Spese per incrementi patrimoniali e presunzione di maggior reddito nel redditometro

in caso di accertamento sintetico hanno un forte peso le spese per gli incrementi patrimoniali: ecco come il Fisco usa le presunzioni a proprio favore ed alcune possibili strategie difensive per il contribuente (il caso del reddito famigliare, la provvista finanziaria formatasi in anni precedenti…)

Come è noto, l’accertamento sintetico è uno strumento presuntivo per la rettifica del reddito delle persone fisiche, previsto dall’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973.

Mediante tale metodo di accertamento la situazione reddituale può essere ricostruita valorizzando alcuni elementi di fatto, costituiti dalla disponibilità di determinati beni ritenuti in grado di comprovare una maggior capacità contributiva rispetto a quella dichiarata.

L’applicazione dello strumento è controbilanciata dalla possibilità per questi ultimi di fornire un’adeguata «prova contraria» in sede di contraddittorio amministrativo (ovvero di contenzioso tributario).

In particolare nel contesto del «nuovo» accertamento sintetico, applicabile con riferimento ai periodi di imposta 2009 e successivi, le spese per incrementi patrimoniali assumono rilevanza come indicatori di maggior reddito nei vari periodi di imposta in cui si assume verificato il presupposto reddituale, fatta salva per i contribuenti la possibilità di dimostrare che le disponibilità necessarie non sono soggette a imposizione, ovvero si sono formate in annualità non comprese tra quelle accertabili.

Le diverse versioni di accertamento sintetico

In presenza di determinate condizioni richieste dalla norma, l’ufficio fiscale può, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, rideterminare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente.

La ricostruzione induttiva del reddito può inoltre essere effettuata secondo le regole individuate da un decreto ad hoc contenente l’indicazione di «elementi indicativi di capacità contributiva», e in presenza di una situazione di «non congruità» rispetto a tali elementi per due o più periodi d’imposta (c.d. redditometro).

Oltre a essere uno strumento di accertamento, direttamente funzionale alla ricostruzione del reddito imponibile delle persone fisiche, lo strumento in esame si presta a essere utilizzato nella pianificazione e nell’esecuzione delle attività ispettive, in particolare se rivolte a contribuenti che non esercitano formalmente un’attività economica, o che comunque evidenziano indici di capacità contributiva superiori a quelli che si associano ai redditi dichiarati.

Gli uffici sono abilitati anche a ricostruire sinteticamente il reddito complessivo dei contribuenti in presenza di spese per incrementi patrimoniali «ingiustificate»; tali spese, salvo prova contraria:

  • nella versione «storica» dello strumento (ancora applicabile per i periodi di imposta fino al 2008), si presumevano sostenute, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui i cespiti sono stati acquistati e nei quattro anni precedenti;

  • nella versione innovata nel 2010 (applicabile per i periodi di imposta dal 2009 in poi), si presumono sostenute con redditi generati nel periodo di imposta in osservazione.

Esistono dunque tre tipologie di accertamento sintetico:

  1. accertamento sintetico puro, fondato sulle spese del periodo di imposta;

  2. accertamento sintetico fondato sulle spese per incrementi patrimoniali (nel contesto del nuovo accertamento sintetico, tale categoria non si differenzia più dalla prima);

  3. accertamento sintetico «redditometrico», fondato su indicatori «precostituiti» di capacità contributiva, ai quali viene fatto corrispondere un reddito presunto.

L’accertamento sintetico può essere attivato solamente nei confronti delle persone fisiche e ai fini delle imposte sui redditi.

L’ufficio può ricorrere all’accertamento sintetico anche se il contribuente non ha risposto e non ha ottemperato agli inviti di esibire atti e documenti, compilare questionari o comparire di persona (art. 38 ultimo comma aggiunto ex art. 25, L. 18.2.1999, n. 28).

