Indagini finanziarie e prova analitica

in caso di contestazione basata su indagini finanziarie, la prova che deve fornire il contribuente deve documentare analiticamente che i movimenti contestati non nascondono fatti di evasione fiscale

Con la sentenza n. 426 del 14 gennaio 2015 (ud. 23 aprile 2014) la Corte di Cassazione ha confermato che i movimenti bancari da parte del contribuente devono essere provati attraverso elementi analitici.

 

La questione

La CTR (in relazione alle contestazioni dell’Ufficio concernenti l’omessa contabilizzazione di versamenti non giustificati dai controlli bancari e l’omessa dichiarazione di ricavi non giustificati a seguito dei controlli bancari eseguiti) ha affermato genericamente che le movimentazioni bancarie riscontrate sui conti degli amministratori della società e non giustificate dalla stessa società e dai suoi amministratori, non sono imputabili alla contribuente, sia perchè i soggetti interessati a tale verifica erano amministratori di altre società, sia perché trattavasi di “movimentazioni bancarie private, riconducibili alla libera e legittima disponibilità dell’intestatario del conto“.

La sentenza

In tema di controlli tributari, afferma la Corte, “l’Ufficio finanziario, nella fase delle indagini dirette all’accertamento dell’evasione di imposta da parte di una società di capitali, è legittimato a richiedere agli istituti bancari, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 7) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 7), l’accesso ai conti e depositi bancari formalmente intestati ai soci anche non amministratori e – in caso di ristretta compagine sociale – anche ai conti/depositi intestati ai loro familiari, qualora sussistano fondati sospetti che la società verificata abbia partecipato ad operazioni imponibili soggettivamente inesistenti volte a evadere l’imposta sul valore aggiunto o le imposte dirette. Costituiscono fondati sospetti proprio l’avere intrattenuto – come nella specie – ripetuti rapporti commerciali con società sfornite di personale adeguato, di beni aziendali ovvero comunque prive di adeguata struttura organizzativa di impresa – c.d. società fantasma – in relazione alle operazioni commerciali in concreto svolte (Cass. 12625/12)”.

Una volta acquisiti tali dati, è evidente, continua la Corte, che al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente, secondo cui le movimentazioni di denaro, nella specie bancarie, risultanti dai dati acquisiti dall’Ufficio si presumono conseguenza di operazioni imponibili, “non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sui conti correnti, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività, con conseguente non rilevanza fiscale (cfr. Cass. 7766/08; 18081/10; 21303/13)”.

Brevi riflessioni

Al di là di alcune sentenze di merito che continuano ad essere dissenzienti rispetto al pensiero costante della Corte di Cassazione, occorre prendere atto, anche al fine di evitare un contenzioso lungo e dispendioso, che la Suprema Corte resta ferma sulle sue posizioni, peraltro ancorate al preciso dettato normativo: le presunzioni fondate sulle movimentazioni bancarie legittimano l’ufficio a ritenere ricavi sia i versamenti che i prelevamenti, se il contribuente non riesce a dimostrare che ne ha tenuto conto ovvero che siano estranea alla sua attività.

E detta prova deve essere analitica. Infatti, sempre la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14052 del 27 giugno 2011 (ud. del 17 maggio 2011), ha confermato che resta in capo al contribuente l’onere di dimostrare analiticamente l’irrilevanza reddituale dei movimenti bancari ovvero che gli stessi hanno avuto considerazione nella determinazione della base imponibile: “si tratta di una presunzione legale di carattere relativo, in quanto è ammessa la prova liberatoria da parte del contribuente. Al quale resta garantito il diritto di difesa, potendo egli far valere le sue ragioni in sede contenziosa, depositando, anche a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, documenti e memorie fino alla data di trattazione del ricorso in primo grado. Consegue che, se il contribuente non dimostra che dei movimenti bancari acquisiti dall’ufficio egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che si tratta di movimentazioni che non si riferiscono a operazioni imponibili, è consentito all’amministrazione riferire i movimenti bancari all’attività svolta in regime d’Iva (Cass. n. 18421/2005; n. 26293/2005; n. 8422/2002; n.3929/2002; n. 8457/2001; n. 2435/2001; n. 9946/2000)”.

E con la sentenza n. 625 del 18 gennaio 2012 (ud. 20 settembre 2011) la Corte di Cassazione ha riconfermato la “legittima l’utilizzazione da parte dell’amministrazione finanziaria … dei dati relativi ai movimenti bancari del contribuente, che costituiscono valida prova presuntiva, restando a carico del contribuente l’onere della prova contraria (v. tra le altre cass. n. 7329 del 2003 e n. 15447 del 2001)”. La Corte, inoltre, rileva “che la prova contraria fornita dal contribuente deve essere specifica (v. cass. n. 14675 del 2006), non potendo contrapporsi alla presunzione legale in materia una affermazione generica (v. cass. n. 25365 del 2007), ed essendo in particolare da evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità espressasi con specifico riguardo ad accertamento in materia di IVA, qualora l’amministrazione proceda utilizzando, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, i dati risultanti dai movimenti dei conti correnti bancari, la prova che il contribuente è tenuto a dare della non riferibilità ad operazioni imponibili deve essere specifica e riguardare analiticamente i singoli movimenti bancari, così da dimostrare che ciascuna delle operazioni effettuate è estranea a fatti imponibili (v. cass. n. 1739 del 2007)”.

