Operazione 'All in' (vincite conseguite al gioco d’azzardo): un esempio di ingiustizia tributaria e incertezza del diritto

la tassazione dei giocatori d’azzardo professionisti mette in contrasto la normtiva fiscale italiana con le norme del diritto europeo che regolano il settore…

  1. Operazione “All In”

Per chi non avesse seguito bene la vicenda, ricordiamo brevemente che attraverso l’operazione “All in”, l’Amministrazione Finanziaria (AF) ha eseguito una serie di verifiche fiscali e accertamenti su tutto il territorio nazionale per sottoporre ad imposizione diretta, ai sensi degli artt. 67, comma 1, lett. d) e 69, comma 1, del TUIR, le vincite conseguite al gioco d’azzardo svolto all’estero da diversi cittadini italiani fiscalmente residenti.

Pochi contribuenti hanno aderito alle pretese del fisco, mentre la maggior parte di essi, per far valere i loro diritti, si sono rivolti alle Commissione Tributarie chiedendo – tra l’altro – di dichiarare l’illegittimità della pretesa erariale per violazione del diritto dell’Unione europea, così come interpretato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE).

In tale contesto, la C.T.P. di Roma, ritenendolo necessario per emanare la sua decisione, ha emesso due Ordinanze (n. 22/57/13 e n. 23/57/13 del 28/05/2013), con le quali ha disposto il rinvio pregiudiziale (art. 267 TFUE), chiedendo alla CGUE una pronuncia d’interpretazione del diritto dell’Unione, al fine di stabilire la compatibilità della pretesa del fisco italiano con gli artt. 18, 52 e 56 TFUE.

Sono così scaturite le note cause pregiudiziali C-344/13 e C-367/13, contro l’Agenzia delle Entrate I Roma – Ufficio Controlli, che la Corte di Lussemburgo, dopo averle riunite per connessione oggettiva, ha tempestivamente istruito, invitando le Parti in causa, la Commissione Europea e tutti i Governi degli Stati membri dell’Unione, a presentare le loro osservazioni scritte, ove ritenuto opportuno; hanno aderito all’invito:

  1. la Commissione Europea, la quale ha suggerito alla Corte di rispondere al quesito posto dal giudice del rinvio, affermando che: “l’articolo 56 TFUE osta ad una legislazione, come quella italiana descritta dal giudice di rinvio, che assoggetti a imposta sul reddito le vincite da gioco conseguite in case da gioco stabilite in altri Stati membri, e che al contrario non assoggetti alla stessa imposta le vincite di gioco conseguite in case da gioco italiane”;

  2. il Governo italiano, il quale ha suggerito alla Corte di rispondere al quesito posto dal giudice del rinvio, affermando che: «gliarticoli46e49CE(ora52e56TFUE)nonsioppongonoadunanormativanazionalecomequellacontenutanelTUIRlaqualeprevedel’assoggettamentoadobblighidichiarativiedimpositiviafinifiscalidellevinciteconseguitepressocasedagiocodiPaesimembridell’UnioneEuropeadapersoneresidentiinItalia.

Inognicasotalenormativaapparegiustificatadallanecessitàdisalvaguardarelacoerenzadelsistemafiscalenazionale,damotividiordinepubblicoedaragioniimperativediinteressegenerale»;

  1. il Governo belga, il quale ha suggerito alla Corte di rispondere al quesito posto dal giudice del rinvio, affermando che: «La disciplina dei giochi d’azzardo rientra nelle materie nelle quali tra gli Stati membri esistono rilevanti differenze di ordine morale, religioso e culturale. In mancanza di un’armonizzazione comunitaria in questo settore, spetta ad ogni Stato membro valutare alla luce del proprio sistema di valori cosa sia necessario per la tutela degli interessi coinvolti. In questo quadro, ad uno Stato membro è consentito adottare misure di natura fiscale per strutturare la sua disciplina dei giochi d’azzardo e conseguire il livello di tutela nazionale desiderato.

