Una nuova imposta di donazione per i trust?

una recente sentenza della CTP Roma rappresenta forse il punto di svolta in materia di tassazione degli atti istitutivi di trust con dotazione di beni immobili; vediamo perché si applica l’imposta di donazione nella fase iniziale; la compatibilità con la prassi dell’Agenzia entrate; le imposte ipocatastali

Introduzione

La sentenza della CTP Roma n. 6615/25/15 del 25 marzo 2015 rappresenta forse il punto di svolta in materia di tassazione degli atti istitutivi di trust con dotazione di beni immobili.

Le conclusioni cui giungono i giudici presentano profili di estremo interesse in quanto confermano l’applicazione immediata dell’imposta di donazione ma non anche dell’imposta ipocatastale.

La tesi appare prima facie sorprendente e quasi contraddittoria ma trova il conforto delle recenti ordinanze della Cassazione uscite tra febbraio e marzo e legittima un approccio invalso nella prassi professionale, quanto meno in quella di chi scrive.

L’intervento della Cassazione

Il dibattito in materia di tassazione degli atti di dotazione di trust ha subito un importante scossone ad opera di alcuni interventi della Cassazione. Negli scorsi mesi di febbraio e marzo, infatti, la Cassazione è intervenuta in materia di trust con alcune ordinanze. In questa sede ci interessa menzionare l’Ordinanza n. 3886 del 25 febbraio 2015 (udienza 4 febbraio 2015), dove si affronta il caso di un atto costitutivo di un trust in cui comparivano come disponenti due coniugi che indicavano se stessi come beneficiari, se in vita, altrimenti i figli in parti uguali.

In considerazione della mancanza di attualità di trasferimento di diritti, sono state applicate in maniera fissa le imposte di registro, ipotecaria e catastale. L’Agenzia delle entrate ha notificato al notaio un avviso di liquidazione col quale ha recuperato le imposte ipotecaria e catastale in misura proporzionale, nonchè l’imposta sulle successioni e donazioni con l’aliquota dell’8%.

Il contribuente ha presentato ovviamente ricorso, vincendo sia in primo che in secondo grado in considerazione del fatto che, per un verso, il trust è atto neutro e, per altro verso, che i beneficiari sono titolari di una posizione qualificabile come aspettativa giuridica.

In sostanza viene richiamato il tema classico che ha riscontrato particolare seguito tra i giudici secondo cui non esiste un effetto arricchitorio nel momento in cui i beni passano dal disponente al trustee: questo effetto si produce solamente nella fase finale quando gli stessi passeranno ai beneficiari ossia, come generalmente accade, nella fase finale di vita del trust.

Si tratta di tesi assolutamente condivisibili in quanto è palese che il trust rappresenta uno strumento per realizzare un progetto, un assetto di gestione del patrimonio del disponente. Solo quando i beni passano al beneficiario questo ne risulterà arricchito. Tale circostanza, a prescindere dalle indicazioni contenute nell’atto istitutivo, è in ogni caso eventuale in quanto ben potrebbe accadere che il patrimonio si esaurisca anticipatamente ad esempio per calamità naturali o perché riattribuito al disponente in modo da far fronte alle esigenze di vita dello stesso1.

Questa tesi, ormai consolidata in mo modo pressoché cotante, ha incontrato uno stop nella recente ordinanza in discorso.

Proseguiamo nella nostra analisi. Dalla lettura dei passi successivi dell’Ordinanza emerge che il trust è altresì auto dichiarato.

I giudici ritengono che in questo caso vadano applicate l’imposta di donazione nella misura dell’8% e le imposte ipotecarie e catastali nella misura del 3%. I giudici, inoltre, negano l’esistenza del trust.

Smarchiamo da subito il secondo aspetto. Premettiamo, come solito fare, che non è possibile mai esprimere un giudizio su un trust senza avere letto l’atto istitutivo e aver conosciuto il contesto in cui è nato e i soggetti coinvolti. Ciò detto, la Cassazione cade in errore nel negarne la natura di trust perché la sussistenza del trust deve essere valutata alla luce della sua legge regolatrice e non in base ad altri canoni ermeneutici.