Le modificazioni sopravvenute

Il D.L. 31.5.2010, n. 78, convertito dalla L. 30.7.2010, n. 122, ha innovato lo strumento, sostituendo nei seguenti termini i vecchi commi quarto, quinto, sesto, settimo e ottavo dell’art. 38, D.P.R. n. 600/1973:

  • art. 38, quarto comma: l’ufficio può determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente sulla base delle spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo d’imposta, salva la prova che il finanziamento è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile;

  • art. 38, c. 5: a determinazione sintetica può altresì essere fondata sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva individuato mediante l’analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell’area territoriale di appartenenza, con D.M. biennale: in tale ipotesi è fatta salva la produzione della prova contraria;

  • art. 38, c. 6: la determinazione sintetica del reddito complessivo è ammessa a condizione che il reddito complessivo accertabile ecceda di almeno il 20% quello dichiarato;

  • art. 38, c. 7: l’ufficio che procede alla ricostruzione sintetica del reddito ha l’obbligo di invitare il contribuente a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento e, successivamente, di avviare il procedimento di accertamento con adesione;

  • art. 38, c. 8 dal reddito complessivo determinato sinteticamente sono deducibili i soli oneri previsti dall’art. 10 del TUIR; competono, inoltre, per gli oneri sostenuti dal contribuente, le detrazioni dall’imposta lorda previste dalla legge.

Gli elementi maggiormente innovativi, rispetto alla precedente versione dell’articolo, sembrano essere costituiti dalla possibilità di ricostruire sinteticamente il reddito dei contribuenti prescindendo da «elementi e circostanze di fatto certi», nonché dalla previsione che la ricostruzione sintetica del reddito è consentita solamente se la differenza tra il reddito complessivo determinato sinteticamente e quello dichiarato è pari almeno a 1/5 (precedentemente, la differenza rilevante era pari a ¼).

L’ufficio può pertanto procedere sulla base degli elementi a disposizione allorquando sia possibile contestare il maggior reddito relativamente a un unico periodo d’imposta, ma appare anche evidente una più diretta connessione con il contraddittorio e l’accertamento con adesione, ambito nel quale il contribuente può fornire la controprova. È poi sicuramente più ampio il campo delle possibili contestazioni – riferite alle «spese di qualsiasi genere», ma anche quello della difesa del contribuente (con il riferimento ai redditi «comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile»).

Nel testo dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973 (come modificato dal D.L. n. 78/2010), che trova applicazione per gli accertamenti sintetici riguardanti i periodi di imposta a partire dal 2009, si segnala l’espunzione della previsione contenuta nell’originario quinto comma dell’articolo, cioè, per l’appunto, della possibilità di valorizzare gli incrementi patrimoniali presumendo la relativa spesa come «sostenuta» nel periodo di imposta di riferimento e nei quattro precedenti.

In linea di principio, quindi, l’acquisizione di un determinato bene in un certo periodo di imposta deve presumersi interamente effettuata con redditi conseguiti nel medesimo periodo, fatta salva la possibilità del contribuente di dimostrare il contrario in sede di accertamento.

L’attuazione del redditometro

Il nuovo redditometro (cioè la versione aggiornata dello strumento accertativo fondato su elementi indicativi standard di capacità contributiva) si è tradotto in vere e proprie disposizioni attuative «a regime» con la pubblicazione del D.M. 24.12.2012.

In sostanza, esso fornisce la traccia, con indicatori ritenuti attendibili, per l’effettuazione degli accertamenti sintetici redditometrici.

Questa metodologia di determinazione del reddito si fonda principalmente:

  • sulle spese sostenute dai contribuenti che risultano in anagrafe tributaria;

  • sui consumi medi divisi per tipologia di contribuente risultanti dalle indagini ISTAT;

  • sugli incrementi patrimoniali valutati al netto dei disinvestimenti.

Il decreto si compone di cinque articoli, nonché di un «allegato 1» e delle tabelle A e B. L’allegato è relativo al contenuto induttivo degli elementi di capacità contributiva, mentre la tabella A elenca i valori relativi ai KW medi per tipo di nucleo familiare relativi ai mezzi di trasporto, e la tabella B riporta e classifica le varie tipologie di nuclei familiari e le aree geografiche di appartenenza (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud, Isole).

Secondo quanto è posto il luce nell’art. 1 del decreto attuativo:

  • il contenuto induttivo degli elementi indicativi di capacità contributiva è determinato tenendo conto della spesa media, per gruppi e categorie di consumi, del nucleo familiare di appartenenza del contribuente; tale contenuto induttivo corrisponde alla spesa media risultante dall’indagine annuale sui consumi delle famiglie compresa nel programma statistico nazionale [art. 13, D.Lgs. 6.9.1989, n. 322], effettuata su campioni significativi di contribuenti appartenenti a 11 tipologie di nuclei familiari distribuite nelle cinque aree territoriali;

  • il contenuto induttivo degli elementi di capacità contributiva è determinato considerando le risultanze di analisi e studi socio economici, anche di settore (anche ciò fa pensare a una particolare sintonia tra il nuovo redditometro e gli studi di settore);