Se dette misure fiscali mostrano un carattere non-discriminatorio, eventuali restrizioni alla libera circolazione dei servizi, sancita all’articolo 56 TFUE, sono giustificate in forza di motivi imperativi di interesse generale. Nella misura in cui esse soddisfano le condizioni poste dalla giurisprudenza consolidata quanto alla loro proporzionalità, la lotta al riciclaggio del denaro e al finanziamento del terrorismo può essere considerata un siffatto obiettivo legittimo. Nel caso in cui si configuri una discriminazione, e nella misura in cui il regime tributario italiano per le vincite dei giochi d’azzardo costituisce parte integrante della lotta al riciclaggio di capitali di origine non controllabile, ciò può essere considerato come un obiettivo di ordine pubblico, ai sensi dell’articolo 52 TFUE, idoneo a giustificare una discriminazione ove soddisfi il criterio della proporzionalità»;

  1. I contribuenti Blanco e Fabretti, i quali hanno suggerito alla Corte di rispondere al quesito posto dal giudice del rinvio sulla base di quanto già statuito con le sentenze pronunciate nelle cause C-42/02 (Diana Elisabeth Lindman c. Skatterättelsnämnden) del 13/11/2003 e C-153/08 (Commissione delle Comunità Europee c. Regno di Spagna) del06/10/2009, ribadendo che: “l’art. 56 del TFUE si oppone alla normativa italiana, ed in particolare agli artt. 67, comma 1, lett. d) e 69, comma 1, del TUIR, in base alla quale le vincite italiane sono esentate dall’imposizione diretta, mentre le vincite conseguite in altri Stati membri sono considerate rilevanti ai fini dell’imposizione diretta nei confronti del vincitore italiano residente, in assenza di obiettive e concrete ragioni di deroga per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e di sanità pubblica”.

Come è noto, con la sentenza EU:C:2014:2311, pronunciata il 22 ottobre 2014, nelle cause pregiudiziali riunite C-344/13 e C-367/13, la CGUE ha dichiarato che: «Gli articoli 52 e 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che ostano alla normativa di uno Stato membro, la quale assoggetti all’imposta sul reddito le vincite da giochi d’azzardo realizzate in case da gioco situate in altri Stati membri, ed esoneri invece dall’imposta suddetta redditi simili allorché provengono da case da gioco situate nel territorio nazionale di tale Stato».

La pronuncia è stata emessa senza la trattazione orale e senza le conclusioni dell’Avvocato generale, considerato che la causa non sollevava nuove questioni di diritto e, quindi, la Corte ha statuito sulla base dei principi di diritto dell’Unione già affermati con suoi precedenti giurisprudenziali richiamati nelle sentenza stessa.

  1. Attuazione della sentenza della Corte di giustizia

A distanza di oltre sei mesi dalla pronuncia della CGUE, riteniamo opportuno tracciare un bilancio sugli sviluppo amministrativi e giurisdizionali sull’operazione “All in”, per verificare lo stato di attuazione del diritto dell’Unione, così come interpretato dalla Corte di Lussemburgo con la sentenza del 22/10/2014, fondamentale per l’affermazione dei principi di “effettiva” del diritto dell’Unione e della “certezza del diritto”, costituzionalmente tutelato.

Purtroppo, nonostante l’intervento della Corte di giustizia, l’AF non ha ancora ritirato la c.d. direttiva “All in”, né si è ritirata dai procedimenti pendenti presso le varie Commissioni Tributarie nazionali e anche in Cassazione. Dal canto suo, anche il Governo non ha assunto alcuna decisione per garantire l’effettiva e uniforme attuazione dei principi di diritto dell’Unione affermati dalla Corte di giustizia.