La coincidenza del disponente col trustee e la sua presenza tra i beneficiari non rappresenta certo la migliore tecnica redazionale di atti e ragionevolmente ricade nell’alveo dei trust interposti sotto il profilo fiscale2.

Tuttavia, un conto è l’aspetto fiscale, un conto è la validità civilistica dell’istituto.

Forse i giudici stessi non sono convinti fino in fondo nella tesi esposta laddove poi sanciscono la tassazione del vincolo segregativo.

Ma come? Se non è un trust non è niente e non devo quindi essere in alcun modo soggetto a tassazione.

Il fatto che i giudici continuino a ragionare della tassazione porta a dire che forse intendevano esclamare: “ma che razza di trust è questo?“.

Probabilmente era l’unico tipo di trust possibile per gestire la fattispecie sottostante. Ribadiamo come sia impossibile esprimere giudizi o apprezzamenti aprioristici.

Perché si applica l’imposta di donazione nella fase iniziale

L’applicazione dell’imposta di donazione nella fase iniziale si giustifica solo per il fatto che il D.L. 262/2006 ha inquadrato i vincoli come i trust tra gli atti soggetti ad imposta di donazione. L’imposizione non discenderebbe tanto da un fenomeno arricchito rio ma dal fatto che il vincolo è stato creato su un determinato bene.

Secondo la Suprema Corte, infatti, il tenore del D.L. 262/2006 evidenzia che l’imposta è istituita non già sui trasferimenti di beni e diritti a causa della costituzione di vincoli di destinazione come, invece, accade per le successioni e le donazioni in relazione alle quali è espressamente evocato il nesso causale, ma l’imposta è istituita direttamente, ed in sè, sulla costituzione dei vincoli.

Vincoli, prosegue l’ordinanza, che come sostengono sentenza e controricorrente, designano non negozi, bensì l’effetto giuridico di destinazione mediante il quale si dispone, ossia si pone fuori da sè (e non necessariamente in favore di altri da sè) un bene, orientandone i diritti dominicali al perseguimento degli obiettivi voluti: alla disposizione non è coessenziale l’attribuzione a terzi, in quanto mercé la destinazione si modula, non si trasferisce il diritto.

L’imposta sulla costituzione di un vincolo di destinazione è un’imposta nuova, accomunata solo per assonanza alla gratuità delle attribuzioni liberali; essa riceve disciplina mediante un rinvio, di natura recettizio-materiale, alle disposizioni del D.Lgs. n. 346 del 1990 (in quanto compatibili D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 50, come convertito), ma conserva connotati peculiari e disomogenei rispetto a quelli dell’imposta classica sulle successioni e sulle donazioni.

Ciò in quanto, nell’imposta in esame, a differenza che in quella tradizionale, il presupposto impositivo è correlato alla predisposizione del programma di funzionalizzazione del diritto al perseguimento degli obiettivi voluti; là dove l’oggetto consiste nel valore dell’utilità della quale il disponente, stabilendo che sia sottratta all’ordinario esercizio delle proprie facoltà proprietarie, finisce con l’impoverirsi.

Se questa imposta abbisognasse del trasferimento e, quindi, dell’arricchimento, essa sarebbe del tutto superflua, risultando sufficiente quella classica sulle successioni e sulle donazioni nelle quali il presupposto d’imposta è, giustappunto, il trasferimento, quantunque condizionato o a termine, dell’utilità economica ad un beneficiario: si prospetterebbe, in definitiva, l’interpretatio abrogans della disposizione in questione.

In questo modo i giudici evidenziano come le censure circa il mancato rispetto della capacità contributiva perdono di fondamento: il contenuto patrimoniale referente di capacità contributiva è ragguagliato all’utilità economica della quale il costituente, destinando, dispone.