  • fatto salvo quanto previsto dall’art. 4 del decreto, ai fini della determinazione sintetica del reddito complessivo, in presenza di spese indicate nella tabella A, si considera l’ammontare più elevato tra quello disponibile o risultante dalle informazioni presenti in anagrafe tributaria e quello determinato considerando la spesa media rilevata dai risultati dell’indagine sui consumi dell’ISTAT o da analisi e studi socio economici, anche di settore;

  • ai fini della determinazione sintetica del reddito complessivo, l’Agenzia delle Entrate può anche utilizzare elementi di capacità contributiva diversi da quelli riportati nella tabella A, qualora siano disponibili dati relativi alla spesa sostenuta per l’acquisizione di servizi e di beni e per il relativo mantenimento, nonché valorizzare la quota di risparmio riscontrata, formatasi nell’anno.

Il successivo art. 2 del decreto stabilisce che, salvo quanto previsto dall’art. 4:

le spese per beni e servizi si considerano sostenute dalla persona fisica cui risultano riferibili sulla base dei dati disponibili o delle informazioni presenti in anagrafe tributaria. Si considerano, inoltre, sostenute dal contribuente, le spese relative ai beni e servizi effettuate dal coniuge e dai familiari fiscalmente a carico;

non si considerano sostenute dalla persona fisica le spese per beni e servizi relativi esclusivamente ed effettivamente all’attività di impresa o professionale, se ciò risulta da idonea documentazione (si pone pertanto un problema di prova, che potrà incontrare differenti risoluzioni nei vari casi specifici).

Le spese medie ISTAT (previste nel decreto sul redditometro) non possono più essere utilizzate in quanto non sono collegate a elementi di spesa certi1.

La ricostruzione sintetica del reddito

Secondo l’art. 3 (fatto salvo quanto stabilito al successivo art. 4), il reddito complessivo «sintetico» viene determinato dall’Agenzia delle Entrate sulla base:

  1. dell’ammontare delle spese, anche diverse rispetto a quelle indicate nella tabella A che, dai dati disponibili o dalle informazioni presenti nel sistema informativo dell’anagrafe tributaria (SIAT), risultano sostenute dal contribuente;

  2. dell’ammontare delle ulteriori spese riferite ai beni e servizi, presenti nella tabella A, nella misura determinata considerando la spesa rilevata da analisi e studi socio economici;

  3. della quota relativa agli incrementi patrimoniali del contribuente imputabile al periodo di imposta, nella misura determinata con le modalità indicate nella tabella A;

  4. della quota di risparmio riscontrata, formatasi nell’anno.

Il testo del decreto attuativo prevedeva il concorso alla determinazione sintetica del reddito anche della quota parte, attribuibile al contribuente, dell’ammontare della spesa media ISTAT riferita ai consumi del nucleo familiare di appartenenza, determinata:

    1. nella percentuale corrispondente al rapporto tra il reddito complessivo attribuibile al contribuente e il totale dei redditi complessivi attribuibili ai componenti del nucleo familiare;

    2. in assenza di redditi dichiarati dal nucleo familiare, nella percentuale corrispondente al rapporto tra le spese sostenute dal contribuente e il totale delle spese dell’intero nucleo familiare, risultanti dai dati disponibili o dalle informazioni presenti nel SIAT;

Come già evidenziato, il nuovo redditometro a regime non può in alcun modo fare ricorso alle spese medie ISTAT come autonomi indicatori della capacità reddituale dei contribuenti.

La prova contraria da fornire

Nel quadro di una «prova vincolata», finalizzata alla disapplicazione dell’accertamento redditometrico, il contribuente ha la facoltà di dimostrare, ai sensi dell’art. 4 del decreto:

  1. che il finanziamento delle spese è avvenuto:

    1. con redditi diversi da quelli posseduti nel periodo d’imposta;

    2. con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile;

    3. da parte di soggetti diversi dal contribuente;

  2. il diverso ammontare delle spese attribuite al medesimo.

L’art. 5 del decreto è relativo all’efficacia temporale del nuovo redditometro, che si intende operante per la determinazione sintetica dei redditi e dei maggiori redditi relativi agli anni di imposta a decorrere dal 2009 [il relativo termine per l’accertamento decadeva: 1) in caso di dichiarazione infedele, il 31.12.2014; 2) in caso di dichiarazione omessa, il 31.12.2015].

