Accertamento da studi di settore: non è necessario aspettare i 60 gg previsti dallo Statuto del Contribuente

in caso di accertamento da studi di settore, il Fisco può anticipare l’invio dell’avviso rispetto ai 60 giorni concessi per le memorie dallo Statuto del Contribente

Con l’ordinanza n. 6054 del 26 marzo 2015 (ud. 18 febbraio 2015) la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo l’accertamento da studi di settore, emesso senza che siano trascorsi i 60 giorni previsti dallo Statuto del contribuente.

Il fatto

In esito ad un controllo dell’Agenzia delle entrate della dichiarazione dei redditi della società, da cui era emerso che l’ammontare dei ricavi dichiarati era sensibilmente diverso da quello derivante dall’applicazione degli studi di settore in relazione all’attività svolta dalla contribuente, e non andato a buon fine il contraddittorio volto alla definizione con adesione, l’ufficio ha accertato, ai fini IRES, Iva ed Irap maggiori ricavi, irrogando altresì le relative sanzioni.

La Commissione Tributaria provinciale ha respinto il ricorso proposto avverso l’avviso; la sentenza è stata confermata in secondo grado, rimarcando il regolare svolgimento del contraddittorio e l’inapplicabilità del termine dilatorio di sessanta giorni previsto dall’art. 12 dello statuto dei diritti del contribuente.

 

L’ordinanza

Per la Corte è infondato l’unico motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., c. 1, n. 3, col quale la società lamenta la violazione dell’art. 12, c. 7, della L. n. 212/2000, atteso il principio di diritto affermato dalla Corte in fattispecie similare (Cass. 4 aprile 2014, n. 7960), secondo cui “in tema di accertamento standardizzato mediante parametri e studi di settore, non è applicabile il termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, decorrente dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, essendo già prevista, a pena di nullità, una fase necessaria di contraddittorio procedimentale, che garantisce pienamente la partecipazione e l’interlocuzione del contribuente prima dell’emissione dell’avviso”.

Inoltre, “la sussistenza delle fase necessaria di contraddittorio procedimentale, nella fattispecie regolarmente espletata, rende inapplicabile la giurisprudenza più recente citata in memoria, evidenziando l’inconferenza in relazione al caso in esame degli argomenti sviluppati dall’ordinanza n. 527/15 di questa sezione, richiamata dalla società nel corso della discussione orale”.

 

Accertamenti a tavolino e controlli esterni – Brevi note

Le diverse sentenze di merito che accomunano i controlli cd.a tavolino ai controlli esterni, nel tentativo di applicare, anche ai primi, le garanzie offerte dall’art.12, comma 7, dello Statuto del contribuente, hanno trovato un preciso, motivato e condivisibile stop dalla Corte di Cassazione, in forza del dettato normativo che ne impedisce una interpretazione estensiva.

Già con la sentenza 13 giugno 2014, n. 13588, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo l’operato dell’ufficio che, dopo aver notificato un questionario, non ha atteso i 60 giorni previsti dall’art. 12, c. 7, della Legg.n.212/2000, dalla data dell’ultimo verbale di contraddittorio tra il contribuente e l’Ufficio (la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, riformando la sentenza di primo grado, aveva annullato tre avvisi di accertamento Irpef rispettivamente relativi agli anni 2003, 2004 e 2005, con i quali l’ufficio aveva rettificato il reddito del contribuente mediante un accertamento sintetico ex art. 38, c. 4, D.P.R. n. 600/73).

L’assunto dei giudici territoriali (secondo cui il termine dilatorio per l’emanazione dell’atto impositivo previsto dal settimo comma dell’art. 12 della L. 212/2000 opererebbe anche al di fuori del caso di controlli effettuati presso locali ove si esercita l’attività aziendale o professionale) non ha trovato il conforto della Suprema Corte, “perché esso urta contro la chiara lettera del menzionato articolo 12 L. 212/00, che, nel primo comma, fa espresso riferimento agli “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali tale riferimento delimita esplicitamente il perimetro applicativo delle disposizioni contenute nei sette commi di cui tale articolo si compone, le quali, del resto, contengono disposizioni tutte palesemente calibrate sulle esigenze di tutela del contribuente in relazione alle visite ispettive in loco.