In questo alveo la Cassazione ricomprende anche gli atti di destinazione contemplati dall’art. 2645 ter c.c..

Dopo aver definito le ragioni dell’applicazione dell’imposta di donazione nella fase iniziale, sconfessando in questo modo la consolidata tesi della non debenza del tributo per mancanza di arricchimento, si pone il problema di valutare la misura delle aliquote applicabili e le eventuali franchigie.

Nel definire l’aliquota la Corte sembra dare rilievo alla qualità dei “conferenti” anziché a quella dei beneficiari (forse perché nel caso di specie beneficiari e conferenti coincidevano, ma ciò non è stato precisato), affermando così che essi non rientrano “in alcuna delle categorie previste dalla norma, che godono di aliquota inferiore”.

In effetti, non si capisce se la casistica non presente tra le aliquote agevolate cui fanno riferimento i giudici sia quella del trust auto dichiarato in quanto tale o quella della coincidenza tra disponenti e beneficiari. Rimane tuttavia salva l’applicazione delle aliquote minori e delle relative franchigie nel caso in cui tra il disponente ed i beneficiari sussista un rapporto di parentela stretta.

In sostanza il ragionamento pare essere il seguente. Che tipo di parentela esiste tra il disponente ed il beneficiario coincidente con la stessa persona? Ovviamente nessuna per cui il bivio è se scegliere la non tassazione per via della mancanza dell’arricchimento oppure l’imposta residuale nelle misura dell’8%. Questa soluzione non pare invero assolutamente scontata, tuttavia è stata quella seguita dalla Corte.

E se vi fosse stato un rapporto di parentela stretto ad esempio di discendenza in linea retta?

In dottrina è stato correttamente rilevato come rimanga tuttavia salva l’applicazione delle aliquote minori e delle relativa franchigie nel caso in cui tra il disponente ed i beneficiari sussista un rapporto di parentela stretta.

Angelo Busani, La Cassazione «smonta» il trust, in Il Sole 24 Ore del 8.3.2015 – p.15, evidenzia come questo gruppo di sentenze rimarranno annoverate, negli annali della giurisprudenza tributaria italiana, come sentenze “storiche” per essersi occupate per la prima volta di trust in sede di giudizio di legittimità (e per avere usato una “mano pesante” per tutti i trust diversi da quelli nei quali tra disponente e beneficiari non vi sia uno stretto rapporto familiare).

L’autorevole intervento appare assolutamente condivisibile, tuttavia sarebbe interessante trovare una indicazione puntuale in un intervento giurisprudenziale.

Ebbene questo è prettamente il ruolo della sentenza della CTP di Roma che c accingiamo a commentare.

Il ruolo della sentenza di Roma

La tesi dell’applicazione delle aliquote e delle franchigie in modo da tener conto dei rapporti di parentela tra disponente e beneficiari è stata evidenziata anche dalla Sentenza CTP Roma n. 6615/25/15 del 25 marzo 2015 (ud. 24 novembre 2014). In quell’occasione è stato sostenuto che l’imposta di donazione non è correlata all’arricchimento ma alla mera creazione del vincolo. Si tratta di una tesi sostanzialmente in linea con quella della Cassazione.

La sentenza affronta il caso di una signora che depositava presso la segreteria e la Commissione Tributaria Provinciale un ricorso contro il rifiuto tacito della direzione provinciale di Roma dell’Agenzia delle Entrate contro l’istanza di rimborso dalle presentata nel corso del 2012 relativa all’imposta tipo catastale versata a seguito della stipula di due atti pubblici rogitati da un notaio del posto.

Gli atti avevano l’oggetto dei beni immobili. All’epoca furono versate le imposte solo per poter effettuare la registrazione che, diversamente l’Agenzia avrebbe negato.

