Gli accertamenti sulle società a ristretta base proprietaria hanno ricadute sulle posizioni dei soci

la legittimità della presunta distribuzione in capo ai soci degli utili non contabilizzati da parte delle società a ristretta base azionaria, che non abbia optato per il regime di trasparenza, è ormai giurisprudenza consolidata: approfondiamo il caso della società unipersonale e le regole per la tassazione dei dividendi occulti

 

Con due recenti sentenze, la Corte di Cassazione torna ad occuparsi di accertamenti in capo ai soci, per effetto degli atti impostivi notificati alle società a ristretta base azionaria.

In particolare con la sentenza n. 8763 del 30 aprile 2015 (ud. 18 marzo 2015; in senso assolutamente conforme la sentenza n.8764 del 30 aprile 2015, ud. 18 marzo 2015) la Suprema Corte di Cassazione, tenuto conto che è stata dichiarata l’inammissibilità del ricorso per cassazione relativamente alla società, così che la sentenza relativa al reddito della società è passata in giudicato, “essendo venuto meno il presupposto fattuale e giuridico, dato proprio dal reddito attribuito alla società, su cui era fondato l’accertamento, relativo al reddito di partecipazione, nei confronti dei soci, deve, coerentemente, ritenersi insussistente la presunzione di distribuzione, a questi ultimi pro quota, degli utili extracontabili, con la conseguente illegittimità del contestato accertamento del reddito di partecipazione dei soci. Ciò, nel solco di precedenti pronunce ed in applicazione del condiviso orientamento giurisprudenziale secondo cui l’accertamento tributario nei confronti di una società di capitali a ristretta base, costituisce un indispensabile antecedente logico giuridico dell’accertamento nei confronti dei soci, ragion per cui, perchè possa operare, la presunzione di distribuzione ai soci di utili extracontabili, occorre che sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, costituendo lo stesso l’indispensabile presupposto per un valido accertamento, in ordine ai dividendi, a carico dei soci (Cass. n. 2214/2011, n. 9519/2009)”.

Nota

La legittimità della presunta distribuzione in capo ai soci degli utili non contabilizzati da parte delle società a ristretta base azionaria, che non abbia optato per il regime di trasparenza di cui all’art.116 del T.U. n. 917/86, è ormai consolidata, pur sé per le società di capitali, di norma, vige, ai fini tributari, la netta separazione tra la società e i singoli soci.

Va rilevato, peraltro, che per effetto dell’art. 2328, c. 1, c.c., e dell’art. 2463, c. 1, c.c., è previsto, sia per le s.p.a. che per le s.r.l., la possibilità di costituire tali società con un unico socio, dove ovviamente (e non potrebbe essere diversamente) tutto il potere decisionale è in capo all’unico socio.

La questione, in assenza di una specifica disposizione normativa che preveda tale forma di tassazione, a differenza di quanto previsto dall’art. 5, del T.U. n. 917/86, per le società di persone, è da anni oggetto di dibattito dottrinario e giurisprudenziale.

Infatti, se nelle società di persone l’imputazione ai soci del reddito societario è svincolata dalla effettiva distribuzione degli utili, nelle società di capitali, indipendentemente dall’esistenza di una ristretta base azionaria, è legato alla effettiva distribuzione.

Detta presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati non viola, in ogni caso, il divieto di presunzione di secondo grado, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci (Cass. n. 7174/2002).

Rimane salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, per essere stati, invece, accantonati dalla società ovvero da essa reinvestiti (Corte di cassazione 8 luglio 2008, n. 18640).

Per comune sentire si intende come società a ristretta base azionaria quella società costituita da un numero esiguo di soci, legati da vincoli non necessariamente di parentela, ove la complicità costituisce la caratteristica principale di un gruppo così composto.

Nei confronti del socio di una società a ristretta base azionaria trova applicazione l’art. 44 del T.U. n. 917/86, che disciplina i redditi di capitale, mentre se la partecipazione è detenuta in regime d’impresa il dividendo concorrerà alla formazione del reddito d’impresa, secondo quanto disposto dagli artt. 48 e 59 del T.U. 917/86. Le modalità di tassazione sono, quindi, le seguenti:

  • partecipazione qualificata, detenuta come persona fisica (reddito di capitale, ex art. 47, c. 1, del T.U. n. 917/86): determinazione della base imponibile (dividendo occulto) nella misura del 49,72% dall’anno 2008 in poi (prima del 2008, nella misura del 40%);

  • partecipazione non qualificata, detenuta come persona fisica (non concorre per il percettore, ex art. 3, c. 3, lett. a, del T.U. n. 917/86): il reddito è comunque soggetto alla ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ex art. 27, del D.P.R. n. 600/73, nella misura del 12,50%, e quindi contestato alla società per mancata effettuazione e versamento della prescritta ritenuta; una volta acclarata la presunzione secondo cui nelle società di capitali a ristretta base sociale i redditi occulti siano stati distribuiti fra i soci, ne discende l’obbligo per la società di provvedere anche alle ritenute alla fonte su tali redditi. Sul punto, cfr. Cass. 10982/2007;

  • partecipazione, qualificata e non qualificata, detenuta in regime d’impresa, ex art.59 del T.U.n.917/86: determinazione della base imponibile (dividendo occulto) nella misura del 49,72% dall’anno 2008 in poi (prima del 2008, nella misura del 40%).

