vicenda e decidere sulla spettanza delle somme richieste dal contribuente, deve comprendere la verifica di tutti i presupposti della domanda di rimborso, così come previsti dalla legge.

Tale verifica, omessa nel caso di specie dal primo giudice e sollecitata con l’appello dall’Agenzia delle entrate, era però del tutto mancata anche nella sentenza della Commissione Tributaria Regionale, che era giunta alla conferma della pronuncia di primo grado, eludendo lo snodo motivazionale circa la documentazione effettivamente necessaria a riprova del preteso credito.

E questo, come evidenziato dall’Agenzia delle Entrate nel proprio ricorso, rilevava anche sotto il profilo probatorio, incombendo, infatti, sul contribuente, in tal caso parte attrice anche sostanziale, il quale invochi il riconoscimento di un credito d’imposta, l’onere di provare i fatti costitutivi dell’esistenza del credito.

E non essendo a tal fine sufficiente l’esposizione della pretesa nella dichiarazione, poiché il credito fiscale non nasce da questa, ma appunto dalla verifica del meccanismo fisiologico di applicazione del tributo (cfr Sez. 5, Sentenza n. 18427 del 26/10/2012).

 

La sentenza si inserisce in un filone giurisprudenziale ormai abbastanza chiaro, relativo alla effettiva natura del giudizio tributario come giudizio di impugnazione-merito e non come giudizio di impugnazione-annullamento.

Il giudice tributario, come anche evidenziato nella sentenza in commento, non deve infatti soltanto eliminare l’atto impugnato, o, come nel caso in esame, dichiarare la spettanza del rimborso, dovendo, sia nell’uno che nell’altro caso, emettere una decisione di merito sul rapporto tributario conteso, previa quantificazione della pretesa erariale, in caso di accertamento, o, previa quantificazione del rimborso spettante, in caso di impugnazione del silenzio rifiuto, o del diniego di rimborso.

E questo deve fare però entro i limiti posti, da un lato, dalle ragioni esposte nell’atto impositivo o nell’istanza di rimborso rifiutato (espressamente o tacitamente) e, dall’altro lato, dai motivi dedotti nel ricorso introduttivo.

Questi due limiti rappresentano dunque insuperabili paletti di tipo sostanziale (il primo) e di tipo processuale (il secondo), in mancanza dei quali il giudice non può sostituirsi all’azione amministrativa.

Di conseguenza, il giudice tributario, che ritenga, per esempio, solo in parte fondato il ricorso del contribuente, non può limitarsi ad annullare l’atto impugnato, o a riconoscere tout court il rimborso, ma è tenuto ad esaminare, nel merito, la pretesa ed a quantificare la spettanza concreta delle maggiori imposte dovute, o delle somme chieste a rimborso.

 

Così si è espressa la Cassazione, oltre che nella sentenza prima citata, anche nella sentenza n. 11232 del 29 maggio 2015, con la quale viene anche affermato che la formula “impugnazione-merito”, usata per indicare decisioni sostitutive del provvedimento impositivo, non è in realtà incompatibile con la formula impugnazione- annullamento, secondo cui le decisioni delle Commissioni tributarie sono decisioni di mero annullamento (totale o parziale).

Non v’è dubbio, infatti, che il giudice tributario può pronunciare sia sentenze che annullano in toto l’atto impositivo, sia sentenze che lo annullano solo in parte, ad esempio riducendo la base imponibile determinata nell’avviso.

Nel caso di ricorsi su dinieghi di rimborsi, al tempo stesso, questo vuol dire che se il giudice ritiene che il rimborso spetti, deve anche dire e specificare per quali motivi e in che termini spetta. E lo deve dire sulla base del petitum, che, nel caso di specie, è individuato dal contenuto dell’istanza di rimborso.

Se dunque in tale istanza non sono indicati chiaramente i presupposti del rimborso, dato che appunto si parla di giudizio di merito, con sostituzione del giudice all’azione dell’Ufficio, così come l’Amministrazione non avrebbe potuto erogare il rimborso (per mancanza di prova dei requisiti della sua spettanza), anche il giudice non potrà accogliere il ricorso.

In tale ultimo caso il giudizio di impugnazione-merito avrà quindi gli stessi effetti del giudizio di impugnazione-annullamento.

 

Se infatti il giudice può, per esempio, annullare gli atti di accertamento che riconosce illegittimi, in particolare, in caso di mancanza di motivazione, con invalidazione del provvedimento, dato che la carenza di motivazione non consente l’identificazione degli elementi materiali e giuridici cui è correlata la pretesa tributaria, lo stesso giudice dovrà respingere il ricorso laddove l’istanza di rimborso presentata dal contribuente non presenti adeguata motivazione sui presupposti e quantificazione.

Il giudice, del resto, ai fini del riesame, dispone di un potere di indagine istruttoria, ma non può, ovviamente, sostituirsi all’Amministrazione, o al contribuente, nella ricerca dei presupposti del rapporto d’imposta.

1 luglio 2015

Giovambattista Palumbo