Credito d’imposta per investimenti in beni strumentali nuovi (p. V): revoca e ricalcolo e contabilizzazione del credito

terminiamo l’approfondimento sull’agevolazione per l’acquisto di nuovi beni strumentali, analizzando i casi di revoca e ricalcolo del credito d’imposta e la guida alla corretta contabilizzazione del credito

Se non lo hai già fatto puoi leggere le parti precedenti dell’approfondimento:

  1. Analisi della norma
  2. Comulabilità con altre agevolazioni, applicazione e termine per la rettifica
  3. Beni agevolati e non, beni promiscui, requisito della novità, territorialità, modalità di effettuazione degli investimenti
  4. Casi particolari

La revoca dell’agevolazione

Nell’art. 18, comma 6, del D.L. n. 91 del 20141 è stabilito che il credito d’imposta per i nuovi investimenti in beni strumentali compresi nella divisione 28 della tabella ATECO è revocato se:

  • l’imprenditore cede i beni oggetto degli investimenti a terzi o li destina a finalità estranee all’esercizio dell’impresa prima del secondo periodo d’imposta successivo all’acquisto. Quindi se l’investimento è effettuato, ad esempio, nel periodo dal 25 giugno al 31 dicembre 2014, la revoca interviene se il bene viene ceduto entro il 31 dicembre 2015. Nella circolare n. 5/E del 2015 è stato evidenziato che tale vincolo “ha la ratio di contrastare lo smobilizzo dei beni oggetto dell’investimento agevolato in tempi ravvicinati rispetto al momento di effettuazione dell’investimento stesso, in quanto considerato sintomatico di un comportamento elusivo volto alla immissione temporanea dei cespiti nel patrimonio aziendale al solo fine di ottenere il beneficio fiscale”;
  • i detti beni sono trasferiti, entro il termine di decadenza dell’azione accertatrice, in strutture produttive situate fuori del territorio dello Stato, anche appartenenti al soggetto beneficiario dell’agevolazione. Tale disposizione è diretta a garantire, come sottolineato dall’Agenzia delle entrate, il mantenimento del bene oggetto di investimento in strutture produttive situate nel territorio dello Stato. L’Assonime ha rilevato, nella circolare n. 9 del 2015, che, pertanto, l’impresa che ceda il bene oltre la fine del periodo di imposta successivo a quello in cui è stato effettuato l’acquisto non incorrerà nella revoca di cui all’ipotesi precedente ma potrebbe comunque vedersi revocato il beneficio in base a quella in discorso, qualora il cessionario destini il bene a strutture produttive ubicate fuori dal territorio italiano.

Nel successivo comma 7 è poi previsto che, se si verificano le menzionate ipotesi, il credito d’imposta indebitamente utilizzato deve essere versato entro il termine per il pagamento a saldo dell’imposta sui redditi dovuta per il periodo d’imposta in cui le stesse si realizzano.

Qualora in sede di controllo venga, invece, accertata l’indebita fruizione, anche parziale, del credito d’imposta per il mancato rispetto delle condizioni richieste dalla norma o a causa dell’inammissibilità dei costi sulla base dei quali è stato determinato l’importo fruito, nel comma 8 è stabilito che l’Agenzia delle entrate provvede al recupero del relativo importo, maggiorato di interessi e sanzioni.

Le ipotesi in cui si verifica la revoca del beneficio sono analoghe a quelle previste dalla “Tremonti-ter”2, con la sola differenza che la revoca stessa opera anche in caso di cessione di beni a soggetti aventi stabile organizzazione in Paesi aderenti allo Spazio economico europeo. Restano, pertanto, in massima parte applicabili i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle entrate nella circolare n. 44/E del 20093.

Innovative sono, invece, le precisazioni normative concernenti le conseguenze della revoca ed il recupero del credito d’imposta indebitamente fruito.

Restano, al riguardo, aperte alcune questioni interpretative, non affrontate nella circolare n. 5/E del 2015, concernenti, in particolare, la cessione di beni non agevolati oggetto di interventi di manutenzione o riparazione che hanno comportato l’inserimento di ricambi o accessori ammessi all’agevolazione, la restituzione di beni di terzi precedentemente assunti in comodato o in locazione, la cessazione dell’affitto o usufrutto di azienda e le modalità di recupero del beneficio non spettante.

12.1. La cessione dei beni agevolati

La disposizione che stabilisce la revoca in caso di cessione a terzi o di destinazione dei beni a finalità estranee all’esercizio dell’impresa è finalizzata ad evitare che vengano agevolati investimenti di mera sostituzione e a disincentivare, quindi, il ricorso all’agevolazione in assenza di un effettivo rafforzamento dell’apparato produttivo.

Si tratta, come detto, di una previsione analoga a quella stabilita in occasione della “Tremonti-ter” e risultano, quindi, applicabili tutti i chiarimenti interpretativi a suo tempo formulati dall’Agenzia delle entrate nella detta circolare n. 44/E del 2009, nella quale era stato affermato che costituiscono causa di revoca dell’incentivo, oltre alle fattispecie espressamente previste dalla norma, anche quelle di:

  • dismissione. L’Assonime aveva osservato4 che appariva “poco convincente l’assimilazione della dismissione alle operazioni di cessione e di destinazione a finalità estranee cui la norma attribuisce effetti di revoca del beneficio”, in quanto la detta dismissione, accompagnata o meno dalla distruzione fisica del bene, non dovrebbe costituire ipotesi di disinvestimento, trattandosi della “manifestazione di una effettiva consumazione – sebbene più rapida del preventivato – delle utilità del bene nell’attività produttiva dell’impresa”;
  • conferimento;
  • donazione;
  • assegnazione ai soci;
  • destinazione al consumo personale o familiare dell’imprenditore;
  • risoluzione del contratto di acquisto con riserva della proprietà per inadempimento del compratore, disciplinata dall’art. 1526 c.c.