Le stesse Sezioni Unite hanno chiaramente valorizzato il suddetto argomento letterale, laddove, enunciando il principio di diritto della sentenza n. 18184/2013, hanno precisato che il termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento decorre ‘dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni; nel medesimo senso si sono poi espresse le recentissime sentenze della Sezione tributaria n. 7960/14, che ha escluso l’operatività del termine di cui al settimo comma dell’articolo 12 L. 212/00 in tema di accertamento standardizzato mediante parametri e studi di settore, e n. 7598/14, che ha espressamente chiarito che l’applicazione di detto termine postula lo svolgimento di accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali del contribuente’”.

Né, osserva la Corte, “possono condividersi i dubbi di costituzionalità genericamente prospettati nella sentenza gravata con riferimento al diverso regime di tutela del contraddittorio procedimentale nel caso di accertamento effettuato mediante visita ispettiva in loco e accertamento effettuato mediante l’esame presso i locali dell’Amministrazione finanziaria dei documenti o dei questionari dalla stessa acquisiti (c.d. ‘a tavolino’). Come infatti questa Corte ha già avuto modo di chiarire con la citata sentenza 7598/14, la particolare garanzia del contraddittorio procedimentale costituita dall’imposizione di un termine dilatorio per l’emanazione dell’atto impositivo, decorrente dalla chiusura delle operazioni di controllo, è limitata all’ipotesi di accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali del contribuente perché solo in tali ipotesi si verifica una invasione della sfera del contribuente, nei luoghi di sua pertinenza.

Con l’accesso in loco, infatti, è l’Amministrazione, in base ai propri poteri d’impulso, a ricercare gli elementi che reputa utili a verificare la sussistenza di attività non dichiarate a da ciò deriva una specifica esigenza (che non sorge quando l’emanazione dell’atto impositivo derivi dall’esame di atti già in possesso dell’Amministrazione, o a questa fomiti dal contribuente, e da questa esaminati nella propria sede) di dare spazio al contraddittorio, al fine di correggere, adeguare e chiarire gli elementi in tal modo raccolti, nell’interesse del contribuente e della stessa Amministrazione”.

Pertanto, “le ipotesi del controllo eseguito presso la sede del contribuente e del controllo c.d. a tavolino non possono essere assimilate.

Nella prima ipotesi l’espansione della tutela del contraddittorio procedimentale è massima, in quanto tale tutela tende a bilanciare lo squilibrio tra contribuente e Amministrazione derivante dall’assoggettamento del primo ai poteri ispettivi della seconda; cosicché, come pure questa Corte non ha mancato di precisare con la sentenza n. 20770/13, poi ripresa dalla sentenza 2593/14, il termine dilatorio in questione si applica in tutti casi di accesso presso i locali del contribuente, pur quando il relativo processo verbale non contenga rilievi o addebiti (dovendo infatti, ai sensi dell’ articolo 52, sesto comma, d.p.r. 633/2, richiamato dall’articolo 33 d.p.r. n. 600/73, redigersi processo verbale anche degli accessi che si risolvano in una mera acquisizione di dati, elementi e notizie).

