I rischi derivanti dalla contabilità in nero

Detenere documenti contabili irregolari e non registrati (appunti personali ed informazioni dell’imprenditore) comporta forti rischi per il contribuente soggetto a controllo, soprattutto quello di una ricostruzione induttiva del reddito prodotto.

Con l’Ordinanza n. 177 del 9 gennaio 2015 (ud. 21 novembre 2014) la Corte di Cassazione ha confermato che la contabilità in nero,

“costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dall’art. 2709 c.c. e ss., tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetali, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta”.

Da ciò, ne consegue per la Corte, che detta “contabilità in nero”, per il suo valore probatorio,

“legittima di per sè, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al citato art. 39, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli – Cass. n. 24051/2011“. In senso conforme Cass. n. 15318/2013.

 

Contabilità in nero e accertamento fiscale – Le nostre riflessioni

contabilità in nero e accertamenti fiscali induttiviLa sentenza che si annota, in pratica, pone in risalto, da una parte, il valore probatorio della contabilità nera, e dall’altra parte, il legittimo utilizzo, in queste ipotesi, dell’accertamento induttivo.

Sulle due questioni vanno registrate una serie di interventi giurisprudenziali di Cassazione, confermativi dell’orientamento espresso: in alcuni casi, la Corte si occupa solo del valore probatorio, in altri casi si occupa solo della legittimità dell’accertamento induttivo, in altri casi interviene contemporaneamente sulle due problematiche.

Proprio perché ormai la giurisprudenza della Suprema Corte ha assunto una posizione univoca, offriamo al Lettore una carrellata delle sentenze più significative.

  • Con la sentenza n. 2217/06 depositata in data 1 febbraio 2006 la Corte ha affermato che la documentazione “… legittimamente reperita presso la sede dell’impresa, quand’anche risolventesi in annotazioni personali, costituisce elemento probatorio, ancorché meramente presuntivo, utilmente valutabile in sede di accertamento IVA, indipendentemente dal contestuale riscontro di irregolarità nella tenuta della contabilità e di inadempimenti di obblighi di legge”.

  • Con la sentenza n. 6949 del 30.1.2006 (dep. il 27.3.2006), la Corte ha conferito piena valenza probatoria ad un brogliaccio (ma anche ad agende-calendario, block-notes, matrici di assegni, estratti di conti correnti bancari) per l’accertamento induttivo dell’imponibile ai fini Iva, sostenendo che il rinvenimento di una contabilità informale, tenuta su un brogliaccio, costituisce indizio grave, preciso e concordante dell’esistenza di imponibili non riportati sulla contabilità ufficiale ed autorizza l’Amministrazione finanziaria a procedere induttivamente.

  • Con la sentenza n. 27059 del 6.11.2006, dep. il 18.12.2006, la Suprema Corte ha affermato che il mero ritrovamento di una contabilità parallela a quella ufficialmente tenuta, legittima di per sé, a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso al cd. accertamento induttivo, ed è onere del contribuente dimostrare che le indicazioni dei registri irregolari non hanno alcun rapporto con l’attività di commercio (nel caso di specie di gioielleria) da lui esercitata.

  • Con la sentenza n. 3222 del 14 febbraio 2007, la Corte ha ritenuto che “il rinvenimento di una contabilità informale, tenuta su un brogliaccio, oltre che agende-calendario, block-notes, matrici di assegni, estratti di conti correnti bancari, costituisce un indizio grave, preciso e concordante dell’esistenza di imponibili non riportanti nella contabilità ufficiale, che legittima l’Amministrazione finanziaria a procedere ad accertamento induttivo”.

  • Con la sentenza n. 14218 del 9 maggio 2007, dep. il 19 giugno 2007, la Cassazione ha sostenuto che costituisce jus receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale il ritrovamento di scritture contabili informali tenute su documenti non ufficiali quali brogliacci, appunti, annotazioni ovvero il rinvenimento di matrici di assegni agende o block-notes, costituiscono indizi forniti dei requisiti di gravità, precisione e concordanza tali da legittimare l’Amministrazione finanziaria a procedere alla determinazione del maggior reddito imponibile con accertamento induttivo.

  • Con la sentenza n. 1400 dell’8.11.2007 (dep. il 23.1.2008) la Corte ha affermato che “ladocumentazione extracontabile reperita presso la sede dell’impresa, ancorchéconsistente in annotazioni personali dell’imprenditore, costituisce elementoprobatorio, sia pure meramente presuntivo, utilmente valutabile in sede diaccertamento, indipendentemente dal contestuale riscontro di irregolaritànella tenuta della contabilità (ex plurimis, Cass. nn. 2217, 6949 e 19329del 2006)”.