L’Assonime aveva, altresì, rilevato che non avrebbe dovuto costituire motivo di revoca la cessione di beni non agevolati, anche se essi fossero stati oggetto di interventi di manutenzione o riparazione ordinaria che avessero comportato l’inserimento di ricambi o accessori ammessi all’agevolazione. Per i beni destinati alla manutenzione la revoca dell’agevolazione dovrebbe, quindi, scattare “solo nel caso in cui l’impresa, modificandone l’originaria destinazione all’impiego per la manutenzione, ne faccia oggetto di vendita (o, comunque, li iscriva in bilancio tra le rimanenze dell’attivo circolante).

Viceversa, il loro impiego per la manutenzione o riparazione degli impianti ne determina un consumo irreversibile nei costi della produzione”.

Alle stesse conclusioni si dovrebbe pervenire nei casi di restituzione di beni di terzi precedentemente assunti in comodato o in locazione.

L’Agenzia delle entrate ha, inoltre, precisato che la revoca non opera in caso:

  • di furto del bene interessato dall’agevolazione, trattandosi di un accadimento che non dipende dalla volontà del beneficiario dell’agevolazione stessa5;
  • di operazioni di sale and lease back6. Si ricorda che a tali operazioni sono state equiparate altre simili come il “noleggio a lungo termine”7, trattandosi di schemi negoziali che assolvono, sostanzialmente, ad una funzione di finanziamento e che non sono, quindi, finalizzati a realizzare un mero disinvestimento dei beni;
  • di fuoriuscita dal regime “dei minimi” per il superamento del limite triennale di 15.000 euro stabilito per l’acquisto di beni strumentali.

La disposizione normativa stabilisce che le dismissioni devono avvenire “prima del” (e non “entro il”) secondo periodo di imposta successivo all’acquisto. Pertanto, in caso di imprese con periodo di imposta coincidente con l’anno solare, per i beni acquistati dal 25 giugno al 31 dicembre 2014 la revoca dell’agevolazione interviene se gli stessi sono ceduti entro il 31 dicembre 2015, mentre non opera se la cessione avviene a partire dal 2016 (secondo periodo di imposta successivo a quello di acquisto). I beni acquistati dal 1° gennaio 2015 al 30 giugno dello stesso anno devono restare, invece, nel patrimonio delle imprese fino al 31 dicembre 2016.

Al riguardo Confindustria ha rilevato, nella circolare del 17 ottobre 20148, che un bene agevolato “acquistato, ad esempio, il 1° ottobre 2014 dovrà essere mantenuto dall’impresa fino al 31 dicembre 2015, per un totale, quindi, di 12 mesi; mentre, nello stesso esempio, se i periodi d’imposta fossero a cavallo dell’anno solare, con cadenza, per ipotesi, 1° aprile – 31 marzo, il cespite dovrebbe permanere in azienda fino al 31 marzo 2016 e, quindi, per un totale di 18 mesi”. Al riguardo ha, quindi, osservato che, “trattandosi di una disciplina di revoca, non ci sarebbero motivi per applicarla in modo diverso alle due situazioni ipotizzate; comunque, meglio sarebbe se il legislatore individuasse esplicitamente un “periodo di sorveglianza” identico per tutti i soggetti ed espresso in termini di mesi e non di periodi d’imposta fiscali”.

Anche l’Assonime, nella circolare n. 30 del 20029, aveva evidenziato che, per quanto concerne il periodo di applicazione della revoca, la norma fa riferimento ad un “periodo d’imposta” successivo. Aveva chiesto, di conseguenza, all’Agenzia delle entrate di confermare che non rilevavano gli anni solari bensì i periodi d’imposta e che, pertanto, i beni mobili avrebbero dovuto, in alcuni casi, permanere nell’azienda anche per un periodo superiore o inferiore a ventiquattro mesi. Nella circolare n. 44/E del 2009 l’Agenzia aveva, però, affermato che non può essere preso in considerazione l’anno solare per individuare il termine del periodo di sorveglianza.

12.2. Le operazioni straordinarie

Nella circolare n. 44/E del 2009 è stato affermato che in caso di operazioni straordinarie consistenti in cessioni o conferimenti d’azienda o di rami d’azienda, che includono il bene oggetto dell’investimento agevolato, non costituisce causa di revoca, in linea di principio, l’effettuazione dell’operazione straordinaria durante il periodo di sorveglianza dell’agevolazione. Ciò in quanto è comunque soddisfatta la finalità sottesa alla disposizione sulla revoca, che è quella di riconoscere il beneficio solo se il bene oggetto dell’investimento agevolato rimane nell’ambito della struttura produttiva dell’impresa.

L’Agenzia ha, però, precisato, in modo innovativo rispetto al passato, che, allo scopo di evitare possibili abusi connessi con eventuali atti di disposizione del bene posti in essere dal cessionario/conferitario successivamente all’effettuazione dell’operazione stessa ma comunque entro il limite temporale del “periodo di sorveglianza”, al fine di rendere inoperante la revoca, “è necessario che dagli atti relativi alla cessione o al conferimento risulti:

  • da un lato, la dichiarazione espressa del cedente/conferente che l’azienda o ramo d’azienda include investimenti oggetto dell’agevolazione, di cui andranno indicati tipologia, momento di effettuazione, valore ed ogni altra notizia utile;

  • dall’altro, l’impegno del cessionario/conferitario a mantenere il bene nell’ambito del compendio aziendale fino alla scadenza del periodo di sorveglianza dell’agevolazione.

In caso di mancato assolvimento degli oneri sopra indicati, interverrà la revoca dell’agevolazione, con produzione dei relativi effetti in capo al soggetto che, a seconda delle circostanze, si è reso inadempiente, manifestando in tal modo la volontà di non rispettare la “ratio” che ispira la disciplina agevolativa.

