Il decreto sulla certezza del diritto: una prima valutazione sul raddoppio dei termini di accertamento anche in relazione alla voluntary disclosure

il raddoppio dei termini di accertamento diventa ora possibile solo se la denuncia all’autorità giudiziaria da parte dell’Amministrazione finanziaria è inviata entro i termini ordinari dell’accertamento, uno degli aspetti più caldi di tale decreto per i contribuenti interessati alla Voluntary Disclosure

 

Il decreto sulla certezza del diritto ha appena passato anche la fase dei pareri delle Commissioni parlamentari.

Il raddoppio dei termini di accertamento diventa ora possibile solo se la denuncia all’autorità giudiziaria da parte dell’Amministrazione finanziaria è inviata entro i termini ordinari dell’accertamento.

Salvi gli effetti degli avvisi di accertamento e dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative notificati alla data di entrata in vigore del decreto.

Salvi anche gli effetti degli inviti a comparire e dei PVC, a condizione che i relativi atti di accertamento siano poi notificati entro il 31 dicembre 2015.

Possono accedere alla voluntary le attività e le imposte riferite ad annualità per le quali siano scaduti i termini per l’accertamento fiscale.

Queste sono le principali novità contenute nel decreto sulla certezza del diritto su cui il governo ha effettuato il secondo esame preliminare.

 

La nuova versione normativa in tema di raddoppio dei termini, dispone dunque espressamente, a tutela del contribuente, che il raddoppio dei termini in presenza di un reato penale sia possibile a condizione che la denuncia all’autorità giudiziaria da parte dell’Amministrazione finanziaria sia inviata entro i termini ordinari dell’accertamento. Il raddoppio non opera dunque se la denuncia sia presentata o trasmessa oltre la scadenza ordinaria dei termini.

Come visto molte delle osservazioni indicate in sede di Commissione parlamentare sono poi state recepite dal Governo.

Gli uffici studi di Camera e Senato avevano peraltro evidenziato anche alcuni aspetti legati alla nuova disciplina in tema di raddoppio dei termini che però non sono poi stati oggetto di approfondimento e su cui è presumibile aspettarsi problemi applicativi.

Vero è infatti, in particolare, che non viene precisato nella novella se i criteri in essa esposti valgono anche nel caso in cui la notizia di reato oltre i termini ordinari di accertamento emerga nel corso delle indagini della Procura o della polizia giudiziaria.

Oltre infatti all’obbligo di denuncia disciplinato dall’art. 331 c.p.p., il precedente art. 330 stabilisce, tra l’altro, che il pubblico ministero e la polizia giudiziaria prendono notizia dei reati di propria iniziativa.

L’obbligo imposto al pubblico ministero di iscrizione della notizia criminis nell’apposito registro, previsto dall’art. 335 c.p.p., risponde del resto all’esigenza di garantire il rispetto dei termini di durata delle indagini preliminari.

L’obbligo del pubblico ministero di procedere, “immediatamente”, alle iscrizioni previste nel comma 1 dell’art. 335 c.p.p. non implica peraltro una rigidità di un termine computabile a ore o a giorni, ma comporta comunque una rigorosa doverosità ed uno specifico obbligo giuridico.

 

E infatti (vedi Cassazione  penale,  sezione  II,  sentenza  27  marzo 1997, n. 24001) la data di iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. è uno degli elementi necessari ed indispensabili in sede di richiesta di applicazione di una misura cautelare, laddove il pubblico ministero deve allegare “tutti gli atti che costituiscono il presupposto della legittimità dell’attività di indagine”, tra cui anche “la documentazione relativa alla data di iscrizione della notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p., ovvero alla proroga delle indagini, in quanto necessaria a stabilire se le investigazioni, i cui risultati sono posti a fondamento della richiesta, siano state espletate nei termini di legge …”.

Sarebbe stato dunque opportuno specificare espressamente che anche tale momento (iscrizione nel registro degli indagati), nei casi di acquisizione della notizia di reato su iniziativa d’ufficio, potesse rilevare ai fini del controllo della legittimità del raddoppio dei termini di accertamento.

Così come resta aperto il capitolo di come i contribuente potrà controllare, o comunque venire a conoscenza delle circostanze che consentono appunto il citato raddoppio.

Niente infatti nella norma è stato specificato in tema di comunicazione delle iscrizioni contenute nel registro delle notizie di reato.

Visto infatti che, oggi, la conoscibilità dell’iscrizione nel registro degli indagati è solo eventuale, lasciata alla richiesta dello stesso indagato, e, se il pubblico ministero lo ritiene, anche esclusa, con riguardo a delitti di particolare gravità (fra cui potrebbero per esempio rientrare le frodi carosello), se si voleva assicurare al contribuente il diritto a sapere che l’Amministrazione ha ancora a sua disposizione il doppio dei termini per procedere ad accertamento nei suoi confronti, andava prevista una qualche disciplina anche in ordine a tale questione.

 

Per chiarire la portata della norma ed evitare anche su tali tematiche futuri problemi interpretativi sarebbe dunque bastato stabilire che il raddoppio operava a condizione che la denuncia fosse presentata o trasmessa entro la scadenza ordinaria dei termini, o che comunque, in caso di acquisizione di iniziativa del pubblico ministero, l’iscrizione nel registro degli indagati ai sensi dell’art. 335 c.p.p. fosse effettuata entro la medesima scadenza. In tal caso poi, in caso cioè di iscrizione su iniziativa del pubblico ministero, la competente Procura, tranne i casi di cui all’art. 407, comma 2, c.p.p., ne avrebbe potuto fare tempestiva comunicazione all’Agenzia delle Entrate. E la stessa comunicazione sarebbe stata da fare anche in caso di presentazione o trasmissione della denuncia da parte di pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio, facenti parte di altre amministrazioni.