Nella sentenza Cass. 19.3.2014 n. 6396, la Suprema Corte si è pronunciata relativamente alla prova contraria che i contribuenti sono tenuti a fornire al fine di escludere l’accertamento sintetico in caso di incrementi patrimoniali.

Nella situazione esaminata dalla Corte, l’accertamento compiuto dall’amministrazione finanziaria era stato per così dire misto, dal momento che in parte aveva utilizzato i coefficienti patrimoniali del redditometro (secondo i previgenti decreti ministeriali), e in parte aveva valorizzato le spese per incrementi patrimoniali.

In questa particolare ipotesi, il contribuente a fronte di un reddito decisamente insignificante aveva dedotto il possesso di titoli e certificati, cioè di disponibilità finanziarie, ammontanti a vari milioni di euro negli anni sottoposti a controllo (2004 e 2005), nonché – appunto – di una donazione di 700.000 euro.

Di fronte alla dimostrazione di tali fonti finanziarie, la CTR aveva escluso la rilevanza della donazione di euro 700.000, ritenendola non documentata. Relativamente invece al rendiconto dei capital gain, la commissione aveva dichiarato che non appariva sufficientemente dimostrata la provenienza ed effettiva disponibilità finanziaria per l’effettuazione delle acquisizioni patrimoniali.

In particolare la Cassazione ha affermato quanto segue:

  • nell’accertamento sintetico, il contribuente ha la facoltà di dimostrare (documentando) che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta;

  • il testo normativo (sul punto sostanzialmente immodificato) «non impone affatto la dimostrazione dettagliata dell’impiego delle somme per la produzione degli acquisti o per le spese di incremento, semmai richiedendo al contribuente di vincere la presunzione – semplice o legale che sia – che il reddito dichiarato non sia stato sufficiente per realizzare gli acquisti e gli incrementi. Il che, a ben considerare, significa che nessun’altra prova deve dare la parte contribuente circa l’effettiva destinazione del reddito esente o sottoposto a tassazione separata agli incrementi patrimoniali se non la dimostrazione dell’esistenza di tali redditi»;

  • «né dalla disciplina normativa anzidetta pare potersi evincere un onere di dimostrazione, aggiuntivo, circa la provenienza oltre che l’effettiva disponibilità finanziaria delle somme occorrenti per gli acquisti operati dal contribuente».

«Se, infatti, l’Ufficio ha desunto dagli incrementi un maggior reddito rispetto a quello dichiarato e il contribuente ha dedotto e dimostrato attraverso il prospetto di gestione titoli di Stato, azionari e obbligazionari l’esistenza di disponibilità finanziarie sottoposte a tassazione separata capaci di consentire detti incrementi, il fatto presuntivo esposto dall’Ufficio non può continuare a produrre i propri effetti in ragione della condotta del contribuente, ove la stessa sia idonea a comprovare l’esistenza di redditi non dichiarati capaci di realizzare gli incrementi o le spese correlate al possesso di beni».

Promuovere un’interpretazione difforme, secondo la Corte, significherebbe porre in essere una trasfigurazione del presupposto impositivo, che diverrebbe non più il possesso di un reddito bensì l’esistenza di una spesa.

Questa sentenza sembra circoscrivere rigidamente l’ambito della prova contraria, o – per meglio dire – della possibilità del fisco di disconoscerla, limitando detta prova alla dimostrazione che era presente una provvista finanziaria anche astrattamente in grado di dimostrare la possibilità del contribuente di acquistare beni e servizi.

Le indicazioni di prassi

La circolare dell’Agenzia delle Entrate 31.7.2013, n. 24/E, contiene le precisazioni ufficiali in merito all’applicazione del nuovo redditometro.

Facendo riferimento, quanto alle fonti impiegate nella ricostruzione sintetica, agli indicatori riportati dal decreto ministeriale sopra commentato, la circolare ha precisato che la determinazione del reddito tiene conto anche della quota di risparmio del contribuente formatasi nell’anno.

I contribuenti da accertare vengono selezionati sulla base dell’entità dello scostamento: deve trattarsi, secondo quanto affermato nella circolare, di «scostamenti significativi tra reddito dichiarato e capacità di spesa manifestata», avendo cura di evitare situazioni di marginalità economica.

Nella fase di selezione viene considerato il reddito complessivo della famiglia.

Nella fase del contraddittorio, che ha carattere di obbligatorietà, possono essere ridiscusse le varie tipologie di spese.

