L'attività di prostituzione è attività di lavoro autonomo!

l’attività di prostituzione è attività di lavoro autonomo e pertanto va assoggettata a tassazione, ma va ad essa riconosciuta la disapplicazione delle sanzioni stante l’incertezza di tale attività ondeggiante tra legalità e contrarietà al buon costume (C.T.P. di Bolzano)

Commiss. Trib. I grado Trentino-Alto Adige Bolzano Sez. II, Sent., 24-02-2015, n. 32

Fatto Diritto P.Q.M.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO DI BOLZANO/BOZEN

SECONDA SEZIONE

riunita con l’intervento dei Signori:

MEYER CHRISTIAN – Presidente

PICHLER KURT – Relatore

DEFANT ANNA ROSA – Giudice

ha emesso la seguente

SENTENZA

– sul ricorso n. 109/14

spedito il 15/04/2014

– avverso AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (…)RPEF-ADD.REG. 2007

– avverso AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (…)IRPEF-ADD.COM. 2007

– avverso AVVISO DI ACCERTAMENTO n.(…) lRPEF-LAV.AUTON 2007

– avverso AVVISO DI ACCERTAMENTO n.(…) lVA-OP.IMPONIB. 2007

– avverso AVVISO DI ACCERTAMENTO n. IRAP 2007

contro: AG.ENTRATE DIR. PROVIN. UFF. CONTROLLI BOLZANO

proposto dal ricorrente:

XY

difeso da:

TRANFA AVV. ALESSIO

VIA EMILIO FAA’ DI BRUNO 15 00195 ROMA RM

Svolgimento del processo

Con il ricorso rubricato sub n. 10/14, tempestivamente notificato in data 22.03.2014, il signo(…), nato in (…) rappresentato e difeso dall’avv. Alessio Tranfa del toro di Roma, elettivamente domiciliato presso lo studio dello stesso, ha proposto formale impugnazione avverso l’avviso di accertamento n. (…) per l’anno 2007, emesso dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio controlli di Bolzano in data 14.10.2013 e notificato a mezzo del servizio postale il 15-26/10/2013 in base al PVC della GdF di Bolzano del 03.07.2013 redatto a seguito di un controllo fiscale d’ufficio, in quanto dai controlli esperiti in concerto con le altre FF.PP. durante servizi di pattugliamento del territorio finalizzato alla prevenzione e repressione del fenomeno della prostituzione era emerso che l’odierna parte ricorrente esercitava abitualmente l’attività di meretricio. Sulla base degli elementi emersi dalle indagini finanziarie il controllo è stato trasformato in verifica sostanziale in data 22.05.2013, cui è conseguita la contestuale richiesta di attribuzione della P.IVA alla ditta ind.le (…), al fine di controllare l’adempimento della normativa tributaria ai fini IVA e delle imposte sui redditi ai sensi e per gli effetti degli artt. 52 e 63 del D.P.R. n. 633 del 1972, 33 del D.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 2 del D.Lgs. n. 68 del 2001, in quanto la ditta verificata aveva omesso di presentare la dichiarazione dei redditi ed IVA per gli anni d’imposta dal 2007 al 2013. Dall’attività di verifica posta in essere è stato dunque rilevato come l’impresa individuale (…)’ abbia omesso di dichiarare compensi/operazioni imponibili per un importo di Euro 98.470,80 per l’anno 2007.

Quindi, l’odierno ricorrente impugnava, con contestuale istanza di sospensione ex art. 47 D.Lgs. n. 546 del 1992, l’avviso di accertamento scaturito dalle indagini finanziarie ai sensi dell’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 51 del D.P.R. n. 633 del 1972 per i seguenti motivi:

1. non tassabilità dei proventi derivanti dall’esercizio dell’attività di prostituzione, in quanto non rientranti in alcuna delle categorie reddituali di cui all’art. 6 del TUIR: tali proventi non sarebbero riconducibili alla categoria dei redditi da lavoro autonomo, né alla categoria dei redditi diversi, in quanto il denaro ricevuto dalla persona che si prostituisce integrerebbe un “risarcimento del danno sui generis a causa della lesione .. della dignità di chi subisce l’affronto della vendita di sé”;

2. l’inapplicabilità di IVA ed IRAP per il non comprovato esercizio abituale dell’attività di meretricio.

Nelle sue controdeduzioni l’Agenzia delle Entrate contrasta puntualmente e con articolate argomentazioni tutti i motivi del ricorso, chiedendone il rigetto e la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

Con ordinanza n. 88/02/14 del 26 maggio 2014 è stata rigettata l’istanza di sospensione dell’atto impugnato.