  • Con la sentenza n. 14716 del 18 aprile 2008, dep. il 4 giugno 2008, la Corte dà conto del rinvenimento, da parte della Guardia di Finanza, “di una borsa di cuoio custodita nel bagagliaio dell’autovettura del sig. M.A., rappresentante legale della società, nella quale era contenuto un bilancio extra-contabile il cui contenuto coincideva in parte con quanto dichiarato dalla società ed in più conteneva operazioni economiche non transitate nelle scritture contabili ufficiali della ditta”. Aggiunge, poi, che i successivi controlli sulle contabilità di altre società di gruppo avevano consentito di ricostruire i reali volumi d’affari della società, “ben più elevati di quelli risultanti dalla contabilità ufficiale”, e che erano state altresì reperite 20 pagine di un’agenda “nella quale erano indicati pagamenti in nero effettuati nei confronti di persone delle quali la società si avvaleva per l’effettuazione delle prestazioni rese alla clientela”).

  • Con la sentenza n. 20264 del 4 giugno 2008 (dep. il 23 luglio 2008), la Corte di Cassazione ritiene che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la c.d. contabilità in nero, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dall’art. 2709 cod. civ. e segg., tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta, ed incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 25610 del 01/12/2006, n. 19329 del 2006,n. 19598 del 2003)”.

  • Con la sentenza n. 5947 del 12 marzo 2009 (ud. del 12 febbraio 2009) la Corte di Cassazione ha osservato “gli “appunti riportati su agende” costituiscono adeguato mezzo di prova. Infatti, “la cosiddetta contabilità ‘in nero’, risultante da appunti personali ed informali dell’imprenditore, costituisce valido elemento indiziario dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dell’art. 39 d.p.r. n. 600 del 1973 (sentenze n. 17627 del 2008; n. 1987 del 30 gennaio 2006; 6 settembre 2001 n. 11459). Deve ritenersi, cioè, che tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 seguenti vanno ricompresi tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore e il risultato economico dell’attività svolta”. Inoltre, ribadisce la Cassazione, “spetta al contribuente fornire prove in senso contrario (Cass. 1° dicembre 2006 n. 25610; Cass. 8 settembre 2006 n. 19329; Cass. 20 dicembre 2003 n. 19598). Nel caso di specie, gli elementi posti a base dell’accertamento, legittimamente effettuato a norma dell’art. 39 d.p.r. n. 600/73, sono stati ritualmente portati a conoscenza della contribuente attraverso la notifica del p.v. di verifica; mentre la sussistenza e la natura di detti elementi comportavano che incombeva alla contribuente fornire la prova contraria, con conseguente rispetto dei requisiti dell’atto impositivo e della disciplina dell’onere probatorio”.

  • Con la sentenza n. 15536 del 2 luglio 2009 (ud. del 29 aprile 2009) la Corte ha confermato i principi finora espressi in precedenti pronunce sul valore indiziario dei brogliacci: “la presenza di una contabilità formalmente regolare non impedisce l’accertamento in rettifica dell’Ufficio operato in base a metodo logico induttivo quando in virtù di valutazioni di congruità fondato su presunzioni gravi precise e concordanti la suddetta contabilità risulti affetta da incompletezze, inesattezze, infedeltà tali da giustificare il motivato uso del potere di rettifica (Cass. nn. 5977/07, 2613/07)”.Infatti “il rinvenimento di una contabilità informale riportata su un brogliaccio in uno ad agende-calendario, block notes, matrici di assegni, estratti di conti correnti bancali etc. rappresenta un indizio grave, preciso e concordante dell’esistenza di imponibili non riportati nella contabilità ufficiale, che legittima l’Amministrazione finanziaria a procedere ad accertamento induttivo (Cass.n.6949/06)”.

  • Con la sentenza n. 17365 del 24 luglio 2009 (ud. dell’8 maggio 2009) la Corte ha ritenuto che il ritrovamento da parte della Guardia di Finanza, sia presso la sede dell’impresa che in locali diversi da quelli societari, di una “contabilità parallela” legittima di per sé, a prescindere cioè dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso al cd. accertamento induttivo. Infatti, la cd. contabilità “in nero”, risultante da appunti personali ed informali dell’imprenditore ovvero come nella specie in indicazioni contenute in floppy disk, costituisce valido elemento indiziario dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti della legge. Di conseguenza, si ribalta sul contribuente l’onere della prova: “spetta invero al contribuente, in tale ipotesi, fornire prova contraria”. Nel caso in esame, alla stregua delle emergenze dalla documentazione concernente “n. 1413 pratiche relative a visure immobiliari svolte nell’esercizio di impresa nei confronti dei vari committenti” e i “dati nominativi rilevati da floppies disk in possesso della ditta” nonché quelli “desunti presso la conservatoria dei RR.II. di Av.”, incombeva allora alla società contribuente odierna controricorrente fornire la prova contraria idonea a vincere la prova presuntiva a suo sfavore. Nessun elemento risulta tuttavia dall’impugnata sentenza essere stato al riguardo in contrario dalla medesima dedotto e provato, e pertanto il giudice è tenuto a ritenere sussistente quanto oggetto di prova presuntiva (v. Cass., 27/11/1999, n. 13291).