In particolare, qualora l’inadempimento sia riconducibile al cessionario/conferitario, ai fini della produzione degli effetti della revoca in capo a quest’ultimo si ritiene irrilevante la circostanza che il beneficio sia stato usufruito da altro soggetto (nello specifico il cedente/conferente); ciò in quanto, con l’assunzione del predetto impegno, il cessionario/conferitario è consapevole che la revoca dell’agevolazione dipende da un proprio comportamento e, pertanto, in caso d’inadempimento gli effetti della revoca non possono che ricadere in capo al medesimo, essendo il bene fuoriuscito dalla sfera di disponibilità del cedente/conferente.

Diversamente, qualora in sede di operazione straordinaria il cessionario/conferitario non assuma l’impegno di cui sopra, la revoca dell’agevolazione interviene immediatamente e gli effetti si producono in capo al cedente/conferente che ha usufruito del beneficio.

Non comporta, altresì, automaticamente la revoca dell’agevolazione il trasferimento dell’azienda per donazione, insieme alla successione per causa di morte. La disciplina della revoca continua ad operare nei confronti dei donatari e degli eredi dell’azienda qualora, successivamente alla donazione e alla successione, si verifichino i presupposti per la revoca dell’agevolazione previsti dal comma 3 in esame (cfr. risoluzione n. 129/E del 6 giugno 2003)”.

Nella stessa circolare è stato ulteriormente precisato che non costituisce causa di revoca dell’agevolazione il trasferimento del bene oggetto di investimento nell’ambito delle operazioni di fusione, scissione e trasformazione che interessano il soggetto che ha effettuato l’investimento, purché ciò non comporti l’uscita del bene dal regime d’impresa10.

L’Agenzia ha, in particolare, precisato che anche in tali operazioni il soggetto cui sono trasferiti i beni agevolati

“subentra nell’obbligo di conservare i medesimi beni per tutto il periodo di operatività del regime di revoca dell’agevolazione per non incorrere nei relativi effetti”.

12.3. L’affitto di azienda

L’Assonime ha giustamente affermato, nella circolare n. 7 del 2010, che la restituzione dell’azienda al termine del contratto di affitto (o di usufrutto) della stessa non dovrebbe essere mai causa di revoca dell’agevolazione, neppure per i beni nuovi che l’affittuario abbia eventualmente acquistato in sostituzione di quelli vecchi o, comunque, per le esigenze della gestione dell’impresa, perché si tratta di un trasferimento che avviene in regime di completa neutralità e continuità delle posizioni fiscali delle parti interessate.

Se l’acquisto agevolato è realizzato dall’imprenditore/affittante, l’affittuario subentra nella posizione del primo circa gli obblighi di mantenimento dei beni agevolati nel periodo di sorveglianza e incorre, di conseguenza, nella revoca dei benefici – ancorché goduti dall’affittante – ove non ottemperi a tale obbligo. Identici effetti dovrebbe produrre la restituzione dell’azienda al termine dell’affitto, relativamente agli investimenti agevolati eventualmente eseguiti dall’affittuario: in tal caso gli obblighi dovranno essere osservati dall’imprenditore/affittante.

Trattandosi di un regime di continuità di posizioni fiscali proprio del sistema tributario, non dovrebbe rendersi necessario, sempre a parere della detta Associazione, l’assunzione degli impegni formali che l’Agenzia delle entrate richiede nelle ipotesi di cessione e conferimento d’azienda. Il menzionato principio di continuità dei valori nel passaggio dei beni costituenti il patrimonio aziendale in conseguenza dell’affitto di azienda è stato, peraltro, affermato nella risoluzione n. 424/E del 5 novembre 2008.

Tale impostazione interpretativa è stata condivisa anche da Confindustria.

12.4. La cessione del contratto di leasing

In merito alla cessione del contratto di leasing l’Assonime aveva ricordato11 che l’Amministrazione finanziaria, in occasione della originaria agevolazione Tremonti, aveva equiparato tale fattispecie alle operazioni di disinvestimento, mentre né la circolare n. 90/E del 2001 né la successiva circolare n. 4/E del 200212 avevano fornito espresse indicazioni in merito.

Al riguardo l’Assonime, considerando giustamente ancora valida la precedente indicazione, aveva ritenuto che in tal caso il valore normale del bene oggetto del contratto dovesse essere assunto in base alle regole dettate da quello che è l’attuale art. 88, comma 5, del TUIR, così come interpretato dall’Amministrazione finanziaria nella circolare n. 108/E del 3 maggio 199613, cioè al netto dei canoni relativi alla residua durata del contratto e del prezzo stabilito per il riscatto.

L’Agenzia aveva, al riguardo, affermato, nella circolare n. 50/E del 200214, sia pure con riguardo ai contratti di lease-back, che la revoca dell’agevolazione si verifica sia in caso di mancato esercizio del diritto di opzione che di cessione del contratto di leasing, analogamente a quanto precisato nella circolare n. 41/E dello stesso anno15 con riguardo all’ipotesi di risoluzione del contratto di acquisto con riserva della proprietà di cui all’art. 1526 c.c.

Nella circolare n. 44/E del 2009 sono state confermate tali conclusioni ed è stato precisato che non comporta, invece, revoca dell’incentivo la cessione del bene oggetto di investimento alla società di leasing nel contesto di un’operazione di lease back, in quanto in tal caso la cessione del bene non pregiudica in nessun modo la permanenza dell’investimento presso l’impresa utilizzatrice.

L’Assonime ha affermato16 che il limite temporale entro il quale opera la revoca dovrebbe valere non solo per l’ipotesi di cessione del contratto ma anche per il caso di mancato esercizio del diritto al riscatto, nel senso, cioè, che anche in questo caso la revoca scatta solo in presenza di un contratto di leasing il cui termine per l’esercizio del diritto di riscatto cada nel periodo di sorveglianza ed esso non sia esercitato dall’impresa utilizzatrice.