La legittimità di tale interpretazione presuntiva (imputazione in capo ai soci dei maggiori redditi accertati in capo alla società) in presenza di società a base familiare, o comunque a ristretto azionariato, è stata da sempre ritenuta legittima dalla Corte di Cassazione, puntando sulla constatazione che la ristretta base azionaria costituisce, da sola, la prova presuntiva di distribuzione degli utili ai soci, capovolgendo così l’onere della prova (cfr. la sentenza n. 4695 del 18.10.2001, depositata il 2.4.2002).

Fra i precedenti di rilievo segnaliamo le seguenti sentenze più recenti.

  • Con la sentenza n. 441 del 10 gennaio 2013 (ud. 4 ottobre 2012) la Corte di Cassazione ha confermato che “è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati, invece accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti” (Cass. 6197/2007; 2214/2011).Osserva, ancora, la Corte che, ove (come nel caso di specie), il reddito nei confronti della società risulti accertato in maniera definitiva, il giudizio nei confronti del socio, per quanto attiene all’esistenza degli utili extracontabili realizzati dalla società, è pregiudicato dall’esito dell’accertamento effettuato nei confronti della società stessa.Non ricorrendo l’ipotesi del litisconsorzio necessario, “il provvedimento di accertamento e rettifica del reddito sociale di una società di capitali va notificato solo alla società e non anche ai soci, i quali, in quanto tali, sono privi di legittimazione processuale nel distinto giudizio relativo alla determinazione del reddito sociale; correttamente, pertanto, nella fattispecie in esame, l’avviso di accertamento del reddito della R. srl è stato notificato solo al l.r. pro tempore della detta società (e, precisamente, al curatore fallimentare della stessa) e non anche al socio, sicchè quest’ultimo nulla può eccepire al riguardo”.

  • Con l’ordinanza n. 14484 del 7 giugno 2013 (ud. 13 marzo 2013) la Corte di Cassazione ha confermato che gli utili neri della società possono essere imputati ai soci.Per la Corte, quanto (eventualmente) prelevato alla società non entra a comporre il reddito dei soci, senza accertare che tale prelievo sia stato effettuato.Non si tratta cioè di un’applicazione del divieto di “doppia imposizione” ma più semplicemente della considerazione secondo cui gli utili vanno computati al netto.Se è vero che nella normalità dei casi le società non versano le imposte sugli utili “in nero” e quindi tutto quanto evaso perviene ai soci, resta ferma la possibilità per i soci di dimostrare che la società ha versato imposte sulle somme realizzate “in nero“.

  • con la sentenza n. 15334 del 19 giugno 2013 (ud. 24 aprile 2013) la Corte di Cassazione ha ritenuto ancora una volta legittima la presunzione di distribuzione degli utili cd. extrabilancio ai soci. La Corte si è adeguata al principio costantemente ribadito secondo cui “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci, degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, per essere stati, invece, accantonati dalla società ovvero da essa reinvestiti, non risultando tuttavia a tal fine sufficiente nè la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili nè il definitivo accertamento di una perdita contabile, circostanza che non esclude che i ricavi non contabilizzati, non risultando nè accantonati nè investiti, siano stati distribuiti ai soci” (sentenza n. 18640 del 08/07/2008; ordinanza n. 17928 del 18/10/2012; sentenza n. 9519 del 22/04/2009). In particolare, è stato ritenuto che in tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo a quelli di capitale, nel caso di società a ristretta base sociale, “è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, la quale non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poichè il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale. Affinchè, però, tale presunzione possa operare occorre, pur sempre, sia che la ristretta base sociale e/o familiare – cioè il fatto noto alla base della presunzione – abbia formato oggetto di specifico accertamento probatorio, sia che sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, il quale costituisce il presupposto per l’accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi (così Cass. n. 29605 del 29/12/2011)”.

  • Con la sentenza n. 20806 dell’11 settembre 2013 (ud. 11 luglio 2013) la Corte di Cassazione ha legittimato, in presenza di società a ristretta base azionaria, l’imputazione ai soci degli utili extracontabili.In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva … la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non risultando tuttavia a tal fine sufficiente nè la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili, né il definitivo accertamento di una perdita contabile, circostanza che non esclude che i ricavi contabilizzati, non risultando nè accantonati né investiti, siano stati distribuiti ai soci”. Tale principio sussistente “nella più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. 5076/2011, 8954/2013), ma la sua declinazione decisoria impone il riscontro, conseguente ad un accertamento sulle movimentazioni finanziarie ovvero gli atti giuridico – economici di una società ovvero dei suoi soci, che vi sia stata formazione di utili non contabilizzati, da tale circostanza scattando la citata presunzione distributiva e la correlata tassazione individuale pro parte”.