  • Con la sentenza n. 23585 del 6 novembre 2009 (ud. del 2 ottobre 2009) la Corte di Cassazione ha confermato il suo indirizzo in materia di brogliacci. In ordine all’attendibilità della documentazione extra contabile viene richiamata la giurisprudenza della Corte “che ha ritenuto la piena attendibilità di un brogliaccio (ma anche di agende, calendario, block-notes, matrici di assegni, estratti di conti correnti bancari) per l’accertamento induttivo dell’imponibile ai fini IVA (Cass., 15.5.92, n. 5786) ed ha affermato che il rinvenimento di una contabilità informale, tenuta su un brogliaccio, costituisce indizio grave, preciso e concordante della esistenza di imponibili non riportati sulla contabilità ufficiale e, perciò, l’Amministrazione Finanziaria può procedere ad accertamento induttivo (v., per tutte, Cass. civ. sent. n. 6949 del 2006)”.Nè, peraltro, nella specie, è stato violato il principio del contraddittorio o il diritto di difesa della contribuente, garantito dall’art. 24 Cost., dato che nel testo del ricorso si fa più volte riferimento ai fatto che le risultanze della verifica eseguita presso lasocietà A.C., della quale M.M.G., attuale resistente, era concessionaria della vendita in esclusiva dei prodotti, erano state trasfuse nel p.v.c. della ditta odierna intimata anche in contraddittorio con la stessa.

  • Con la sentenza n. 23185 del 17 novembre 2010 (ud. del 7 ottobre 2010), la Corte di Cassazione ha rilevato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la c.d. “contabilità in nero”, “costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39 dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dall’art. 2709 c.c. e segg. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta, ed incombendo al contribuente l’onero di fornire la prova contraria (V. pure Cass. nn. 19329/2006, 19598/2003)”.Inoltre, la sentenza ritiene che “il ritrovamento, da parte della Guardia di finanza, nei locali dell’impresa che aveva stretti rapporti commerciali con il soggetto sottoposto a verifica, di una ‘contabilità parallela’ a quella ufficialmente tenuta dalla stessa, sottoposta pure a verifica fiscale, legittimava, di per se, il ricorso al c.d. accertamento induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, commi 2 e 3 a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento (Cfr. anche Cass. nn. 1575/2007, 7045/1999)”.Invero in tema di I.V.A., o di imposte dirette, “l’uso di elementi acquisiti nell’ambito di procedure riguardanti altri soggetti non violadisposizioni che regolano l’accertamento o il principio del contraddittorio, atteso che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 63, comma 1, dispone espressamente che, nell’ambito dei doveri di cooperazione con gli uffici, la Guardia di finanza trasmette agli uffici stessi tutte le notizie acquisite, anche indirettamente, nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria, e che l’art. 54, comma 2, del citato D.P.R. dispone che gli Uffici, a loro volta, possono procedere alla rettifica sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, tratte da atti e documenti in loro possesso, anche quando si tratti di ‘verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti’ (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 4) (Cfr. anche Cass. nn. 10205/2003, 9100/2001)”.

  • Con la sentenza n. 14770 del 5 luglio 2011 (ud. del 7 giugno 2011) la Corte di Cassazione aveva avuto modo di ribadire che il rinvenimento di documenti, elementi, dati e notizie non altrimenti riconducibili alle scritture contabili formalmente tenute costituisce indizio suscettibile di fondare la presunzione di maggiori redditi non dichiarati, autorizzando l’Amministrazione finanziaria alla rettifica induttiva: “il rinvenimento di una contabilità informale, tenuta su un brogliaccio (ma anche di agende-calendario, block notes, matrici di assegni, estratti di conti correnti bancari), costituisce indizio grave, preciso e concordante dell’esistenza di imponibili non riportati nella contabilità ufficiale, che legittima l’Amministrazione finanziaria a procedere ad accertamento induttivo, ai sensi dell’art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633” (Cass. n. 6949/2006).

  • Con l’ordinanza n. 12944 del 14 giugno 2011 (ud. del 19 maggio 2011), la Corte ha ritenuto che la c.d. contabilità in nero rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall’art. 39, D.P.R. n. 600/1973, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria.