L’Agenzia delle Entrate, infine, una volta presentata o trasmessa la denuncia, o ricevuta la comunicazione di cui sopra, tranne i casi di cui all’art. 407, comma 2, c.p.p., avrebbe potuto acquisire il nulla osta da parte del pubblico ministero, e fare tempestiva comunicazione al contribuente, avvisandolo che il termine per procedere (eventualmente) ad accertamento nei suoi confronti era da considerarsi raddoppiato.

E anche così qualche punto oscuro comunque sarebbe restato, come per esempio in caso di indagini sono contro ignoti (è raro che possa succedere in caso di reati tributari, ma non è impossibile: si pensi ancora all’esempio delle frodi carosello).

Insomma, una normativa importante, ma ancora con luci ed ombre.

Per affrontare i possibili profili di dubbio il faro sarà dunque ancora costituito dalle pronunce della giurisprudenza, anche in tema di disciplina precedente, laddove compatibili con i principi ora espressi dalla novella legislativa.

 

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 9974 del 15 maggio 2015, è per esempio tornata ad occuparsi della questione del raddoppio dei termini in caso di denuncia penale.

La pronuncia è stata peraltro la prima post approvazione del decreto in CdM su certezza del diritto ed è la prima, anzi, che, nel corpo della stessa sentenza, richiama, a conferma della propria decisione, proprio la delega fiscale.

Richiamarne i principi può essere utile anche per comprendere le differenze tra la precedente disciplina e quella ora introdotta.

La Suprema Corte richiamava infatti, in particolare, la sentenza 247/2011 della Corte Costituzionale, evidenziando che:

a) il raddoppio dei termini consegue dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia o dall’inizio dell’azione penale (principio ora superato dalla novella);

b) l’obbligo di denuncia sorge anche ove sussistano cause di non punibilità impeditive della prosecuzione delle indagini penali ed il cui accertamento resti riservato all’autorità giudiziaria penale (principio ancora valido, in quanto ancorato a principi generali di procedura penale);

c) la lettera della legge impedisce di interpretare le disposizioni denunciate nel senso che il raddoppio dei termini presuppone necessariamente un accertamento penale definitivo circa la sussistenza del reato (principio ancora valido);

d) subordinare il raddoppio dei termini a un accertamento penale definitivo circa la sussistenza del reato, contrasterebbe anche con il vigente regime del cosiddetto «doppio binario» tra giudizio penale e procedimento e processo tributario, evidenziato dall’art. 20 del d.lgs. n. 74 del 2000 (principio ancora valido);

e) l’obbligo di denuncia opera quando si sia in grado di individuare con sicurezza gli elementi del reato da denunciare (escluse le cause di estinzione e di non punibilità, che possono essere valutate solo dall’autorità giudiziaria), non essendo sufficiente il generico sospetto di una eventuale attività illecita (principio ancora valido, in quanto ancorato a principi generali di procedura penale);

f) il pubblico ufficiale non può liberamente valutare se e quando presentare la denuncia ma deve presentarla prontamente, pena la commissione del reato previsto e punito dall’art. 361 cod. pen. per il caso di omissione o ritardo nella denuncia (principio ancora valido, in quanto ancorato a principi generali di procedura penale);

g) sussiste il dovere del Giudice tributario di vagliare la presenza dell’obbligo di denuncia (principio questo che dovrebbe rimanere in casi eccezionali, come di seguito meglio evidenziato).

Questi sono dunque i cardini entro cui è legittima l’applicazione del citato raddoppio dei termini.

 

Dunque, solo per impedire che il raddoppio sia adoperato in maniera distorta, ossia comunicando al p.m. notizie di reato manifestamente infondate al solo fine di beneficiare del più ampio termine di decadenza, la Corte costituzionale devolveva (e niente fa presumere che, a seguito della novella normativa, che su questo non si esprime, le cose siano cambiate) al giudice di merito il compito di vigilare sull’osservanza degli elementi minimi richiesti dall’art. 331 c.p.p. per l’insorgere dell’obbligo di denuncia, potendo questi negare l’applicazione del termine allungato solo in casi d’iniziative di denuncia palesemente pretestuose, se non addirittura calunniose (art. 368 c.p.c.).

Evidenziano poi i giudici di legittimità che “per completezza, si aggiunge che il tenore dell’art. 8, comma 2, della legge 23/2014 offre un ulteriore riscontro alla conclusione che la disciplina vigente sul raddoppio dei termini va intesa nel senso indicato dalla Corte costituzionale e sopra enunciato, mirando la delega al Governo solo a introdurre limiti temporali più stringenti per l’operatività del termine raddoppiato”.

La Cassazione ha dunque già fatto, ancor prima dell’entrata in vigore del decreto, un primo assessment sulla ratio della novella, confermando l’applicazione, anche dopo la sua entrata in vigore, di gran parte dei principi già espressi dalla Corte Costituzionale in tema di previgente disciplina.

 

23 luglio 2015

Giovambattista Palumbo