Operazioni inesistenti: anche l’IVA viene meno perché non inerente

in caso di emissione di fatture oggettivamente inesistenti anche l’IVA su tali fatture diventa indetrabile da parte dell’acquirente in quanto va valutata la non inerenza dell’operazione ai fini dell’attività d’impresa

 

Con la sentenza n. 6195 del 27 marzo 2015 (ud. 28 gennaio 2014) la Corte di Cassazione fissa importanti principi in materia di operazioni inesistenti.

 

Il disegno fiscale

A seguito di una vasta operazione di verifica, effettuata dalla Guardia di Finanza tra il 31.03.99 ed il 24.09.01, e recepita in tre diversi processi verbali di constatazione, si accertava che una società di capitali aveva posto in essere, attraverso una molteplicità di operazioni con altre società facenti del gruppo, fatturazioni infragruppo per operazioni inesistenti.

Il meccanismo constatato dai verbalizzanti prevedeva che, per un verso, “la s.p.a. acquistasse beni strumentali a prezzi molto elevati da altre società del gruppo, per altro verso, che gli amministratori acquistassero – con operazioni, almeno in apparenza indipendenti da tali forniture – quote di partecipazione nelle stesse società tornitrici, assumendo l’obbligo di rivenderle, a breve distanza di tempo, ed a prezzi notevolmente superiori a quelli di acquisto”. Le conseguenze erano duplici: “la s.p.a. poteva, invero, esporre e dedurre, in tal modo, costi inesistenti; gli amministratori, per parte loro, lucravano sub specie di plusvalenze su titoli, i guadagni derivanti dalla differenza tra il prezzo di acquisto e quello di vendita, costituenti – nella sostanza – utili societari, assoggettati, tuttavia, a tassazione più favorevole rispetto ai dividendi societari ufficialmente distribuiti”.

 

Le considerazioni del giudice di appello

La CTR muove dall’assunto secondo cui la correttezza della ricostruzione della vicenda “in termini di fatto“, prospettata dall’Amministrazione finanziaria, sia indiscutibile. L’intera operazione sarebbe stata, infatti, posta in essere nell’ambito del gruppo al fine di realizzare “un preciso disegno“, consistente nel ridurre, facendo levitare i costi, il reddito imponibile della s.p.a., ai fini dell’imposizione diretta, ed al contempo nel far lucrare agli amministratori la differenza tra l’imposizione fiscale che essi avrebbero subito per la formale distribuzione dei dividendi, e quella ridotta effettivamente subita per gli utili derivanti dalle sopra descritte operazioni su titoli.

La CTR ritiene, altresì, sussistere la “prova inconfutabile” di tale disegno di evasione fiscale nei processi verbali di constatazione della Guardia di Finanza, nei quali venivano evidenziati i surplus di prezzo delle merci acquistate dalla s.p.a. rispetto a quelli di mercato, nonchè l’assenza di reali esigenze di “soddisfazione di bisogni materiali” (di qui l’inesistenza oggettiva di delle operazioni in questione), poste a base delle transazioni effettuate dalla società e dai suoi amministratori, chiaramente ispirate al solo scopo di realizzare il risultato elusivo.

E tuttavia, il giudice di appello perviene alla conclusione “secondo cui tale meccanismo rileverebbe ai soli fini dell’evasione delle imposte dirette, mentre non potrebbe precludere il diritto della s.p.a. alla detrazione dell’IVA regolarmente pagata con il sistema della rivalsa nei confronti di detta società, quale acquirente del bene oggetto della transazione. L’assolvimento dell’imposta escluderebbe, invero, ad avviso della CTR, la sussistenza di un minor introito nelle casse erariali, laddove precludere alla società la detrazione finirebbe – di conseguenza – per integrare nei confronti della contribuente una sorta di doppia imposizione”.

 

Il pensiero della Corte

Le argomentazioni del giudice di appello (come già affermato in una vicenda del tutto analoga, cfr. Cass. n. 27718/13) non vengono condivise dalla Corte, atteso che l’accertata sussistenza di fatture emesse per operazioni oggettivamente inesistenti avrebbe dovuto indurre il giudicante a diversa conclusione quanto alla detraibilità dell’IVA assolta in relazione alle operazioni documentate da dette fatture.

Osserva la Corte che l’art. 21, del D.P.R.n.633/72, secondo cui se vengono emesse fatture per operazioni inesistenti, l’imposta stessa è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura, “va interpretata nel senso che il corrispondente tributo viene, in realtà, ad essere considerato ‘fuori conto’, e la relativa obbligazione, conseguentemente, ‘isolata’ da quella risultante dalla massa di operazioni effettuate, ed estraniata, per ciò stesso, dal meccanismo di compensazione tra IVA ‘a valle’ ed IVA ‘a monte’, che presiede alla detrazione d’imposta di cui all’art. 19, D.P.R. cit.”.