Principi, di fatto, riconfermati ancora una volta con la sentenza n. 4688 del 23 marzo 2012 (ud 14 marzo 2012) della Corte di Cassazione.

E con la sentenza n. 25984 del 20 novembre 2013 (ud. 26 aprile 2013) la Corte di Cassazione ha ribadito che sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi conseguiti dal contribuente nella propria attività d’impresa, se questo non dimostra di averne tenuto conto nella determinazione della base imponibile oppure che sono estranei alla produzione del reddito. Pertanto, il contribuente può fornire prova contraria, che deve essere valutata dal giudice in rapporto agli elementi risultanti dai conti correnti, per verificare, attraverso i riscontri possibili (date, importi, tipo di attività, soggetti coinvolti), se ed eventualmente a quali operazioni la documentazione fornita dal contribuente si riferisca, così da escludere dal calcolo dell’imponibile soltanto quanto risultante dai singoli movimenti bancari (Cass. n. 16650 del 2011; n. 9103 del 2001)”.

E ancora da ultimo, con l’ordinanza n. 9731 del 6 maggio 2014 (ud. 2 aprile 2014) la Corte di Cassazione ha confermato che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, come nella specie, mentre si determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (V. pure Cass. Sentenze n. 18081 del 04/08/2010, n. 4589 del 26/02/2009)”.

La sentenza in rassegna, inoltre, si inserisce in quel filone giurisprudenziale volto a rendere legittimo l’estensione ai terzi.

Evidenziamo, da ultimo, che con l’ordinanza n. 375 del 13 gennaio 2015 (ud. 21 novembre 2014) la Corte di Cassazione, in tema di indagini finanziarie, ha imputato alla società quanto emerge dai conti dei soci. Se, infatti, per costante giurisprudenza di questa Corte, l’utilizzazione dei dati risultanti dalle copie dei conti correnti bancari acquisiti dagli istituti di credito non può ritenersi limitata, in caso di società di capitali, ai conti formalmente intestati all’ente, ma riguarda anche quelli formalmente intestati ai soci, amministratori o procuratori generali, allorchè risulti provata dall’Amministrazione finanziaria, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati – cfr. da ultimo, Cass. n. 16575 del 02/07/2013 – appare legittima la censura dell’Ufficio che aveva richiamato in atto di appello – come ha dato conto in ricorso ai fini dell’autosufficienza – la ristretta base azionaria, i rapporti familiari tra i soci e la mancata giustificazione della presenza di ingenti movimentazioni, come anche il fatto che i soci non avevano denunciato altri redditi oltre a quelli di partecipazione”.

Resta fermo che, la possibilità di acquisire ed utilizzare dati ed elementi risultanti dai conti, formalmente intestati a soggetto diverso giuridicamente rispetto a quello oggetto di accertamento, o verifica, è strettamente correlata alla circostanza che il terzo sia legato allo stesso da particolari rapporti (cointeressenza, rappresentanza organica, mandato, rapporti di parentela…) che giustifichino la presunzione di riferibilità dei relativi movimenti bancari ad operazioni imponibili relative al soggetto sottoposto ad accertamento, come peraltro già previsto dalla circolare n. 131/1994, parte 3 (cfr. la sentenza n. 21420/2012, dove la Corte di Cassazione ha autorizzato l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, acquisendo dati, notizie e documenti di carattere specifico relativi a tali conti, sulla base di elementi indiziari…” o quando comunque “l’ufficio abbia motivo di ritenere, in base agli elementi indiziari raccolti, che gli stessi siano stati utilizzati per occultare operazioni commerciali, ovvero per imbastire una vera e propria gestione extra-contabile, a scopo di evasione fiscale“; e la sentenza n. 5677/2014 con cui la Corte di Cassazione ha confermato e ribadito che costituisce ius receptum il principio, dettato dalle norme di riferimento, che autorizza “l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, acquisendo dati, notizie e documenti di carattere specifico, relativi a tali conti, sulla base di elementi indiziari tra i quali può assumere rilievo decisivo la mancata risposta del contribuente alla richiesta di chiarimenti rivoltagli dall’Ufficio in ordine ai medesimi conti, e senza che l’utilizzabilità dei dati dagli stessi risultanti trovi ostacolo nel divieto di doppia presunzione, attenendo quest’ultimo alla correlazione tra una presunzione semplice ed un’altra presunzione semplice, e non già al rapporto con una presunzione legale, quale è quella che ricorre nella fattispecie in esame (Cass. n.27032/2007, n. 18421/2005, n. 6232/2003, n. 8683/2002)”).

19 maggio 2015

Roberta De Marchi