  • con la sentenza n. 25148 dell’ 8 novembre 2013 la Corte di Cassazione ha confermato la legittimità della presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili accertati. Per costante e condiviso principio giurisprudenziale, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa (quale quella in questione, costituita da due soci), “è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti” (Cass. 5607/2011; v. tra le tante, anche Cass. 18640/2008 e 17358/2009). Siffatta presunzione, prosegue la Corte, “non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poichè il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale (Cassazione civile sez. trib., 22 aprile 2009, n. 951; v. anche Cass. 5607/2011)”.

  • Con l’ordinanza n. 5327 del 18 marzo 2015 (ud. 19 febbraio 2015) la Corte di Cassazione ha aderito, ancora una volta, all’orientamento giurisprudenziale consolidato, secondo cui “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria, in caso di accertamento di utili non contabilizzati, opera la presunzione di attribuzione pro quota ai soci degli utili stessi, salva la prova contraria e la dimostrazione che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti” (Cass. nn. 16885/03, 10951/02 e 7174/02), sicchè “è legittima la presunzione di attribuzione pro quota ai soci, nel corso dello stesso esercizio annuale, degli utili extra bilancio prodotti da società di capitali a ristretta base azionaria e tale presunzione – fondata sul disposto del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), – induce inversione dell’onere della prova a carico del contribuente” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 18032 del 24/07/2013; Sez. 5, Sentenza n. 1924 del 29/01/2008; n. 20851/05, n. 6780/03, n. 7218/01)”.

A fronte della legittimità della presunzione di attribuzione, ai soci, degli eventuali utili extracontabili accertati, rimane “salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, per essere stati, invece, accantonati dalla società ovvero da essa reinvestiti, non risultando tuttavia a tal fine sufficiente né la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili né il definitivo accertamento di una perdita contabile, circostanza che non esclude che i ricavi non contabilizzati, non risultando é accantonati né investiti, siano stati distribuiti ai soci” (Cass. n. 18640/2008).

In ordine alla problematica della sospensione dell’atto presupposto rileviamo che con la sentenza n. 20870 dell’8 ottobre 2010 (ud. del 7 luglio 2010) la Corte di Cassazione ha affermato, secondo principi già enucleati precedentemente (Cass. nn. 18640/2009, 13338/2009, 9519/2009) che “In tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo a quelli di capitale, nel caso di società a ristretta base sociale è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, la quale non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poichè il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale. Affinchè, però, tale presunzione possa operare occorre, pur sempre, sia che la ristretta base sociale e/o familiare – cioè il fatto noto alla base della presunzione – abbia formato oggetto di specifico accertamento probatorio, sia che sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, il quale costituisce il presupposto per l’accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi“. Tuttavia, osserva la Corte, che “perchè la presunzione semplice di attribuzione ai soci degli utili extracontabili accertati possa operare occorre non solo che la ristretta base sociale e/o familiare – cioè il fatto noto alla base della presunzione – abbia formato oggetto di specifico accertamento probatorio, ma anche che sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, il quale costituisce il presupposto per l’accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi. Nel caso di specie, oltre a mancare qualsiasi accertamento sulla esistenza di una ristretta base familiare e/o sociale, manca altresì un accertamento definitivo sul dato presupposto, posto che nella sentenza impugnata si fa riferimento solo ad una coeva sentenza (di secondo grado) che, in parziale accoglimento dell’appello dell’ufficio, ha determinato il reddito imponibile della società di capitale, ai fini Irpeg ed Ilor per l’anno 1993, ricostruendolo con metodo induttivo nell’8% dei ricavi lordi”.

Detta sentenza, quindi, ritiene atto presupposto la definitività dell’accertamento in capo alla società, per procedere nei confronti dei soci. Definitività che potrebbe derivare da acquiescenza, da sentenza non più impugnabile, da atto di adesione o conciliazione, o comunque da un atto che ha reso definitiva la posizione della società.

Da un punto di vista temporale ciò è però difficilmente praticabile, in particolare nel caso in cui la sentenza definitiva intervenga quando magari sono già scaduti i termini per procedere all’accertamento nei confronti della persona fisica/socio.

Diversamente, in caso di adesione societaria è, invece, sicuramente possibile ancorare la posizione del socio al reddito definito in adesione.

E quindi costituendo l’accertamento societario atto presupposto per l’accertamento nei confronti del socio, il giudice, ai sensi dell’art. 295 del C.p.c., deve disporre la cd. sospensione necessaria, prevista “in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa1, applicabile in virtù del fatto che ci trova in presenza di rapporti tra processi tributari e non tra processi diversi, tributario e non, per il quale invece trova applicazione l’art. 39 del D.Lgs. n. 546/92 (cfr. anche Cass. n. 2211/2011).

2 luglio 2015

Gianfranco Antico

1 Cfr. il pregevole intervento di CESAREO, Sull’accertamento ai soci di società di capitali a ristretta base sociale si delinea un nuovo orientamento della Suprema Corte, in “Finanza&Fisco”, n. 20/2011, pag. 1582.