Nella seconda ipotesi, per contro, la naturale vis expansiva dell’istituto del contraddittorio procedimentale nei rapporti tra fisco e contribuente non giunge fino al punto da imporre termini dilatori all’azione di accertamento che derivi da controlli fatti dall’Amministrazione nella propria sede, in base ai dati fomiti dallo stesso contribuente o acquisiti documentalmente”. Al riguardo il collegio ribadisce (cfr. Cass. n. 26316/10), “nell’ordinamento non sussiste un principio generale che imponga il contraddittorio fin dalla fase di formazione della pretesa fiscale; né l’esistenza di tale principio potrebbe desumersi dal diritto comunitario, avendo la Corte di Giustizia ancora di recente, con la sentenza 22.10.13 C-276/12, Jin Sabou, affermato che ‘l’Amministrazione, quando procede alla raccolta d’informazioni, non è tenuta ad informarne il contribuente né a conoscere il suo punto di vista’ (punto 45)”.

 

La sentenza che si annota in questa sede è conforme al precedente pronunciamento della stessa Suprema Corte (n. 7598 del 2 aprile 2014 ud. 16 dicembre 2013) dove i massimi giudici hanno delimitato l’ambito di applicabilità dei “diritti e delle garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali” stabilite dall’art. 12, L. n. 212/2000, alla presenza di “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali” del contribuente. “La ragione sta nel fatto che, in questi casi, lo statuto di diritti e garanzie fa da contrappeso all’invasione della sfera del contribuente, nei luoghi di sua pertinenza, dando corpo ad una specifica esigenza di dare spazio al contraddittorio, al fine di conformare e adeguare l’interesse dell’amministrazione alla situazione del contribuente, come delineata dagli elementi raccolti dall’ufficio grazie alle attività di verifiche, accessi ed ispezioni nei locali; e ciò in quanto in queste ipotesi è l’amministrazione, in base ai propri poteri d’impulso, a ricercare gli elementi che reputa utili a verificare, o ad escludere, la sussistenza di attività non dichiarata”.

 

Ed alle medesime conclusioni, per un caso analogo a quello qui in rassegna (studi di settore), la Suprema Corte era giunta (Cass. n. 7960/2014) rigettando il ricorso proposto dalla società ricorrente, confermando la sentenza dei giudici regionali marchigiani.

La fattispecie riguardava l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso proprio in applicazione degli studi di settore, a seguito dell’omessa presentazione del contribuente all’invito regolarmente notificato dall’Ufficio: per la precisione, la società aveva prodotto memorie difensive in risposta all’invito a comparire; l’Ufficio, prima telefonicamente e dopo per iscritto (a seguito della richiesta ricevuta), aveva proposto una minima riduzione, invitando nuovamente la compagine a comparire, incontro che era stato però disertato dalla controparte.

La società ricorrente, nel ricorso proposto, ha invocato la violazione dell’art. 12, c. 7 citato, facendola derivare dalla condotta dell’Ufficio impositore, reo di non aver redatto alcun verbale di chiusura delle operazioni, ricognitivo delle attività svolte, dal quale sarebbe dovuto decorrere il termine di sessanta giorni. Anche in questo caso, la motivazione della sentenza non lascia adito a dubbi: i giudici di legittimità hanno ritenuto destituita di ogni fondamento la tesi della società ricorrente in quanto l’eccepito obbligo di verbalizzazione non trova alcun aggancio normativo nella esaustiva disciplina dell’accertamento standardizzato e costituisce il risultato di una commistione di normative, aventi ambiti applicativi del tutto distinti. La fattispecie esaminata, infatti, veniva già a collocarsi naturaliter nell’ambito della procedura di accertamento c.d. standardizzato, e, quindi, risultava già disciplinata in modo tale da garantire, concretamente, la partecipazione e l’interlocuzione del contribuente nella fase anteriore all’emissione dell’accertamento.

Né è parsa conducente ai massimi giudici il richiamo all’ordinanza n.527/2015 con cui la Sezione Tributaria ha chiesto l’intervento a SS.UU., per chiarire la portata e i limiti del principio del contraddittorio, e sull’obbligo della redazione di un verbale conclusivo in ambito tributario, proprio perché il contraddittorio, nel caso di specie, risulta espletato.

25 maggio 2015

Gianfranco Antico