Nel silenzio dell’AF e del Governo, l’antinomia tra l’art. 67, comma 1, lett. d) del TUIR e gli artt. 18, 52 e 56 TFUE, era pacificamente risolvibile dai giudici nazionali, mediante disapplicazione diretta della norma nazionale, atteso che:

  1. per giurisprudenza costante della Corte di giustizia (cfr. sentenze 15/07/1964, causa 6/64, Costa c. Enel; sentenza 09/03/1978, causa 106/77, Simmenthal), i Trattati e il diritto adottato dall’Unione sulla base dei Trattati stessi prevalgono sul diritto degli Stati membri, alle condizioni stabilite dalla giurisprudenza della Corte di Lussemburgo (cfr. art. 17 – Dichiarazioni relative a disposizioni dei Trattati);

  2. per consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale (cfr. sent. 24/06/2010, n. 227), l’art. 11 della Costituzione ha demandato all’Unione europea il diritto di esercitare, in luogo degli Stati membri, competenze normative in determinate materie, nei limiti del principio di attribuzione. È in forza di tale norma costituzionale che la Consulta ha riconosciuto il potere-dovere del giudice comune, e prima ancora dell’AF, di dare immediata applicazione alle norme eurounitarie provviste di effetto diretto in luogo di norme nazionali che siano con esse in contrasto insanabile in via interpretativa;

  3. le decisioni assunte dalla CGUE hanno perciò efficacia vincolante per il giudice nazionale del rinvio e per ogni altro giudice, anche di altro Stato membro, di talché si può affermare che i principi sanciti dalla Corte di giustizia abbiano la natura di vere norme giuridiche di creazione giurisprudenziale, come avviene nei sistemi di common law, con efficacia naturalmente retroattiva, suscettibili di rimettere in discussione anche il “giudicato” delle Corti nazionale e di creare un vero “diritto” all’autotutela del cittadino di fronte all’AF.

Sulla base del principio di “effettività” del diritto dell’Unione e del principio di “certezza del diritto” costituzionalmente tutelato, abbiamo ritenuto che fosse legittimo aspettarsi l’uniforme applicazione dei principi di diritto dell’Ue, così come affermati dalla Corte di giustizia con la sentenza EU:C:2014:2311; purtroppo, i fatti non sempre ci hanno dato ragione!

Infatti, nonostante la chiarissima statuizione della Corte di giustizia, l’AF si ostina ancora ad anteporre – prima di tutto – l’interesse erariale anche quando questo è palesemente in contrapposizione con gli interessi non meno fondamentali del singolo cittadino/contribuente, quali il principio di “effettività” del diritto dell’Unione, i principi di legalità e di “certezza del diritto”, il principio di tassazione in base alla capacità contributiva effettiva, in defetto dei quali le pretese erariali sono arbitrarie e quindi illegittime, poiché fanno venire meno i presupposti su cui si fondo lo Stato di diritto.

Con il presente documento vogliamo denunciare le prevaricazioni attuate dall’AF ai danni di diversi cittadini/contribuenti che continuano ad essere vessati da pretese impositive e sanzionatorie che, dopo l’intervento della Corte di giustizia, possiamo definire senza ombra di dubbi del tutto illegittime e assolutamente prive di fondamento giuridico; ma l’aspetto più preoccupante e inspiegabile, sul piano giuridico, è che tali ingiustizie tributarie sono state “convalidate” anche da alcuni giudici di merito.

Di seguito andremo ad esporre, in ordine cronologico, atti e atteggiamenti dell’AF e alcune sentenze di merito, da cui poter dedurre come sono stati applicati i principi di diritto dell’Ue:

  1. 11/11/2011, la C.T.P. di Gorizia ha depositato la sentenza n. 101/02/11, con la quale ha accolto i tre ricorsi riuniti proposti dal contribuente, compensando le spese di lite; la sentenza è stata impugnata dall’Ufficio e la C.T.R. di Trieste, con sentenza n. 77/09/13, depositata il 04/11/2013, ha confermato la sentenza di primo grado, con spese di lite compensate; il 05/05/2014, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione della sentenza n. 77/09/2013 della C.T.R. di Trieste. Il procedimento è tuttora pendente presso la Corte di Cassazione in attesa di fissazione dell’udienza; nonostante l’intervento della Corte di giustizia con la sentenza EU:C:2014:2311, l’Ufficio non ha ancora agito in autotutela né si è ritirato dal contenzioso, correndo così il rischio di dover pagare non solo le spese dei tre gradi di giudizio, ma anche il risarcimento dei danni causati al contribuente a titolo di responsabilità processuale aggravata (art. 96 c.p.c.), per aver resistito in giudizio in mala fede o con colpa grave;

  2. 27/01/2014 la C.T.P. di Milano ha depositato la sentenza n. 1693/42/14, con la quale ha respinto il ricorso del contribuente, condannandolo anche al pagamento delle pese di giudizio; la sentenza è stata impugnata dal contribuente avanti la C.T.R. di Milano, la quale ha già discusso la vertenza nella pubblica udienza per il 14/05/2015, e si è in attesa della pubblicazione della relativa sentenza;

  3. 31/03/2014, la C.T.P. di Treviso, con sentenza n. 258/1/2014, ha accolto i ricorsi proposti dal contribuente, condannando l’AF a rifondere le spese di lite, che sono già state pagate; la controversia è quindi definitivamente conclusa;

  4. 18/07/2014, la C.T.P. di Roma ha depositato la sentenza n. 16444/14, con la quale ha accolto il ricorso proposto dal contribuente, annullando gli atti dell’AF;

  5. 28/08/2014, la C.T.R. di Roma, Sezione staccata di Latina, ha depositato altra sentenza favorevole al contribuente, annullando gli atti dell’AF;

  6. 03/11/2014, il contribuente ha proposto ricorso in appello per l’impugnazione della sentenza n. 173/2/14 della C.T.P. di Perugia, depositata il 20/03/2014, con la quale i giudici avevano deciso la debenza delle imposte, mediante disapplicazione delle sanzioni, con compensazione delle spese processuali; l’AF non si è ancora ritirata dal contenzioso, correndo il rischio di essere condannata anche alle spese di lite temeraria, per responsabilità processuale aggravata;

  7. 13/11/2014, l’Agenzia delle entrate di Perugia (cioè dopo il deposito della sentenza della Corte di giustizia) ha impugnazione la sentenza n. 514/8/14 della C.T.P. di Perugia, con la quale i giudici avevano accolto il ricorso proposto dal contribuente, compensando le spese processuali; la C.T.R. di Perugia ha già fissato per il giorno 10/06/2015 la trattazione della controversia in pubblica udienza; l’Ufficio non si è ancora ritirato dal giudizio; anche in questo caso, è concreto il rischio che l’AF possa essere condannata al rimborso delle spese processuali e al risarcimento dei danni causati al contribuente per lite temeraria, per ave resistito in giudizio in mala fede o con colpa grave;

  8. 27/10/2014, l’Agenzia delle entrate di Teramo (cioè dopo il deposito della sentenza della Corte di giustizia) ha impugnato avanti la C.T.R. di L’Aquila le sentenze nn. 131/01/14, 132/01/14, 133/01/14 e 134/01/14 della C.T.P. di Teramo, depositate in data 11/04/2014, con le quali i giudici teramani avevano accolto i ricorsi proposti dal contribuente, condannando l’AF al pagamento delle spese di lite; il 21/05/2015 si è tenuta la pubblica udienza presso la C.T.R. di L’Aquila, per la trattazione del merito della controversia e si è quindi in attesa di conoscere la decisione dei giudici di appello; anche in questo caso, è evidente che l’AF rischia di dover pagare le spese di soccombenza oltre la condanna al risarcimento dei danni, per avere resistito in giudizio con mala fede e/o colpa grave;