All’odierna pubblica udienza le parti si riportano alle rispettive deduzioni e conclusioni scritte, per l’accoglimento delle quali insistono.

Motivi della decisione

 

Il ricorso appare parzialmente fondato e può essere accolto nella misura sotto indicata.

Inducono a dette conclusioni le seguenti considerazioni.

In merito all’eccepita non tassabilità (rectius imponibilità) dei proventi derivanti dall’esercizio dell’attività di prostituzione, in quanto non sarebbero rientranti in alcuna delle categorie reddituali di cui all’art. 6 del TUIR:, integrando il denaro ricevuto dalla persona che si prostituisce un “risarcimento del danno sui generis a causa della lesione … della dignità di chi subisce l’affronto della vendita di sé” a parere del Collegio tale motivo di doglianza appare assolutamente infondato.

Innanzi tutto occorre dichiarare infondata l’affermata natura risarcitoria dei proventi derivatiti dall’attività di meretricio, dedotta dalla parte ricorrente al fine di sentire dichiarata l’insussistenza della pretesa erariale in merito agli utili conseguiti per lo svolgimento della citata attività. La natura risarcitoria dei proventi percepiti per lo svolgimento dell’attività di meretrice va esclusa per il fatto che nel caso di specie il consenso manifestato dall’avente diritto preclude assolutamente che si possa far luogo al risarcimento. Invero, se un soggetto acconsente, ancorché il fatto posto in essere venga avvertito dalla generalità delle persone come violazione della morale corrente, tale comportamento certamente non può giuridicamente assumere natura di “risarcimento”. Senza antigiuridicità non ci può essere risarcimento, né indennizzo alcuno. A tal fine appare opportuno il richiamo alla recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione, la quale ha affermato il principio secondo il quale la prestazione non pagata di un rapporto di meretricio configura, in capo al richiedente, l’ipotesi delittuosa di reato di stupro. Ne consegue che il pagamento della prestazione “comprovando la volontà della consenziente ne elide la violenza, configurandosi nella fattispecie la sussistenza di un rapporto contrattuale ex art. 1325 c.c. e non risarcitorio”.

Conseguentemente, trattandosi di proventi derivanti da un’attività economica, in ossequio al principio di carattere generale esistente nel nostro ordinamento giuridico della tassabilità dei redditi per il fatto stesso della loro sussistenza, a prescindere dalla loro provenienza, e, dunque, dalla desumibilità della relativa fonte in una delle specifiche categorie reddituali di cui all’art. 6 D.P.R. n. 917 del 1986, i proventi tratti dall’esercizio dell’attività di prostituzione sono assoggettati alle norme impositive fiscali vigenti.

A tale proposito va richiamata la giurisprudenza di legittimità che ha affermato il principio, che qui si condivide, secondo cui “(…) la prostituzione costituisce una prestazione di servizi retribuita (..) i comuni principi in tema di accertamento dei redditi attraverso i dati bancari si applicano anche quando il reddito da assoggettare a tassazione costituisca provento di fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo e che, in coerenza, il reddito derivante dall’esercizio della prostituzione, in base al generale principio della tassabilità dei redditi per il fatto stesso della loro sussistenza… è soggetto ad imposizione diretta (…)”. In via definitiva, secondo i giudici di legittimità, i redditi provenienti dal meretricio vanno considerati come guadagni derivanti dall’esercizio di un’attività economica alla stregua di tutte le altre. Ne consegue che il reddito da meretricio è correttamente ascrivibile tra quelli indicati nell’art. 6 del TUIR.

La richiamata giurisprudenza, ampiamente condivisile in punto di diritto, ricollega la prestazione imposta ai principi di giustizia sociale, di legalità e di giustizia fiscale, di cui agli artt. 3, 23 e 53 della Carta Costituzionale. Diversamente si verificherebbe il paradosso per cui, quando una persona esercita una attività lecita e conforme al buon costume deve essere regolarmente tassata ai sensi del T.U.I.R., mentre, quando l’attività è, sebbene lecita, contraria alla morale sociale, non può essere assoggettata ad alcuna imposizione.