Si sostiene, da parte del ricorrente, che gli atti dispositivi a favore del trust non comportano un effettivo trasferimento di proprietà perché con questo negozio il disponente trasferisce il patrimonio al trustee che si qualifica come soggetto che assume l’uso di amministrarlo con, a sua volta, l’impegno di trasferirlo ad uno o più beneficiari alla scadenza contrattuale.

In sostanza, si determina una segregazione beni priva di qualsiasi intento di liberalità.

È richiamata sul punto la giurisprudenza pregressa consolidata.

L’Agenzia delle Entrate ha eccepito l’applicazione della circolare n. 3/E del 22 gennaio 2008 la quale prevede l’applicazione dell’imposta ipocatastale in misura proporzionale e non fissa.

Inoltre l’Agenzia evidenzia come l’atto dispositivo sia soggetto all’imposta di donazione perché per le sue caratteristiche essenziali che lo contraddistinguono, il trust è riconoscibile nella categoria del vincolo di destinazione.

La commissione tributaria provinciale ha evidenziato come il ricorso sia fondato.

La lettura degli atti porta a ritenere che debba considerarsi prevalente l’apporto patrimoniale disposto a favore del trust al fine di congelare dei patrimoniali di proprietà della ricorrente e non al fine del trasferimento dei beni segregati ai beneficiari.

E’ inoltre interessante citare un passaggio del trust dove si evidenzia come la disponente avverta l’obbligazione morale e giuridica di provvedere alla propria figlia e ad eventuali ulteriori figli dovesse avere ed all’eventuale discendenza in linea retta degli stessi in modo tale da assicurare loro avvenire economicamente garantito che non risenta di alcuna vicenda personale o economica che dovesse colpire costoro o le eventuali attività che costoro dovessero decidere di intraprendere.

La stessa disponente, inoltre, avverte l’esigenza di istituire questo trust, avvertendo il bisogno di assicurarsi per gli anni a venire una serena esistenza, in considerazione dell’impossibilità di prevedere gli eventi futuri e quindi anche nell’ipotesi in cui dovesse diventare bisognosa di cure o assistenza.

A questo punto giunge uno dei passaggi più interessanti della sentenza.

Si evidenzia come si sia costituito un mero vincolo di destinazione sugli immobili e non si sia determinato alcun incremento patrimoniale che, semmai, interverrà in seguito al momento del perseguimento dello scopo del trust.

D’altra parte, l’imposta sulla costituzione di vincoli, che nel caso di specie non è stata applicata non sussistendovi i presupposti, è una imposta che origina dalla costituzione del vincolo in quanto tale e non già sul trasferimento dei beni e diritti conseguenti alla costruzione dello stesso vincolo di destinazione.

I vincoli non designano i negozi ma l’effetto giuridico, capace di applicarsi a tutti i regolamenti capaci di produrlo, compresi i trust.

Sostanzialmente, con questo inciso, la commissione tributaria evidenzia come l’imposta di donazione sia dovuta solamente in quanto si è creato il vincolo e quindi a prescindere da un negozio che porta un arricchimento.

Il mancato arricchimento, pertanto, viene valutato solo in relazione alla non debenza delle imposte ipocatastali ma non anche in relazione all’imposta di donazione.

In sostanza, viene evidenziato come per l’imposta sulle donazioni vi sia un presupposto impositivo diverso da quello delle ipocatastali, oggetto del ricorso.

Ne consegue che l’imposta di donazione va applicata indipendentemente dalla successiva attuazione della destinazione impressa ai beni mentre, la concreta carenza di trasferimenti di diritti attuali ed efficaci, com’è nel caso in esame, non è assoggettabile all’imposta proporzionale catastale e ipotecaria.

Si conclude, infine, come la natura della lite si fondi su l’interpretazione di complesse disposizioni normative, la qual cosa giustifica la compensazione delle spese.

La compatibilità con la prassi dell’Agenzia

La tesi secondo cui l’imposta di donazione è dovuta nella fase iniziale in quanto rappresenta una forma di prelievo parallelo ma non assorbito nella classica imposta di donazione non risulta incompatibile con i precedenti interventi dell’Agenzia delle Entrate.