In particolare, il contribuente può:

  • per le spese certe, dimostrare l’errore materiale;

  • per le spese «per elementi certi», dimostrare che il bene è nella disponibilità di terzi, o ad esempio l’inagibilità dell’immobile o il suo sequestro temporaneo, etc.

Quanto agli incrementi patrimoniali, la circolare ammette la dimostrazione da parte del contribuente che la provvista si è realizzata nel corso di un periodo diverso rispetto ai quattro anni previsti dal decreto.

Famiglia fiscale e altre condizioni

La successiva circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 6/E dell’11.3.2014, ha precisato che:

  • nella fase di selezione dei contribuenti è necessario considerare non solamente la «famiglia fiscale» composta dal contribuente, dal coniuge, dai figli e dagli altri familiari eventualmente a carico, ma anche la «famiglia anagrafica», comprendente i figli anche maggiorenni e gli altri familiari conviventi di fatto, ancorché non fiscalmente a carico, giacché gli scostamenti rispetto allo standard possono essere giustificati dal reddito dichiarato da tutti i componenti della famiglia;

  • il «fitto figurativo» (imputato quando il contribuente non risulta risiedere in alcun immobile, a titolo di proprietà, leasing o uso gratuito) non verrà considerato nella fase di selezione dei contribuenti, ma solamente nel contraddittorio;

  • le medie ISTAT relative alle spese per uso corrente non possono essere utilizzate né per la selezione né per la determinazione del reddito.

La determinazione dell’imponibile sintetico «redditometrico» avviene quindi valorizzando i seguenti elementi:

  • spese certe (emergenti dalle banche dati a disposizione del fisco);

  • spese per elementi certi (disponibilità di immobili, autoveicoli, etc.);

  • fitto figurativo (non in fase di selezione);

  • incrementi patrimoniali dell’anno;

  • quota di risparmio accantonata.

La circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 25/E del 6.8.2014, relativa alla programmazione delle attività di controllo fiscale [paragrafo 2.5] ha precisato che le attività istruttorie da redditometro vengono effettuate impiegando un applicativo informatico denominato «VE.R.DI.», destinato alle attività di analisi del rischio (di evasione) sulle persone fisiche e di ausilio alla determinazione sintetica del reddito.

L’Agenzia afferma altresì nella circolare che il contraddittorio è un elemento qualificante dei controlli da redditometro, nell’ottica di evitare «pretese accertative non correlate alla reale capacità contributiva del soggetto».

Secondo quanto afferma la pronuncia di prassi, dovrà essere particolarmente curata anche la fase preliminare della selezione dei soggetti da controllare, in modo da attivare gli accertamenti solamente nei confronti di coloro che presentano scostamenti significativi tra il reddito dichiarato e la capacità di spesa manifestata.

La provvista finanziaria formatasi in anni precedenti

Come si è già visto, l’Agenzia delle Entrate (espressasi in tal senso nella circolare n. 24/E del 2013) tende a una ricostruzione prudente del reddito «sintetico», consentendo ai contribuenti, in presenza di investimenti / incrementi patrimoniali, di fornire la prova che le risorse necessarie hanno avuto formazione in una o più annualità tra quelle ancora accertabili, ovvero anche in annualità per le quali sono già decorsi i relativi termini per l’accertamento.

Ciò appare ragionevole ove si consideri che in generale tutti i quasi i contribuenti si trovano nel corso della propria vita ad affrontare spese del tutto sproporzionate rispetto al reddito realizzato in un periodo di imposta particolare (tipicamente la spesa per l’abitazione), il che è perfettamente coerente con le normali esigenze di programmazione dei privati che caratterizzano il nostro modello di società ed economia.

Nella recente circolare n. 6/E del 19.2.2015 [paragrafo 12.1], che riproduce fedelmente il contenuto di un quesito e della relativa domanda posta in seno alla videoconferenza annuale Telefisco, l’Agenzia delle Entrate ha riaffermato che in sede di contraddittorio il contribuente può fornire la prova, in relazione alle spese per investimenti sostenute nell’anno, della formazione della provvista in anni precedenti ovvero della sua effettiva disponibilità e utilizzo per l’effettuazione dello specifico investimento individuato.

Se detta disponibilità si è costituita nelle annualità precedenti, la provvista non rileva ai fini della determinazione sintetica nell’anno di imposta che è oggetto del controllo.