12.5. Il trasferimento dei beni fuori dello Stato

Con riguardo alla “Tremonti-ter” era stata stabilita la revoca dell’incentivo se i beni oggetto degli investimenti fossero stati ceduti a soggetti aventi stabile organizzazione in Paesi non aderenti allo Spazio economico europeo.

L’Agenzia delle entrate aveva chiarito, nella citata circolare n. 44/E, che tale ipotesi di revoca rispondeva a una ratio diversa da quella che è stata in precedenza esaminata, in quanto diretta a subordinare la conservazione dell’agevolazione al mantenimento del bene oggetto di investimento in strutture produttive situate nel territorio interessato.

Pertanto la stessa non andava intesa come riferita alla astratta disponibilità di una stabile organizzazione nei suddetti Paesi, “quanto piuttosto alla circostanza concreta che il cessionario utilizzi il bene agevolato in strutture produttive (principale o secondaria) ubicate nell’ambito della Spazio economico europeo, a prescindere dal luogo in cui è collocata la propria residenza fiscale.

La suddetta circostanza (utilizzazione del bene all’interno dello Spazio economico europeo) deve risultare da apposita dichiarazione che il cedente è tenuto a farsi rilasciare dal cessionario, pena la decadenza dell’agevolazione con produzione dei relativi effetti in capo al primo”.

Tale chiarimento si ritiene ancora applicabile, salvo il superamento del richiamo ai Paesi aderenti allo Spazio economico europeo, atteso che la norma in esame stabilisce la revoca in caso di trasferimento dei beni agevolati in strutture produttive situate “al di fuori dello Stato”.

L’Assonime aveva rilevato17 che la circolare dell’Agenzia non aveva fornito ulteriori precisazioni circa l’eventualità che il soggetto acquirente non mantenesse l’impegno assunto di utilizzare i beni all’interno dell’ambito territoriale previsto. In tal caso la conseguenza sarebbe dovuta consistere nel recupero in capo ad esso del beneficio precedentemente fruito dal soggetto cedente, analogamente a quanto avviene per le cessioni in neutralità. Potrebbe, però, accadere che il cessionario sia un soggetto non residente senza stabile organizzazione nel nostro Paese, al quale, pertanto, non sarebbe possibile imporre obblighi di questo tipo.

La disposizione in esame precisa adesso in modo più chiaro che la revoca opera anche in caso di trasferimento dei beni in strutture produttive situate al di fuori dello Stato non appartenenti al soggetto beneficiario dell’agevolazione ma ad altri soggetti.

L’Assonime ha osservato, nella circolare n. 9 del 2015, che molto probabilmente questa causa di revoca trova giustificazione nella finalità di incentivare l’implementazione delle attività produttive nel territorio nazionale e l’incremento dei livelli occupazionali.

L’Agenzia aveva in passato ritenuto che costituisse causa di revoca dell’agevolazione anche il trasferimento del bene, ad opera del beneficiario dell’agevolazione, presso proprie strutture produttive situate al di fuori dell’ambito territoriale previsto. Allo stesso modo, la causa di revoca in esame operava anche nell’ipotesi di operazioni straordinarie che avessero comportato il trasferimento del bene in una struttura produttiva situata al di fuori del detto ambito.

Tale interpretazione è stata confermata nella circolare n. 5/E del 2015, nella quale è stato precisato che la revoca opera con riguardo sia “ai casi di trasferimento del bene ad opera del beneficiario dell’agevolazione presso proprie strutture produttive situate al di fuori del territorio dello Stato sia ai casi di “trasferimento” del bene in strutture produttive, ubicate al di fuori del territorio dello Stato, appartenenti ad altri soggetti”. L’Agenzia ha, altresì, ritenuto che la causa di revoca trovi applicazione anche qualora il trasferimento del bene al di fuori del territorio dello Stato sia realizzato

“a seguito di successive operazioni effettuate dai soggetti cui il bene è stato inizialmente trasferito o dai loro aventi causa”.

L’Assonime aveva osservato, nella circolare n. 7 del 2010, che tale ultima interpretazione non traspariva “in modo chiaro dalla norma” e avrebbe potuto

“penalizzare le imprese che acquisiscono tecnologia italiana (da fornitori residenti in Italia) e la trasferiscono negli insediamenti produttivi all’estero, che costituiscono stabili organizzazioni: il caso è frequente nelle imprese di costruzione, montaggio etc. che collocano nei cantieri all’estero beni strumentali acquisiti nel mercato nazionale”.

Rilevano, secondo Confindustria, “tutti gli atti con cui può essere realizzato il trasferimento a terzi della proprietà giuridica dei beni agevolati (cessioni a titolo oneroso, fusioni, scissioni ecc…), e a seguito dei quali potrebbe (contestualmente o successivamente) verificarsi anche la dislocazione all’estero dei beni agevolati da parte del nuovo soggetto proprietario”.

L’Agenzia delle entrate non si è ancora pronunciata in merito all’osservazione della detta Confederazione – che appare condivisibile – in base alla quale la regola in esame

“non comporta per l’impresa l’obbligo di utilizzare il bene agevolato solo in Italia, ma, più precisamente, quello di mantenere, per tutta la durata del “periodo di sorveglianza”

il suo collegamento economico-contabile con una fonte (struttura) produttiva di reddito situata in Italia; ben potendo, pertanto, il bene agevolato così “destinato” essere dislocato temporaneamente, in funzione strumentale per la produzione del reddito della struttura di appartenenza, anche fuori dallo Stato.

L’ipotesi colpita dalla norma, pertanto, è quella in cui tale collegamento economico-contabile con la struttura italiana venga meno, per essere il bene trasferito in modo permanente in senso economico-contabile e organizzativo a una struttura produttiva (stabile) situata fuori dal territorio nazionale.