  9. 20/01/2015, la C.T.P. di Venezia ha depositato la sentenza n. 203/06/15, con la quale ha accolto il ricorso presentato dal contribuente, annullando gli atti dell’AF;

  10. 17/02/2015, la C.T.P. di Napoli ha depositato quattro sentenze (nn. 4037/23/15 – 4042/23/15 – 4044/23/15 – 4046/23/15), con le quali ha respinto i ricorsi proposti dal contribuente, compensando le spese di lite. Il contribuente ha già conferito mandato ai propri difensori per impugnare le citate sentenze, atteso che i giudici, nonostante le precise richieste del contribuente sul punto, non hanno tenuto conto dei principi affermati dalla Corte di giustizia con la sentenza EU:C:2014:2311, senza fornire una valida motivazioni;

  11. sentenza n. 5788/57/15, depositata in data 11/03/2015, con la quale la C.T.P. di Roma (Giudice del rinvio dell’Ordinanza n. 22/57/13), ha accolto il ricorso proposto dal contribuente compensando le spese di giudizio, senza fornire una motivazione. Il contribuente, sta valutando di proporre appello per il rimborso delle spese sostenute per difendersi avanti al giudice di primo grado nonché avanti la Corte di giustizia;

  12. sentenza n. 6064/16/15, depositata il 17.03.2015, con la quale la C.T.P. di Roma, ha accolto quattro ricorsi riuniti proposti dal contribuente, compensando le spese di lite;

  13. sentenza n. 7508/57/15, depositata in data 07/04/2015, con la quale la C.T.P. di Roma (Giudice del rinvio dell’Ordinanza n. 23/57/13) ha accolto il ricorso proposto dal contribuente per le vincite conseguite in altri Stati membri dell’Unione europea, respingendolo per la parte relativa alle vincite conseguite in Stati extra-Ue, compensando le spese processuali, senza fornire una valida motivazione. Il contribuente, sta valutando di impugnare la sentenza per far valere il divieto della doppia imposizione e i principi di non discriminazione e reciprocità di derivazione convenzionale, e per richiedere che gli vengano rimborsate le spese sostenute per difendersi avanti al Giudice di merito e presso la Corte di giustizia;

  14. 23/04/2015 la C.T.P. di Perugia ha depositata la sentenza n. 166/7/15, con la quale ha respinto due ricorsi riuniti proposti dal contribuente, con la seguente motivazione: “prive di merito le argomentazioni del ricorrente a contrasto accertamento con Normativa Comunitaria e Principi Costituzionali”; le spese di lite sono state compensate. La pronuncia non ha tenuto conto delle richieste del ricorrente, basate sulla sentenza della Corte di giustizia EU:C.2014:2311, regolarmente depositata agli atti del processo; pertanto, il contribuente ha già conferito mandata ai suoi difensori per impugnare la sentenza per difetto di motivazione e per violazione e/o falsa applicazione di norme ordinarie e dei Trattati.

Dall’analisi delle sentenze sopra elencate, emerge con estrema evidenza che la certezza del diritto così come anche lo Stato di diritto ne escono offuscati; in altri termini, appare evidente che sia l’AF che una parte minoritaria della giurisprudenza di merito non hanno inteso uniformarsi all’obbligo di applicare i principi di diritto dell’Unione, così come interpretati dalla Corte di Giustizia, peraltro senza fornire una valida motivazione, esponendosi così alle conseguenze e responsabilità derivanti dall’inosservanza del diritto eurounitario.

  1. Responsabilità per inadempimento del diritto dell’Unione europea

Dall’analisi dei fatti intervenuti dopo la pubblicazione della sentenza della Corte di giustizia del 22/10/2014, emerge che:

  1. l’ostinato atteggiamento tenuto dall’Agenzia delle entrate, che finora non ha ritirato il progetto All in”, né si è ritirata dal contenzioso, impugnando anche quasi tutte le sentenza sfavorevoli, lascia ritenere che per essa i documenti di prassi si collocano al primo posto delle fonti del diritto e che la sentenza della Corte di giustizia non è sufficiente per farle cambiare orientamento, come se il gettito tributario debba essere salvaguardato a tutti i costi, anche sacrificando i diritti fondamentali dei contribuenti;

  2. l’AF non si preoccupa neanche del rischio di dover pagare le spese di lite, anche a titolo responsabilità processuale aggravata, per aver resistito in giudizio in mala fede o colpa grave, con conseguente rilevante danno erariale.