  • Con lasentenza n. 24055 del 16 novembre 2011 (ud. 5 ottobre 2011) la Corte dà ancora una volta conferma della legittimità dell’utilizzo dell’accertamento induttivo tutte le volte in cui si è in presenza di una contabilità nera. Per la Suprema Corte, “non può revocarsi in dubbio che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la c.d. ‘contabilità in nero’, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenti un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39. Nella nozione di ‘scrittura contabile’, che – a norma dell’art. 2709 c.c. – fa prova contro l’imprenditore, devono ritenersi, per vero, ricompresi – ad avviso della Corte – tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti di impresa, o che comunque siano suscettibili di rappresentare adeguatamente la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta”. Da ciò ne consegue che la predetta “contabilità in nero”, per il “suo valore probatorio, legittima di per sè, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, incombendo al contribuendo, a fronte degli elementi fortemente presuntivi desumibili da detta contabilità informale ed ufficiosa, l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli (Cass. 25610/06, 19598/03, 11459/01)”. Nel caso di specie, osserva la Corte, “la CTR ha, perciò, tratto del tutto legittimamente, per le ragioni suesposte, elementi di convincimento dai brogliacci e dai quaderni della società, nonchè dall’altro documentazione extracontabile reperita dalla Guardia di Finanza, dalla quale poteva desumersi – come, del resto, riconosciuto dallo stesso ricorrente (v. p. 4 del ricorso) – che il T. negli anni 1994-1998 era stato uno dei principali collaboratori della M.G. s.r.l., e che al medesimo era stata corrisposta una rilevante parte degli incassi della società. A fronte di tali elementi – di innegabile rilevanza sul piano probatorio – l’odierno ricorrente non era, per contro, in grado di fornire, come si rileva dall’impugnata sentenza, alcun elemento di prova convincente, idoneo a giustificare la consistente situazione patrimoniale riscontrata in capo ai vari componenti della sua famiglia”.

  • Con la sentenza n.2890 del 7 febbraio 2013 la Corte di Cassazione (in assenza dell’annotazione in contabilità dell’acquisto di un’azienda) ha legittimato l’accertamento induttivo utilizzato dall’ufficio. Nel caso di specie, il dato della regolarità formale della contabilità di impresa, ove sussistente, non è in ogni caso preclusivo dell’accertamento di genere induttivo, atteso che ben possono essere state semplicemente omesse annotazioni relative ad operazioni che, altrimenti, sarebbero destinate a non venir mai accertate se non per diversa risultanza documentale. “Inoltre, l’Amministrazione procedente aveva dedotto, nel merito, l’esistenza di gravi incongruenze e comunque presunzioni, aliunde desunte, dell’inattendibilità della contabilità nel suo complesso, quali l’omessa contabilizzazione dell’acquisto di un’azienda alimentare, l’utile lordo inferiore alla media del settore, l’esistenza di ‘ricavi extragestionali non contabilizzati’ (dato questo deducibile, per quanto emerge dal ricorso, dal raffronto tra la percentuale di ricarico dichiarata e quella risultante dalla fattura di acquisto di n. 157 prodotti, maggiore fornitore della X)”;

  • Con la sentenza n. 15318 del 19 giugno 2013 (ud. 9 gennaio 2013) la Corte di Cassazione ha legittimato l’utilizzo dell’accertamento induttivo, in presenza di conti neri. Nell’accertamento delle imposte sui redditi, infatti, secondo l’insegnamento di questa Corte, la “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39 dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dall’art. 2709 c.c. e ss. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta. “Ne consegue che detta ‘contabilità in nero’, per il suo valore probatorio, legittima di per sè, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al citato art. 39, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli (Cass. n. 24051 del 2011, n. 25610 del 2006)”.

  • Con l’ordinanza n. 27456 del 9 dicembre 2013 (ud. 28 novembre 2013) la Corte di Cassazione ha confermato l’utilizzo dell’accertamento induttivo, in presenza di una contabilità in “nero”. Nel caso specifico, l’accertamento si fondava su dei prospetti rinvenuti in sede di accesso, sui quali eranostati riportati dei dati significativi in ordine al maggior ricaricoapplicato al costo delle merci ed alle prestazioni. In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la “contabilità in nero”, costituita “da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 c.c. e ss. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta. Ne consegue che detta ‘contabilità in nero’, per il suo valore probatorio, legittima di per sè, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al citato art. 39, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 24051 del 16/11/2011, n. 9210 del 2011)”.

  • Con l’ordinanza n. 22265 del 21 ottobre 2014 (ud. 24 settembre 2014) la Corte di Cassazione ha confermato che “è ferma nel ritenere che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la ‘contabilità in nero’, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dall’art. 2709 c.c. e ss., tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta. Ne consegue che detta ‘contabilità in nero’, per il suo valore probatorio, legittima di per sè, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al citato art. 39, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 24051 del 16/11/2011, n. 9210 del 2011; Cass. nn. 6949 e 25610 del 2006, Cass. n. 8625/2012). Cass. n. 27456/2013; Cass. n. 4126/2013; Cass. n. 20492/13)”.

 

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29 maggio 2015

Roberta De Marchi