Avendo perciò riguardo all’impresa italiana che svolge attività anche all’estero mediante stabili organizzazioni ivi ubicate, la clausola di revoca scatterebbe al verificarsi di tale “trasferimento interno” che comporti l’inserimento del bene nel compendio aziendale della stabile organizzazione estera, sia se già esistente e sia se di nuova costituzione”.

Anche l’Assonime ha chiesto, nella circolare n. 9 del 2015, la conferma ufficiale della validità delle indicazioni fornite dall’Agenzia delle entrate nella circolare n. 90/E del 2001 – avente ad oggetto la Tremonti-bis, la quale circoscriveva la territorialità allo Stato nazionale – per individuare i criteri di collegamento dei beni al territorio. In tale circolare era stato affermato che “i beni oggetto dell’investimento devono appartenere, in senso sia contabile che economico, a strutture aziendali situate nel territorio nazionale, indipendentemente dalla circostanza che gli stessi siano utilizzati in Italia o all’estero” e che questa relazione di appartenenza “deve trovare riscontro in elementi oggettivi, non essendo di per sé sufficiente, ai fini dell’agevolazione, la mera iscrizione contabile del bene nel bilancio della società residente o della stabile organizzazione del soggetto non residente”.

La stessa Associazione ha osservato, nella detta circolare, che:

  • è necessario adottare “opportune cautele in sede di cessione a terzi dei beni oggetto dell’investimento agevolato”;
  • il riferimento al territorio nazionale desta perplessità alla luce del principio della libertà di stabilimento e per tale ragione la detta Associazione ha auspicato l’adozione di un principio di territorialità che ponga attenzione anche allo spazio economico europeo.

L’Agenzia aveva precisato, con riguardo alla precedente agevolazione, che la revoca operava in caso di uscita del bene dall’ambito territoriale “entro il termine di cui all’articolo 43, comma 1, del DPR n. 600 del 1973, ossia entro il quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui è stato effettuato l’investimento agevolato”. La norma sembrava, infatti, applicabile senza limiti di tempo e l’Agenzia aveva posto, invece, un termine al “periodo di sorveglianza”.

Nell’art. 18, comma 6, lettera b), è adesso stata espressamente inserita la previsione del detto termine, confermando la considerazione di maggiore disvalore della dislocazione all’estero dell’investimento rispetto al semplice realizzo. Nella circolare n. 5/E del 2015 è stato, pertanto, affermato che, ad esempio, “per un soggetto con periodo di imposta coincidente con l’anno solare che effettua investimenti in beni strumentali il 25 giugno 2015, e conseguentemente indica l’importo del relativo credito di imposta nella dichiarazione dei redditi presentata nel 2016, la causa di revoca in esame opera se il trasferimento al di fuori del territorio dello Stato avviene entro il 31 dicembre 2020”.

12.6. Le modalità di “recupero” del credito d’imposta

In caso di cessione dei beni agevolati prima del secondo periodo d’imposta successivo all’acquisto la norma stabilisce, come già evidenziato, che il credito d’imposta indebitamente utilizzato è versato entro il termine per il pagamento a saldo dell’imposta sui redditi dovuta per il periodo d’imposta in cui si verifica tale ipotesi di revoca.

Al riguardo va, però, tenuto presente che il credito d’imposta in esame va ripartito in tre quote annuali di pari importo e che la prima quota annuale è utilizzabile a decorrere dal 1° gennaio del secondo periodo d’imposta successivo a quello in cui è stato effettuato l’investimento18. Pertanto, la compensazione del credito d’imposta relativo al periodo 25 giugno – 31 dicembre 2014 potrà avvenire nel corso del triennio 2016 – 201819, mentre quella relativa al credito del periodo 1° gennaio – 30 giugno 2015 sarà possibile nel corso del triennio 2017 – 201920.

Di conseguenza, se il bene acquisito nel 2014 è ceduto nel 2015, il presupposto per la revoca si verifica con riguardo ad un credito d’imposta che non si è ancora potuto utilizzare.

Confindustria ha osservato che, “considerando che in definitiva la clausola di revoca opera alla stregua di una condizione risolutiva e, al contempo, il differimento dell’utilizzabilità del credito opera alla stregua di una condizione sospensiva della sua “erogazione”, non dovrebbe accadere, a stretto rigore, che l’impresa sia tenuta a restituire il credito: proprio perché nel momento a partire dal quale lo stesso diverrebbe utilizzabile in compensazione, sarebbe già decaduta dal diritto all’agevolazione.

Per la verità, una tale situazione poteva proporsi anche nella precedente disciplina, dato che pur operando essa in via immediata sotto forma di deduzione dal reddito d’impresa poteva ben accadere che all’epoca della presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta agevolato l’impresa avesse già proceduto alla cessione a terzi del bene agevolabile.

Tuttavia, nella precedente agevolazione la deduzione dal reddito del periodo d’imposta di effettuazione dell’investimento sarebbe comunque spettata all’impresa e quantomeno avrebbe determinato un (re-lativo) vantaggio finanziario consistente nel posticipo del pagamento dell’imposta corrispondente alla variazione stessa; così, avendo per semplicità a riferimento il periodo d’imposta ad anno solare, poteva essere il caso, ad esempio, di un soggetto che avesse effettuato l’investimento nel corso del secondo semestre 2009 e che, nel corso del 2010, al momento della presentazione della dichiarazione relativa al 2009, avesse già disinvestito. In questa situazione, la società avrebbe ben potuto fruire comunque della deduzione dalla base imponibile del 2009 (esposta nella relativa dichiarazione), per poi procedere, nella successiva dichiarazione riferita al 2010, alla revoca del beneficio attraverso il recupero a tassazione della variazione in diminuzione operata nel precedente periodo d’imposta.