In presenza di operazioni inesistenti (condotta penalmente sanzionata come delitto, cfr. Cass. 7289/01 e 4247/01) non si realizza l’ordinario presupposto impositivo, nè la configurabilità stessa di un “pagamento a titolo di rivalsa“, nè i presupposti del diritto alla detrazione di cui all’art. 19, c. 1, del D.P.R. n. 633/72.

Osservano i massimi giudici che “la previsione del menzionato art. 21, comma 1, se, per un verso, incide direttamente sul soggetto emittente la fattura, costituendolo debitore d’imposta, pur in assenza del suo ordinario presupposto, sulla base del solo principio di cartolarità, per altro verso, incide, sia pure indirettamente, anche sul destinatario della fattura, confermandone, in combinato disposto con l’art. 19, comma 1, e art. 26, comma 3, la preclusione ad esercitare il diritto alla detrazione o alla variazione dell’imposta, in assenza del relativo presupposto (acquisto o importazione di beni e servizi nell’esercizio dell’impresa, arte o professione) (Cass. 22882/06)”.

La Corte, quindi, si sofferma sulla ratio dell’indetraibilità dell’IVA, in caso di operazioni inesistenti, rilevando che il diritto dell’acquirente alla detrazione dell’imposta addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore, quando si tratti di acquisto effettuato nell’esercizio dell’impresa, è soggetto ad una duplice condizione: la prima è che l’acquirente del bene rivesta la qualità di imprenditore; la seconda, è che sia ravvisabile “l’inerenza del bene acquistato all’attività imprenditoriale, ovverosia la strumentalità del bene stesso a tale attività. Ed il relativo onere probatorio, in forza degli ordinar criteri in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.) cede a carico dell’interessato (Cass. 3518/06; 16730/07; 2362/13; 27718/13). In caso di operazioni oggettivamente inesistenti, pertanto, il diritto alla detrazione dell’IVA non può alcun modo essere ritenuta, anche sul piano probatorio, sulla base del solo fatto dell’avvenuta corresponsione dell’imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresì, – come detto – l’inerenza dell’operazione all’impresa. E tale requisito è certamente mancante in relazione al pagamento dell’IVA corrisposta per operazioni inesistenti, di per sé inidoneo – come dianzi detto – a configurare un pagamento a titolo di rivalsa, trattandosi di costo non inerente all’attività istituzionale dell’impresa, in quanto potenziale espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da rompere il detto nesso di inerenza (Cass. 735/10)”.

Nel caso di specie, infatti, l’assolvimento dell’IVA si è concretizzato in un esborso rientrante nel complessivo disegno evasivo, che non può consentire di parlare di doppia imposizione (le parti avevano posto in essere una forma di addebito in rivalsa del tutto apparente, in cui l’esborso dell’IVA da parte dell’acquirente, men che costituire un effettivo pagamento di imposta, rappresentava un esborso rientrante nel complessivo meccanismo elusivo prefigurato dai contraenti).

 

Breve nota

Una volta che l’amministrazione fornisca oggettivi elementi di prova, anche indiziari, in ordine all’inesistenza dell’operazione, sarà il contribuente a dovere offrire la prova circa la verità ed inerenza dell’operazione medesima.

Sono queste, sinteticamente, le conclusioni cui è giunta la Corte di Cassazione nel corso di questi ultimi anni in materia di operazioni inesistenti, dove è escluso in radice che possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente, il quale sa bene se una determinata fornitura di beni o prestazione di servizi l’ha effettivamente ricevuta o meno.

Il diritto alla detrazione non sorge immancabilmente, per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione dell’imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresì, che l’imposta sia effettivamente dovuta e, cioè, corrispondente ad operazione effettivamente soggetta all’IVA e che sia inerente all’attività. Ciò perché, proprio in considerazione del particolare meccanismo che presiede al funzionamento dell’iva, l’infrazione fiscale si configura non solo per il fatto oggettivo che il contribuente, con il proprio comportamento, doloso o colposo che sia, abbia determinato il rischio per l’Amministrazione di non conseguire il pagamento dell’imposta effettivamente dovuta o l’abbia esposta a indebite detrazioni, ma anche qualora non sia inerente all’impresa dell’operazione fatturata; requisito, che, al pari degli altri, è onere del contribuente comprovare (cfr. Cass. nn. 13205/03, 11109/03, 15228/01). Sul punto cfr. Cass. n.735/2010, secondo cui “il costo dell’iva versata sulla fattura relativa ad operazione soggettivamente inesistente si appalesa quale costo non necessariamente inerente”.

 

24 giugno 2015

Gianfranco Antico