  3. la giurisprudenza di merito ha dato ragione ai contribuenti che hanno adito la via del contenzioso tributario, tranne alcune eccezion (Commissioni Tributarie di Milano, Napoli e Perugia), ma si tratta di sentenze superficiali e a sorpresa, che sono in netto contrasto con i principi di diritto dell’Unione, affermati dalla CGUE con la sentenza del 22/10/2014, senza una valida spiegazione;

  4. il primato sull’ingiustizia tributaria si registra a Perugia, dove la Commissione tributaria è riuscita a decidere in tre modi diversi quattro ricorsi proposti dallo stesso contribuente, per fatti analoghi: una sentenza ha dato ragione al contribuente; un’altra gli ha dato torto; mentre la terza lo ha condannato a pagare le imposte, mediante disapplicazione delle sanzioni; in tutte e tre i casi, con spese processuali compensate.

Di fronte ad un atteggiamento così ostile dell’AF e pronunce così “altalenanti”, sembra veramente difficile affermare l’esistenza della “certezza del diritto” nei rapporti tra fisco e contribuenti, ma anche la figura della Stato di diritto ne esce piuttosto compromessa.

Appare il caso di ricordare che il principio di “effettività” del diritto, si basa sulla concreta esecuzione di quanto stabilito dal diritto sostanziale, ovvero dalle norme che fanno parte dell’ordinamento giuridico nazionale e internazionale, nonché su un processo ispirato al principio di giustizia.

Proprio per questa sua idoneità a garantire l’efficacia delle norme di diritto all’interno di un ordinamento giuridico, iprincipi di effettività del diritto e del giusto processo possono essere considerati come parametri per valutare la validità di un determinato sistema giuridico: qualora le norme formalmente approvate “sulla carta” non risultino anche concretamente applicate, non si può parlare di diritto in senso sostanziale.

Per quanto riguarda il comportamento tenuto dall’AF, riteniamo opportuno ricordare che, ai sensi dell’art. 3 delRegolamento recante il codice di comportamento dei dipendenti pubblici, approvato con il D.P.R. 16/04/2013, n. 62, il dipendente pubblico deve osservare la Costituzione e svolgere i propri compiti nel rispetto della legge, perseguendo l’interesse pubblico senza abusare della posizione o dei poteri di cui è titolare (comma 1). Inoltre, egli deve rispettare i principi di integrità e correttezza, buona fede, proporzionalità, obiettività, trasparenza, equità e ragionevolezza e agire in posizione di indipendenza e imparzialità, astenendosi in caso di conflitto di interessi (comma 2). Nei rapporti con i destinatari dell’azione amministrativa, il dipendente assicura la piena parità di trattamento a parità di condizioni, astenendosi, altresì, da azioni arbitrarie che possono provocare effetti negativi sui destinatari dell’azione amministrativa o che possono comportare discriminazioni (comma 5).

Nelle circostanze, il comportamento tenuto dall’AF sembra piuttosto intollerante verso il diritto dell’Unione e comunque non si direbbe per niente rispettoso del Regolamento dei dipendenti pubblici, il quale, peraltro, non fa che ribadire l’obbligo di osservazione di principi costituzionali tutelati. È come se le norme venissero scritte per essere osservate soltanto da alcuni (cioè dai cittadini, che rischiano così di essere considerati come sudditi), e non anche dai pubblici dipendenti.

