Attenzione alle confessioni extragiudiziali dell’amministratore in sede di verifica

come noto, assumono rilievo probatorio le dichiarazioni rese in sede di verifica da parte dell’amministratore; pertanto va sempre verificato attentamente quanto verbalizzato nel PVC

E’ noto che assumono un qualche rilievo le dichiarazioni rese in sede di verifica, ancora però si discute sul “peso” processuale assunto dalle stesse. Da tempo la giurisprudenza, ad esempio, si sofferma sul valore e sulla efficacia processuale delle dichiarazioni dei terzi, espresse nel p.v.c., e sulla compatibilità delle stesse con il divieto di prova testimoniale, vigente nel processo tributario ex art. 7, comma 4 , D.Lgs n.546/92. Come sappiamo, nonostante la dottrina adombri (stigmatizzandolo) un disequilibrio probatorio tra le parti, e quindi un regime di favore istruttorio per la parte pubblica erariale, dette espressioni vengono ammesse nel processo riservandosi a loro un valore però meramente indiziario liberamente valutabile dal giudice, mentre più controversa è l’ammissibilità delle dichiarazioni scritte dei terzi, prodotte in giudizio dal contribuente.

 

Infatti, in ordine alla efficacia istruttoria di questa ultima tipologia di elementi, si sono formati due orientamenti. Il primo, più rigoroso e ancora riaffermato dalla sentenza n. 14065 del 20 giugno 2014 , riferisce che l’attribuzione di efficacia probatoria alla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà (che, così come l’autocertificazione in genere, ha attitudine certificativa e probatoria esclusivamente in alcune procedure amministrative, essendo viceversa priva di efficacia in sede giurisdizionale) trova, con specifico riguardo al contenzioso tributario, ostacolo invalicabile proprio nella previsione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, giacchè finirebbe per introdurre nel processo tributario – eludendo il divieto di giuramento e prova testimoniale – un mezzo di prova, non solo equipollente a quello vietato, ma anche costituito al di fuori del processo” (Cass. sent. n. 703/2007 e n.6755/2010). Un secondo orientamento invece afferma che la dichiarazione del terzo ovvero l’atto notorio, con il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, può concorrere a formare il convincimento del giudice ma non è idoneo a costituire, da solo, il fondamento della decisione (Cass. civ. 4269/2002).

 

La Suprema Corte, nella decisione n. 5931 del 25 marzo 2015, ha trattato invece il caso delle dichiarazioni rese dall’amministratore della società accertata e questo evidentemente in conseguenza del fatto che, durante le operazioni di verifica, è concesso al soggetto verificato di rispondere, tramite verbalizzazione, alle domande e alle richieste degli agenti accertatori in virtù degli artt. 52, comma 6, D.P.R. n. 633/72 e 33, comma 1, D.P.R. n. 600/1973 , dovendosi poi sottoscrivere il verbale dallo stesso contribuente (o da chi lo rappresenta) e rilasciandosi a quest’ultimo copia del p.v.c. stesso.

Il collegio, nella descritta occasione, ha osservato che “le dichiarazioni rese in sede di verifica dal legale rappresentante di una società possono, anche da sole, fondare l’accertamento di un maggior imponibile ai fini dell’IVA e delle imposte dirette. Tali dichiarazioni non rivestono, invero, la natura di mere dichiarazioni testimoniali, in quanto il rapporto di immedesimazione organica che lega il rappresentante legale alla società rappresentata esclude che il primo possa essere qualificato come testimone, in riferimento ad attività poste in essere dalla seconda; esse possono, invece, essere apprezzate come una confessione stragiudiziale1, e costituiscono pertanto prova non già indiziaria, ma diretta, del maggior imponibile eventualmente accertato nei confronti della società, non abbisognevole, come tale, di ulteriori riscontri (Cass. 23816/05; 12271/07; 22122/10).Nel caso concreto, non è in alcun modo controverso tra le parti che la P., vicepresidente dell’ associazione, fosse fornita – in virtù della carica rivestita – della capacità di rappresentare l’ente dinanzi ai funzionari dell’Ufficio, in sede di verifica fiscale (cfr., per la capacità a rendere confessione perfino del direttore tecnico della società, ove non ne sia disconosciuta la capacità a rappresentare l’ente ex art. 2731 c.c., Cass. 12271/07)”.

 

Il giudice di ultima istanza ha così riaffermato il proprio orientamento sia in tema di valore da attribuire alle dichiarazioni del contribuente rilasciate in sede di verifica sia per quel che riguarda la mancata violazione del predetto divieto di prova testimoniale; in ordine a quest’ultimo la sentenza richiama l’immedesimazione organica sussistente tra rappresentante legale e società rappresentata per evidenziare come l’uno non possa diventare testimone dell’altra; ribadita inoltre la legittimità dell’utilizzazione, in sede di istruttoria processuale, di tali dichiarazioni è agevole poi per la Corte argomentare come le stesse siano qualificabili come confessione stragiudiziale, quindi come prova diretta che non necessita di altri riscontri sul fatto su cui verte, a differenza di quanto avviene invece per gli elementi indiziari. Sostanzialmente, alla luce di queste argomentazioni, le dichiarazioni sfavorevoli del legale rappresentante della società farebbero piena prova contro la società stessa, per il combinato disposto degli artt. 2733 e 2735 c.c..

La medesima decisione tiene però a precisare come “quand’anche volesse disconoscersi a tali dichiarazioni il valore di confessione, per difetto di legittimazione della dichiarante ex art. 2731 c.c. – non potrebbe non riconoscersi l’utilizzabilità delle stesse, ai fini della decisione, quanto meno quale elemento indiziario e presuntivo. Ed invero, le dichiarazioni che gli organi dell’amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento – non potendo essere ricomprese nel divieto di prova testimoniale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, che si riferisce alla sola prova testimoniale, quale prova da assumere con le garanzie del contraddittorio – proprio perchè assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudicante (Cass. 8369/13)”.

Se la decisione n. 5931/2015 finisce con l’indicare che le dichiarazioni dell’amministratore, durante la verifica, possono avere assoluta rilevanza, deve però rammentarsi che talvolta la giurisprudenza di legittimità ha conferito un effetto “pesante” per il soggetto verificato anche in caso di silenzio da parte del rappresentante legale durante le operazioni di verifica. E’ il caso della (discussa) sentenza. n. 1286/2004 ove gli Ermellini argomentavano che “La partecipazione alle operazioni di verifica senza contestazioni equivale sostanzialmente ad accettazione delle stesse e dei loro risultati. Non occorre per questo un’accettazione espressa, ma soltanto la mancanza di contestazioni. Se avesse avuto qualcosa da contestare sulle operazioni di verifica (che concernevano – vale sottolinearlo – la materialità dei fatti e non considerazioni tecniche o giuridiche) il contribuente avrebbe dovuto, e potuto, formulare immediatamente, seduta stante, il proprio dissenso e pretendere che le proprie contestazioni fossero riportate sul verbale. Oppure, in caso di rifiuto da parte dei verbalizzanti di porle a verbale, comunicare immediatamente per iscritto la propria protesta, segnalando il rifiuto e ribadendo le contestazioni2.

2 aprile 2015

Antonino Russo

 

1Nel caso di specie l’Amministratore di una associazione sportiva, indicata poi come “commerciale” in accertamento, rispondeva – circa il conseguimento di avanzi di gestione e la loro distribuzione – che gli stessi venivano conseguiti e, riversati su un libretto a risparmio.

2Il caso trattato era quello dell’applicazione di una percentuale di ricarico.