Quando la cessione di singoli beni (con IVA) può essere invece considerata cessione di azienda, con applicazione dell'imposta proporzionale di registro e tassazione dell'avviamento

occorre verificare se la cessione singola di beni celi una cessione di azienda, con applicazione dell’Iva, ed elusione dell’imposta di registro; ai fini della qualificazione come cessione di azienda (assoggettabile ad imposta di registro, anzichè ad IVA) del trasferimento solo di alcuni dei beni in essa rientranti, occorre verificare se in base agli elementi probatori disponibili i beni complessivamente ceduti abbiano o meno mantenuto carattere autonomo idoneo a consentire l’esercizio dell’impresa

 

Con la sentenza n. 6719 del 2 aprile 2015 (ud. 4 marzo 2015) la Corte di Cassazione, nel caso di cessione di locali ad uso commerciale, tassata dalle parti ai fini Iva, e riqualificata come imposta di registro da parte dell’ufficio, ha riconfermato il principio secondo cui, ai fini della qualificazione come cessione di azienda (assoggettabile ad imposta di registro, anzichè ad IVA) “del trasferimento solo di alcuni dei beni in essa rientranti, non è decisiva la volontà delle parti, occorrendo invece verificare se, in base agli elementi probatori disponibili, i beni complessivamente ceduti abbiano, o meno, mantenuto carattere autonomo idoneo a consentire l’esercizio dell’impresa (Cass. n. 10743 del 2013); e che è possibile valutare, ai sensi dell’art. 1362 c.c., comma 2, circostanze ed elementi di fatto diversi da quelli emergenti dal tenore letterale delle previsioni contrattuali (Cass. n. 6405 del 2014)”.

 

Brevi note

L’art. 2555 c.c. individua l’azienda come il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa, mentre l’imprenditore, a norma dell’art. 2082 c.c., è “colui che esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi“.

Le due definizioni ci portano a ritenere che l’azienda “… può essere intesa sia come attività sia come risultato dell’attività svolta. In sostanza, l’azienda riguarda qualcosa di materialmente esistente, l’impresa qualcosa che deve essere esercitata, l’imprenditore, invece, è la figura soggettiva per il collegamento funzionale tra i due termini. Tra azienda e impresa sussiste quindi un rapporto da mezzo a fine1“.

 

I beni dell’azienda, tutti collegati fra loro in un nesso di dipendenza reciproca, in modo da servire al fine produttivo comune, non perdono la loro individualità, anche se possono formare oggetto di atti giuridici separati; l’azienda, inoltre, può essere trasferita ad un soggetto diverso e tale operazione può riguardare l’intero complesso organizzato, come universitas, ovvero un solo ramo della stessa.

Il problema vero è verificare, ogni volta, se la cessione singola di beni celi una cessione di azienda, con applicazione dell’Iva, ed elusione dell’imposta di registro, indipendentemente dalla denominazione data dalle parti o dalle reali intenzioni che hanno indotto le parti. Facoltà che compete all’ufficio.

Infatti, con la sentenza n. 28259 del 18 dicembre 2013 (ud. 24 ottobre 2013) la Corte di Cassazione ha confermato che “in tema d’interpretazione degli atti ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, il criterio fissato dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20 – per cui rilevano l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti stessi, al di là del titolo e della forma apparente -, da un lato comporta che, nella qualificazione di un negozio, deve attribuirsi rilievo preminente alla sua causa reale e alla regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti; e dall’altro consente al giudice di merito di accertare l’intenzione effettiva dei contraenti (di effettuare, per es., trasferimenti aziendali) come risultato finale della operazione nel suo complesso (negoziale e, nella specie, societaria), attraverso l’esame congiunto dei singoli atti, stipulati contestualmente o non contestualmente. Questo criterio e questi effetti prescindono dalla sussistenza o insussistenza di un intento elusivo dei contraenti (v. ex multis Cass. n. 9162-10; n. 11769-08; n. 13580-07; n. 273-07; n. 10660-03; n. 2713-02; n. 14900-01)”.

Pertanto, prosegue la Corte, è errato sostenere “che l’indagine rilevante ai fini del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 dovesse essere limitata da una verifica di tipo atomistico, incentrata sul contenuto del singolo atto presentato alla registrazione, senza possibilità di far ricorso, nell’indagine sulla reale intenzione delle parti, a elementi estrinseci allo stesso o a negoziazioni ulteriori e funzionalmente collegate”.

Inoltre, “l’interpretazione di un atto negoziale, ai fini fiscali, deve avvenire con criteri diversi da quelli utilizzabili ai comuni fini civilistici, dovendosi comunque attribuire preminente rilievo agli effetti della negoziazione in vista della necessità di prevenire possibili abusi (v. da ultimo, sebbene con specifico riferimento all’analisi intesa a stabilire la soggezione di un negozio a imposta di registro piuttosto che a Iva, Cass. n. 1405-13; n. 23485-12; e v. anche, per ulteriori riferimenti, la recentissima Cass. n. 14150-13, cui adde Cass. n. 6835-13)”.

 

Diretta conseguenza è che “il risultato finale di un’operazione complessa non può essere disgiunto dal contesto di una disamina globale, e presuppone come doverosa la considerazione degli elementi ritraibili da tutti gli atti che in essa si inseriscono”.

 

26 giugno 2015

Roberta De Marchi

 

1 DODARO-SPINICIELLI, in “Informazioni aziendali, n. 12/2001, pag. 964.