Il riaddebito fra professionisti dei servizi di pulizia dello studio: il problema reverse charge

Il riaddebito dei costi relativi al servizio di pulizia da un professionista ad un altro professionista, laddove i predetti soggetti, non uniti da vincoli associativi, utilizzino una struttura in comune, non è soggetto al reverse charge.

L’addebito dei costi relativi al servizio di pulizia da un professionista ad un altro professionista, laddove i predetti soggetti, non uniti da vincoli associativi, utilizzino una struttura in comune, non è soggetto all’inversione contabile.

La soluzione si desume dalla Circolare dell’Agenzia delle entrate n. 15/E del 2015.

Nel caso specifico un professionista ha appaltato ad una ditta la pulizia dell’intero studio e successivamente, addebita una parte dei predetti costi, ad un altro professionista, non titolare del contratto di appalto, che utilizza una parte degli spazi in comune.

La ditta di pulizia emette una fattura addebitando l’intero costo, ma senza esercitare la rivalsa (trovando applicazione l’inversione contabile).

Il successivo addebito di una parte del costo da un professionista all’altro sconta l’Iva secondo i criteri ordinari, quindi con l’applicazione dell’aliquota del 22 per cento.

L’Agenzia delle entrate ha ritenuto che per l’individuazione delle prestazioni di servizi di cui alla lettera a–ter dell’articolo 17 del D.P.R. n. 633/1972 debba farsi riferimento “in una logica di semplificazione e allo scopo di evitare incertezze interpretative … unicamente ai codici di attività della Tabella ATECO 2007”.

La ditta di pulizie, che esegue professionalmente il servizio nei confronti dello studio è in possesso del codice ATECO 81.21.00 “Pulizia generale (non specializzata) di edifici”.

Pertanto in tale ipotesi non esistono dubbi di sorta sul fatto che la fattura debba essere emessa senza addebitare l’Iva con l’applicazione dell’inversione contabile.

Nessun dubbio sussiste anche con riferimento alla successiva operazione di riaddebito da un professionista ad un altro di una parte della spesa.

Il tale ipotesi, il soggetto che effettua il “ribaltamento” del costo (il primo professionista) non è titolare, né deve esserlo del medesimo codice attività dell’impresa che effettua il servizio di pulizia.

Per tale ragione l’operazione è soggetta ad Iva secondo le modalità ordinarie.

Secondo la tesi dell’Agenzia delle entrate è irrilevante che il soggetto passivo sia o meno in possesso del codice ATECO 2007 corrispondente ai servizi di pulizia.

Invece, affinché trovi applicazione il meccanismo dell’inversione contabile è necessario che il contribuente eserciti oggettivamente un’attività riconducibile nell’ambito dei servizi di pulizia anche se in concreto abbia omesso di fornire la relativa comunicazione al Fisco ai sensi dell’art. 35 del D.P.R. n. 633/1972.

Nell’esempio il soggetto che effettua il riaddebito delle spese esercita un’attività professionale, non potendosi considerare “servizio di pulizia” la mera operazione di riaddebito delle spese. Pertanto non è stata omessa alcuna comunicazione e l’Iva dovrà essere assolta secondo le modalità ordinarie.

L’Agenzia delle entrate ha però individuato una fattispecie in cui la mera operazione di riaddebito dell’onere può dare luogo all’applicazione del reverse charge sia con riferimento al primo prestatore, sia in capo al soggetto che effettua il riaddebito.

Tuttavia tale ipotesi è circoscritta ai soli consorzi e non può interessare il caso in esame.

L’Agenzia delle entrate ha in passato ritenuto come le prestazioni effettuate da società consorziate al consorzio dovessero essere assoggettate ad Iva secondo i criteri ordinari; mentre i consorzi operanti nel settore edile, dovevano applicare il reverse charge, per le prestazioni rese a terzi in esecuzione di contratti di subappalto (Circolare Agenzia delle entrate n. 37/E del 2006).

Tale conclusione era argomentata osservando che le prestazioni poste in essere all’interno dei rapporti associativi, quali quelli consortili, non sono configurabili come subappalti o ipotesi affini.

L’Agenzia delle entrate ha però modificato tale orientamento iniziale.

In particolare, la Circ n. 19/E del 4 aprile 2007 ha precisato che deve applicarsi il reverse charge anche in presenza dei predetti rapporti associativi.

Quindi se il consorzio agisce sulla base di un contratto di subappalto nei confronti dell’appaltatore principale deve applicare l’inversione contabile ed emette la relativa fattura senza l’applicazione dell’imposta.

A loro volta le imprese consorziate emettono fattura nei confronti del consorzio o della società consortile senza applicazione dell’Iva.

In questo modo le imprese consorziate rimangono a credito per l’imposta assolta sugli acquisti, come se avessero assunto direttamente il rapporto di subappalto.

A garanzia del legittimo affidamento del contribuente, è stato precisato che le prestazioni rese dalle imprese consorziate al consorzio senza applicare il meccanismo del reverse charge, nell’osservanza delle indicazioni fornite dalla precedente Circolare n. 37/E del 2006, devono essere considerate regolarmente fatturate.

Il principio di trasparenza relativo ai rapporti tra società consorziate e consorziè stato ribadito dall’Agenzia delle entrate anche con riferimento alle prestazioni soggette all’inversione contabile al di fuori dei contratti di appalto, come previsto dopo l’aggiunta nella nuova lettera a – ter) nell’art. 17 del Decreto Iva in rassegna.

 

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28 aprile 2015

Nicola Forte