Stante la trasformazione del beneficio da deduzione dall’imponibile in credito d’imposta, non è chiaro se tale procedura di temporanea esposizione in dichiarazione del beneficio e successiva revoca possa trovare applicazione anche nella nuova disciplina. Per effetto di tale previsione, pertanto, anche ammettendo che all’impresa possa essere riconosciuto il temporaneo consolidamento del diritto al credito, l’eventuale utilizzazione del credito (cioè della prima quota) a decorrere dal 1° gennaio 2015 verrebbe comunque sottoposto a recupero pressoché immediato”.

Al riguardo l’Agenzia delle entrate ha affermato, nella circolare n. 5/E del 2015, che:

  • “nell’ipotesi in cui i presupposti della revoca si verifichino prima dell’effettivo utilizzo in compensazione del credito di imposta, fermo restando il venir meno del diritto all’agevolazione, il contribuente non è tenuto a restituire alcunché”;

  • nei casi in cui, invece, si renda necessaria la restituzione dell’ammontare indebitamente compensato, sull’importo da riversare sono dovuti gli interessi calcolati al tasso legale, decorrenti dal giorno successivo a quello di scadenza del versamento dovuto. Qualora la restituzione avvenga dopo il termine stabilito, è possibile fruire della riduzione della sanzione prevista per i ritardati od omessi versamenti avvalendosi dell’istituto del ravvedimento di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472.

Il credito revocato deve essere stornato dallo stato patrimoniale con contropartita nella voce E.21 del conto economico, trattandosi di un credito non spettante rilevato in esercizi precedenti.

In occasione della “Tremonti-ter” l’Agenzia delle entrate aveva precisato, nella circolare n. 44/E del 2009, che per effetto della revoca il reddito imponibile avrebbe dovuto essere aumentato

“avuto riguardo al corrispettivo dei beni ceduti o al valore normale di quelli dismessi, destinati al consumo personale o familiare dell’imprenditore, assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa. La variazione in aumento sarà determinata in misura pari al corrispettivo o al valore normale dei beni fino a concorrenza della variazione in diminuzione effettuata nel periodo in cui è stato realizzato l’investimento”.

In pratica, il recupero a tassazione sarebbe dovuto avvenire con riguardo al beneficio effettivamente fruito dal contribuente.

Si ritiene che questo principio non sia applicabile all’agevolazione in esame, atteso il disposto del comma 7 dell’art. 18 in esame ed il “passaggio” dal meccanismo della deduzione dal reddito a quello del credito d’imposta.

13. La rettifica del credito d’imposta

Nell’art. 18, comma 8, del D.L. n. 91 del 2014 è stabilito che qualora, a seguito dei controlli, si accerti l’indebita fruizione, anche parziale, del credito d’imposta per il mancato rispetto delle condizioni richieste dalla norma o a causa dell’inammissibilità dei costi sulla base dei quali è stato determinato l’importo fruito, l’Agenzia delle entrate provvede al recupero del relativo importo,

“maggiorato di interessi e sanzioni secondo legge”.

L’applicazione di tali sanzioni ed interessi si verifica, ad esempio, qualora:

  • l’impresa, a seguito della revoca del beneficio conseguente al mancato rispetto del requisito della “territorialità” dell’investimento, versi l’importo del credito fruito successivamente al termine di versamento del saldo dell’imposta sui redditi relativa all’anno in cui è avvenuto il trasferimento del bene;
  • il credito d’imposta sia stato calcolato con riguardo all’acquisizione di beni diversi da quelli compresi nella divisione 28 della tabella Ateco o di beni che, pur rientrando in tale ambito, non sono inerenti all’esercizio dell’attività d’impresa;
  • il credito d’imposta sia stato fruito in misura superiore a quella effettivamente spettante applicando il meccanismo di calcolo previsto dalla norma, che fa riferimento anche alla eccedenza rispetto alla media degli investimenti realizzati nei cinque periodi d’imposta precedenti, con facoltà di escludere quello in cui l’investimento è stato maggiore.

Poiché è possibile fruire del beneficio a partire dal secondo periodo d’imposta successivo a quello di effettuazione dell’investimento, l’attività di accertamento può avvenire entro il decimo anno successivo a quello di effettuazione dell’investimento.

Ad esempio, per gli investimenti effettuati nel periodo d’imposta 2014 – con utilizzo del credito in compensazione nel 2016 – il controllo da parte dell’ufficio deve avvenire entro il 31 dicembre 2024.

Al riguardo l’Agenzia delle entrate ha precisato, nella circolare n. 5/E del 2015, che,

“in considerazione della natura automatica e delle modalità di determinazione dell’incentivo, è necessario che le imprese beneficiarie conservino, oltre alla documentazione idonea a dimostrare, in sede di controllo, l’ammissibilità, l’effettività e l’inerenza delle spese sostenute, anche un prospetto con l’elencazione analitica degli investimenti fatti nei periodi d’imposta precedenti ed utilizzati per la base di calcolo della quota incrementale che determina l’ammontare del credito d’imposta”.

L’Assonime ha ritenuto che nei casi in esame si applichi, pur in assenza di indicazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria, “la sanzione prevista all’art. 27, comma 18, del D.L. n. 185 del 2008 per l’utilizzo di crediti inesistenti – che va dal cento al duecento per cento del loro ammontare – nonché la procedura disciplinata a tal fine dal comma 16 del medesimo articolo per il recupero dei crediti (inesistenti) indebitamente utilizzati”.

E’, di conseguenza, possibile notificare l’atto di recupero fino al 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo del credito non spettante.