La C.M. 48/E/2007 fa riferimento all’imposta di donazione sic et simpliciter senza indugiare su queste sottili ma importanti distinzioni operate dalla Cassazione a distanza di quasi otto anni. E’ quindi ora interessante rileggere il passaggio del punto 5.2 della circolare alla luce di questa nuova chiave interpretativa offerta ai giudici.

Si legge che il conferimento di beni nel trust (o il costituito vincolo di destinazione che ne è l’effetto) va assoggettato all’imposta sulle successioni e donazioni in misura proporzionale, sia esso disposto mediante testamento o per atto inter vivos.

Il trust si sostanzia in un rapporto giuridico complesso che ha un’unica causa fiduciaria. Tutte le vicende del trust (istituzione, dotazione patrimoniale, gestione, realizzazione dell’interesse del beneficiario, il raggiungimento dello scopo) sono collegate dalla medesima causa.

Ciò induce a ritenere che la costituzione del vincolo di destinazione avvenga sin dall’origine a favore del beneficiario (naturalmente nei trust con beneficiario) e sia espressione dell’unico disegno volto a consentire la realizzazione dell’attribuzione liberale.

Conseguentemente, ai fini della determinazione delle aliquote, che si differenziano in dipendenza del rapporto di parentela e affinità (all’art. 2, commi da 47 a 49, del D.L. n. 262 del 2006), occorre guardare al rapporto intercorrente tra il disponente e il beneficiario (e non a quello tra disponente e trustee).

Ai fini dell’applicazione sia delle aliquote ridotte sia delle franchigie, il beneficiario deve poter essere identificato, in relazione al grado di parentela con il disponente, al momento della costituzione del

vincolo. Ad esempio, per poter applicare l’aliquota del 4 per cento prevista tra parenti in linea retta, è sufficiente sapere che il beneficiario di un trust familiare sarà il primo nipote al conseguimento della maggiore età.

Dalla lettura di questi passaggi possiamo ritenere che l’Agenzia avesse in mente questa nuova tipologia di imposta di donazione che prescinde dall’aspetto arricchitorio?

Ad avviso di chi scrive, l’Agenzia considerava la tesi classica della donazione, tuttavia chiedeva l’imposta subito per motivi di cautela fiscale.

Va tuttavia evidenziato, come la nuova visione dei giudici non paia incompatibile con la lettera della circolare. In ogni caso l’imposta sarebbe dovuta subito, ma tenendo conto del rapporto tra il disponente e i beneficiari.

E le ipocatastali?

Abbiamo avuto modo di evidenziare come la CTP di Roma confermi la tesi della non debenza delle imposte ipocatastali nella fase istitutiva/dispositiva del trust secondo le tesi tradizionali ormai consolidate a livello giurisprudenziale.

I giudici di prime cure, tuttavia, si discostano dalla Cassazione laddove confermano la non applicabilità delle imposte ipocatastali nella fase iniziale di istituzione del trust ma solamente nella fase finale in cui il patrimonio verrà attribuito ai beneficiari.

La Cassazione, al contrario, riteneva applicabili le ipocatastali anche in sede di apporto in trust. Si tratta, in relazione a questo ultimo intervento, di una tesi invero non sostenibile atteso che, in quel caso, trattandosi di un trust auto dichiarato manca la voltura degli immobili per cui le ipocatastali non sono dovute.

7 maggio 2015

Ennio Vial

 

NOTE

1 Il trustee, infatti, deve generalmente garantire il tenore di vita del disponente.

2 La C.M. 43/E/2009 e la C.M. 61/E/2010 hanno evidenziato come il trust dove il disponente o il beneficiario hanno un potere invasivo sul trustee sono considerati irrilevanti sotto il profilo dell’imposizione diretta per cui i redditi dovranno essere tassati in capo al disponente o ai beneficiari a seconda dei casi.