La natura dell’attività svolta è rilevante, invece, ai fini dell’IVA, perché in base all’art. 1 del D.P.R. n. 633 del 1972 “si applica sulle cessioni dei beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio d’imprese o nell’esercizio di arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate”. In base all’art. 3, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972 “costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratto d’opera, appalto,(…) e in genere da obbligazioni di fare, non fare e di permettere quale ne sia la fonte”; laddove il successivo art. 5, comma 1, specifica che “per esercizio di arti e professioni si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di qualsiasi attività di lavoro autonomo da parte di persone fisiche ovvero da parte di società semplici o di associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata delle attività stesse”. A tale stregua, deve affermarsi l’assoggettabilità ad IVA dell’attività di prostituzione, quando sia autonomamente svolta dal prestatore con carattere di abitualità.

Nel caso che ci occupa parte ricorrente eccepisce che non sarebbe stato dimostrato l’esercizio abituale dell’attività di meretricio. A tale proposito il Collegio osserva che l’accertamento della movimentazione numeraria sui conti personali dell’odierna parte ricorrente ha invertito l’onere della prova, determinando, così, a carico della stessa l’onere di dimostrare (potendosi avvalere, già in sede di contraddittorio amministrativo, della prova liberatoria) che le somme di denaro confluite sui conti anzidetti non rilevavano ai fini impositivi. Giova a tale proposito ricordare che secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato allorquando l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, è onere del contribuente, a carico del quale si determina una inversione dell’onere della prova, dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non siano riferibili ad operazioni imponibili, mentre l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, per legge, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti. La prova contraria consiste nell’analitica dimostrazione dell’irrilevanza di ciascuna singola operazione, non potendo risultare sufficienti profili probatori generici.

Dall’esame degli atti di causa emerge che la parte ricorrente, oltre a dichiarare di non aver svolto alcuna attività lavorativa (foglio n. 4 p.v.c. dd. 05.07.2013), lungi dal fornire giustificazione per alcuna movimentazione bancaria, si è limitata ad addurre a propria difesa che il denaro contante movimentato attraverso i versamenti e i prelievi effettuati sui conti correnti a lei intestati sarebbero “frutto di regali che ha ricevuto da persone a lei vicine per il suo sostentamento”.

A fronte dell’entità e del numero delle operazioni in contanti effettuate nel periodo considerato, questo Collegio ritiene che tale generica affermazione di parte ricorrente non sia affatto idonea a dimostrare che la stessa non svolgesse l’attività di meretricio in modo abituale. Le risultanze delle indagini bancarie depongono al contrario proprio per l’assoluta abitualità dell’attività di prostituzione esercitata.

Conseguentemente questo Collegio ritiene che nel caso che ci occupa ricorrano tutti i presupposti per poter ricondurre i proventi derivanti dall’attività di prostituzione esercitata dall’odierna parte ricorrente alla categoria di cui all’art. 6 del T.U.I.R., ovvero nella categoria dei “redditi di lavoro autonomo”, sussistendone tutti i requisiti specifici, quali la prevalenza del lavoro personale della prestatrice d’opera, l’assenza del vincolo di subordinazione, la libera pattuizione del compenso, l’assunzione degli oneri relativi alla esecuzione della prestazione e del rischio inerente all’esecuzione stessa, e alla conseguente debenza non solamente del’IRPEF, bensì anche della relativa IVA e IRAP.

Tuttavia, il Collegio osserva che dal punto di vista tributario non esiste alcuna norma che direttamente o indirettamente disciplini la prostituzione, trattandosi di una attività “di confine”, ondeggiante tra legalità e contrarietà al buon costume, con confusione sotto il profilo penale, civile e, appunto, anche tributario, con conseguente concreta difficoltà per coloro che vorrebbero mettersi in regola, dichiarando al fisco i proventi derivanti dall’attività esercitata. Ad avviso di questo Collegio in questo ambito sussiste quell’effettiva e obiettiva incertezza normativa che in base al combinato disposto degli artt. 8 del D.Lgs. n. 546 del 1992, 6 del D.Lgs. n. 472 del 1997 e 10 della L. n. 212 del 2000 (Statuto del Contribuente) consente la disapplicazione delle sanzioni amministrative tributarie.

Ciò posto, sulla base delle esposte risultanze e considerazioni il ricorso va accolto parzialmente nei termini sopra specificati in relazione allea pretesa relativa alle sanzioni, mentre va respinto nel resto.

La complessità delle questioni dibattute e le ragioni che hanno portato al parziale accoglimento del ricorso giustificano la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Commissione Tributaria di Primo Grado di Bolzano, Sezione II,

in parziale accoglimento del ricorso

ANNULLA

l’atto impugnato limitatamente alle sanzioni irrogate;

RESPINGE

nel resto;

DICHIARA

interamente compensate tra le parti le spese di giudizio.

Così deciso in Bolzano, il 9 febbraio 2015.