Si ricorda, infine, che la Corte di cassazione ha affermato, nella sentenza dell’11 novembre 2014, n. 24027 – riguardante la detassazione “Tremonti-bis” -, che anche se l’agevolazione appare “formalmente spettante”, la stessa potrebbe essere il frutto dell’effettuazione di una serie di operazioni elusive finalizzate ad ottenere un indebito vantaggio fiscale21. Ciò in quanto

“la formale spettanza di un risparmio di imposta è un presupposto ineliminabile dell’abuso del diritto e non ne rappresenta … un limite”.

14. Le attività industriali a rischio di incidenti sul lavoro

Nel comma 2 dell’art. 5 del DL n. 78 del 2009 è precisato che i soggetti titolari di attività industriali a rischio di incidenti sul lavoro, individuate ai sensi del D. Lgs. 21 settembre 2005, n. 238, possono usufruire dell’agevolazione soltanto se documentano l’adempimento degli obblighi e delle prescrizioni di cui al detto decreto legislativo.

I soggetti tenuti al rispetto di tale condizione sono, innanzitutto, coloro che gestiscono o detengono uno stabilimento o un impianto in cui sono prodotte, utilizzate, manipolate o depositate sostanze pericolose in quanto infiammabili, esplosive, chimiche, cancerogene ecc. Tali soggetti sono tenuti a prevenire incidenti che potrebbero assumere proporzioni rilevanti e devono:

  • presentare al prefetto e alla regione una relazione in merito al processo produttivo adottato, alle sostanze pericolose utilizzate, alla valutazione dei rischi di incidenti da considerare rilevanti, alle misure di sicurezza predisposte e alle informazioni, all’equipaggiamento e all’addestramento forniti ai dipendenti;
  • realizzare un piano di emergenza “interno” e un “rapporto di sicurezza” e fornire alle autorità competenti le notizie necessarie per l’elaborazione del piano di sicurezza “esterno”;
  • redigere un documento che definisca la politica di prevenzione degli incidenti rilevanti e un programma di attuazione del sistema di gestione della sicurezza.

Altri adempimenti sono posti a carico dei soggetti che esercitano attività potenzialmente meno dannose, che devono, ad esempio, individuare i rischi di incidenti rilevanti, integrando il documento di valutazione, adottare idonee misure di sicurezza e formare ed equipaggiare il personale22.

15. La contabilizzazione del credito d’imposta

Confindustria ha chiarito, nella Linea operativa contabile n. 1 del febbraio 2015, le modalità di contabilizzazione del credito d’imposta in esame, affermando che lo stesso va assimilato ad un contributo in conto impianti, da iscrivere nella voce A.5 del conto economico. L’Agenzia delle entrate non ha, invece, affrontato gli aspetti contabili nella circolare n. 5/E del 2015, atteso che, per espressa previsione normativa, il detto credito non assume rilevanza ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP.

In base a tale impostazione contabile il credito in esame influenza, quindi, sia il ROL che il MOL, rilevanti ai fini, rispettivamente, della deducibilità degli interessi passivi da parte dei soggetti IRES e della disapplicazione della normativa delle società di comodo nei riguardi delle società in perdita sistematica.

Confindustria ha innanzitutto rilevato che il meccanismo di attribuzione del credito d’imposta differisce da quello della detassazione “Tremonti-ter”23, in relazione alla quale l’Agenzia delle entrate aveva affermato, nella circolare n. 44/E del 200924, che l’effetto si sostanziava

“in una riduzione d’imposta che … non assume autonomo rilievo per la determinazione del reddito”. In tal modo l’Agenzia aveva dato soluzione al dubbio che tale beneficio dovesse concorrere a formare il reddito in assenza di norme di esclusione, ritenendo che l’agevolazione assumesse la caratteristica di “riduzione d’imposta”,

come tale irrilevante ai fini reddituali25.

Il beneficio era stato, in pratica, considerato derivare direttamente

“da una regola (sia pur temporanea) “interna” alla disciplina di determinazione del reddito d’impresa o direttamente attinente alla liquidazione dell’imposta”.

E’ stato poi osservato che secondo la dottrina sono possibili, con riguardo al credito d’imposta di in esame, i seguenti metodi di contabilizzazione:

  • come contributo in conto impianti, da indicare nella voce A5 del conto economico, con contropartita la voce C.II.4-bis “crediti tributari”;
  • come credito tributario, da evidenziare nella voce 22 “Imposte sul reddito”, movimentata in avere con contropartita la voce C.II.4-bis.

In entrambi i casi va effettuatala separata indicazione degli importi esigibili oltre l’esercizio successivo.

La detta Confederazione ha ritenuto che il metodo della classificazione come credito tributario non sia adatto alla fattispecie in esame, preferendo l’assimilazione ai contributi in conto impianti, in quanto il credito d’imposta in esame presenta le caratteristiche indicate nella definizione contenuta nel par. 79 dell’OIC 16, ovvero

“somme erogate da un soggetto pubblico (Stato o enti pubblici) alla società per la realizzazione di iniziative dirette alla costruzione, riattivazione e ampliamento di immobilizzazioni materiali, commisurati al costo delle medesime.

Sono contributi per i quali la società beneficiaria può essere vincolata a mantenere in uso le immobilizzazioni materiali cui essi si riferiscono per un determinato tempo, stabilito dalle norme che li concedono”.

Si applica, di conseguenza, la regola di imputazione temporale dei contributi in conto impianti, in base alla quale gli stessi devono essere rilevati contabilmente nel momento in cui esiste una ragionevole certezza che saranno erogati26 e con un criterio sistematico lungo la vita utile dei cespiti27.

Nella Linea operativa contabile in discorso è stato, in particolare, ritenuto che, anche se il diritto al contributo si perfeziona con la presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di effettuazione dell’investimento, agli effetti della rilevazione in bilancio il contributo può essere contabilizzato “nello stesso esercizio in cui sono acquisiti i cespiti agevolati e a partire dal quale, peraltro, dovrebbe anche iniziare generalmente il processo di ammortamento in sede contabile; dato che al momento della redazione del relativo bilancio l’impresa è in grado di verificare con ragionevole certezza le condizioni sostanziali di spettanza del beneficio”.