A proposito della responsabilità civile dei magistrati, riteniamo opportuno ricordare che il 19 marzo 2015 è entrata in vigore la Legge 27 febbraio 2015, n. 18, la quale introduce disposizioni volte a modificare le norme di cui alla legge 13 aprile 1988, n. 117, al fine di rendere effettiva la disciplina che regola la responsabilità civile dello Stato e dei magistrati, anche alla luce dell’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, ampliando i casi di colpa grave e prevedendo, tra l’altro, che i magistrati rispondono nel caso di “travisamento del fatto o delle prove”. È stato invece mantenuto il principio della responsabilità indiretta: quindi il soggetto che ritenga di aver subito un danno ingiusto per un atto posto in essere da qualunque magistrato non può agire direttamente contro il magistrato, ma deve agire contro lo Stato, che potrà successivamente esercitare l’azione di rivalsa contro il magistrato.

Basterà questa nuova norma per evitare che alcuni magistrati possano continuare impunemente ad assumere decisioni superficiali, ai danni dei cittadini, senza rispondere del loro operato? È presto per dirlo, ma è elevato il rischio che anche questa legge resterà un’altra norma scritta solo sulla carta e basta!

Ai contribuenti che dovessero subire ingiustizie, è opportuno ricordare che dall’appartenenza del nostro Paese all’Unione europea non derivano soltanto oneri, ma anche diritti che ciascun cittadino europeo può far valere anche presso le Corti di Lussemburgo e Strasburgo.

In particolare, dalla consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia si traggono i seguenti insegnamenti quali principi generali del diritto dell’Unione, che ciascun cittadino dell’Unione può far valere anche davanti ai giudici nazionali; si tratta dei principi di effettività del diritto,della tutela giurisdizionale effettiva, della certezza del diritto, deldivieto di abuso del diritto, della responsabilità dello Stato membro nel caso d’inadempimento del diritto dell’Unione o per violazione del diritto dell’Unione da parte dei propri organi interni, ivi compreso il regime di responsabilità civile dei magistrati, con obbligo di risarcimento del danno a favore del privato da ciò leso, a prescindere dall’accertamento del dolo o della colpa dell’amministrazione o dei giudici che hanno agito in violazione del diritto dell’Unione europea.

Dall’atteggiamento assunto dall’AF e da alcuni giudici di merito, è evidente che nel caso in esame non solo sono stati violati i citati principi di diritto dell’Unione, ma anche il ruolo della Corte di giustizia, che è quello di interpretare il diritto dell’Ue affinchè venga applicato in modo uniforme in tutta l’Unione, risulta svilito.

Dell’inosservanza del diritto dell’Unione europea e dall’ingiustizia tributaria che da ciò ne è derivata, possono essere chiamati a risponderne, per il risarcimento dei danni materiali e morali causati ai cittadini, sia i funzionari che i magistrati che di ciò si sono resi responsabili.

Alcuni contribuenti si sono già rivolti anche alla Commissione Europea, denunciato l’inadempimento del diritto dell’Unione, per cui è ancora pendente la procedura d’infrazione EU Pilot nr. 5571/13/TAXU contro il Governo italiano. Altri stanno valutando di denunciare anche le vessazioni subite dall’ingiustizia tributaria causata dalla mancata attuazione della sentenza del 22/10/2014 della Corte di Lussemburgo, per violazione del principio di “effettività” del diritto dell’Unione.

Tuttavia, va considerato che fin quando le sanzioni irrogate dalla Commissione europea nell’ambito delle procedure d’infrazione continueranno a gravare sulla collettività, e lo Stato non esercitare l’azione di rivalsa contro i pubblici dipendenti o magistrati responsabili dell’inadempimento del diritto dell’Unione, è elevato il rischio che anche i Trattati possano essere “sacrificati” in nome del superiore interesse di gettito fiscale, oramai divenuto un’ossessione.

13 giugno 2015

Sebastiano Cristaldi

Massimiliano Rosa