Ciò tuttavia non esclude la possibilità per l’Agenzia delle Entrate di attivare, per le annualità precedenti in cui si è formata la provvista, autonomi controlli avvalendosi dello strumento accertativo più idoneo, di tipo analitico, induttivo o sintetico.

Considerazioni di sintesi

Come si è visto, il redditometro, che può tuttavia presentare aspetti peculiari da caso a caso in ragione della complessità del paniere delle spese rilevanti e dello stile di vita di ciascuno, nonché delle dimostrazioni che possono essere opposte all’ufficio accertatore, viene smussato dall’Agenzia delle Entrate che ne raccomanda un uso prudente.

In quest’ottica può essere vista la possibilità di dimostrare la formazione della provvista finanziaria in una o più annualità che nulla hanno a che fare con quella sottoposta a controllo (ad esempio, nel 2012 anziché nel 2013).

Ugualmente, trattandosi di investimenti importanti che possono essere il frutto di accantonamenti pluriennali piuttosto lunghi, al contribuente dovrebbe poter essere consentito di provare che la provvista si è addirittura formata in epoca anteriore rispetto ai cinque periodi di imposta accertabili secondo le disposizioni sull’accertamento.

In generale, gli avvisi di accertamento ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP, e gli avvisi di rettifica ai fini dell’IVA, devono essere effettuati entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione (cfr., per le imposte sui redditi, l’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973, come modificato dal D.Lgs. 9.7.1997 n. 241, e per l’IVA l’art. 57 del D.P.R. n. 633/1972).

Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla (ai fini IRES-IRPEF/IRAP/IVA), l’avviso di accertamento può essere invece notificato fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.

Se però per un determinato periodo di imposta l’Agenzia delle Entrate, ovvero la Guardia di Finanza, hanno trasmesso all’AG una notizia di reato a norma dell’art. 331 del c.p.p. per violazioni penali tributarie, l’amministrazione può notificare gli avvisi di accertamento:

  • in caso di dichiarazione infedele, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione;

  • in caso di omessa presentazione o di presentazione di dichiarazione nulla, fino al 31 dicembre del decimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.

Alla luce di queste previsioni normative, che raddoppiano i termini per l’accertamento, occorre comprendere se la formazione della provvista finanziaria nell’anno X-1 anteriore ai cinque periodi accertabili (nel caso della dichiarazione infedele, si tratta dell’anno di presentazione della dichiarazione e dei quattro anni successivi) possa essere contestata, e assurgere a fatto – indice di capacità contributiva, per effetto del raddoppio dei termini per l’accertamento.

Come si è visto sopra, seguendo in modo lineare le indicazioni fornite dall’ultima circolare in materia di redditometro, tale ipotesi dovrebbe potersi escludere.

Difficile ammettere, infatti, che una semplice presunzione relativa alla formazione del reddito in un anno i cui termini per l’accertamento siano già scaduti possa riaprire il termine in attuazione della previsione sul raddoppio, a maggior ragione ove si consideri che l’attuazione della delega fiscale in itinere (il c.d. decreto sulla certezza del diritto) consentirebbe il raddoppio solamente se la notizia di reato viene trasmessa all’AG prima della scadenza del termine ordinario.

Analoghe considerazioni possono farsi per il raddoppio dei termini che opera in relazione alla presunzione di evasione per investimenti e attività all’estero, in Paesi aventi regimi fiscali privilegiati, di cui all’art. 12, comma 2-bis, del D.L. 1º luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 3.8.2009, n. 102. In quest’ultima evenienza peraltro, cioè se le disponibilità finanziarie che hanno alimentato la spesa incrementativa si sono formate grazie a un’evasione di tipo «internazionale», il contribuente potrebbe essere indotto a valutare la convenienza comparativa della procedura di voluntary disclosure [di cui ai nuovi artt. da 5-quater a 5-septies del D.L. 28.6.1990, n. 167, introdotti dalla L. 15.12.2014, n. 186]2.

14 aprile 2015

Fabio Carrirolo

1 Ciò è stato deciso dal Garante della Privacy, espressosi con parere n. 2765110 del 21.11.2013.

2 Questa procedura non può essere utilizzata se la relativa richiesta è presentata dopo che l’autore ha avuto conoscenza dell’inizio di attività di accertamento fiscale o di procedimenti penali per violazioni tributarie, e opera per le violazioni dichiarative commesse sino al 30.9.2014, con possibilità di esperire la procedura fino al 30.9.2015.