I due metodi previsti dall’OIC 16 per l’imputazione dei contributi in conto impianti in conto economico, in base alla vita utile dei cespiti a cui si riferiscono, sono: a) il metodo “indiretto”, secondo il quale i contributi sono imputati al conto economico nella voce A5 “altri ricavi e proventi”28 e rinviati per competenza agli esercizi successivi con l’iscrizione di “risconti passivi”; b) il metodo “diretto”, in base al quale i contributi sono portati a riduzione del costo delle immobilizzazioni materiali con conseguenti minori ammortamenti nei successivi esercizi di competenza. Il costo dell’immobilizzazione viene, quindi, ridotto solo in quest’ultimo caso.

I due metodi producono gli stessi effetti sull’utile dell’esercizio e sul patrimonio netto ma Confindustria appare preferire il metodo “indiretto”, al fine di semplificare la gestione delle variazioni in aumento e in diminuzione da effettuare ai fini fiscali, in quanto il provento non rileva ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP.

L’Assonime ha condiviso tale chiarimento, rilevando che:

  • se l’importo del credito è appostato in bilancio riducendo il costo dei beni strumentali va attivato un doppio binario rispetto alle risultanze del bilancio, incrementando la quota di ammortamento in ragione di tale importo;
  • se il contributo è rilevato autonomamente, procedendo al risconto delle quote di competenza degli esercizi successivi, viene influenzato positivamente il ROL dell’esercizio, il 30 per cento del quale costituisce il limite per la deducibilità degli interessi passivi da parte dei soggetti IRES. L’Associazione ha, però, osservato che ragioni logiche ed equitative inducono a ritenere che “non possono essere ricondotte differenze sostanziali a metodi che intendono assolvere semplicemente ad aspetti rappresentativi della medesima fattispecie”.

Nella nota integrativa vanno illustrati, nell’ambito dei criteri di valutazione, anche quelli che non sono previsti dall’art. 2426 del c.c. ma richiamati nei principi contabili OIC29: tra questi ultimi rientra, pertanto, anche il criterio di valutazione dei contributi in conto capitale.

Nella Linea operativa sono indicate anche le scritture contabili da effettuare in caso di revoca del credito d’imposta e si afferma che la “sopravvenienza passiva/insussistenza” debba essere classificata negli oneri diversi di gestione, alla voce B.14.

Con lo storno dei risconti passivi il credito d’imposta non può più essere imputato al conto economico degli esercizi successivi quale rettifica “indiretta” della quota di ammortamento30.

La detta sopravvenienza passiva è indeducibile ai fini fiscali, in quanto il credito d’imposta non concorre a formare il reddito.

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28 maggio 2015

Gianfranco Ferranti

NOTE

1 Decreto legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito nella legge 11 agosto 2014, n. 116.

2 Art. 5 del D.L. 1° luglio 2009, n. 78, convertito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102.

3 Circolare 27 ottobre 2009, n. 44/E.

4 Nella circolare del 26 febbraio 2010, n. 7, paragrafo 8.

5 Così la risoluzione del 15 settembre 2003, n. 180/E.

6 Così già la circolare del 17 ottobre 2001, n. 90/E.,

7 Si veda la risoluzione del 23 aprile 2004, n. 65/E, che ha ribadito quanto già affermato nella circolare 20 giugno 2002, n. 55/E, punto 7.

8 Paragrafo 7.1.

9 Paragrafo 18.

10 Come accade, invece, in caso di trasformazioni eterogenee di società in enti non commerciali non titolari di reddito di impresa disciplinate dall’articolo 171 del TUIR.

11 Nella circolare del 5 aprile 2002, n. 30, paragrafo 17.

12 Circolare 18 gennaio 2002, n. 4/E.

13 Risposta n. 6.1.1.

14 Circolare 12 giugno 2002, n. 50/E, punto 15.2.

15 Circolare 13 maggio 2002, n. 41/E, punto 6.

16 Nella nota 26 della circolare n. 7 del 2010.

17 Nella nota 32 della circolare n. 7 del 2010.

18 Si veda, al riguardo, G. Ferranti, “Il meccanismo applicativo del credito d’imposta per i nuovi investimenti”, in Corr. Trib. n. 40/2014, pag. 3073.

19 A partire dal 16 gennaio 2016.

20 A partire dal 16 gennaio 2017.

21 Nel caso esaminato il beneficio, sebbene formalmente spettante, era il frutto dell’acquisto dell’intero capitale di una società in nome collettivo, che era stata trasformata in società in accomandita semplice, modificando la ragione sociale da “produzione, stiratura e rifinizione di capi di biancheria” in “attività di costruzione, acquisto, vendita, locazione e gestione di immobili”. Tale modifica è stata ritenuta elusiva “in quanto concepita al solo scopo di fruire delle agevolazioni”.

22 Si veda, al riguardo, M. Bellinazzo, “Incentivo a prova di sicurezza”, in Il Sole 24 Ore del 4 luglio 2009, pag. 25.

23 Art. 5 del D.L. 1° luglio 2009, n. 78, convertito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102.

24 Circolare 27 ottobre 2009, n. 44/E.

25 Ciò nonostante il diretto rapporto tra investimento e deduzione del relativo costo.

26 Così il principio contabile OIC 16, paragrafo 80.

27 Così il principio contabile OIC 16, paragrafo 81.

28 Principio contabile OIC 12, paragrafo 51.

29 Così il principio contabile OIC 12, paragrafo 139.

30 Si veda, al riguardo, F. Dezzani, “Credito d’imposta per investimenti in beni strumentali nuovi: iscrizione in bilancio”, in Il Fisco n. 11/2015, pag. 1007.