Società a ristretta base sociale e presunzione di distribuzione di utili extrabilancio: spunti per la difesa del socio

In caso di accertamento contro una SRL familiare o a ristretta base sociale, è sempre più comune il fatto che il Fisco contesti che gli eventuali ricavi non dichiarati siano dividendi incassati in nero dai soci: alcuni utili prospettive per la difesa del socio di una piccola SRL.

Società a ristretta base – Premessa

presunzione di distribuzione di utili extracontabili in società a ristretta base societariaSi chiama società a ristretta base sociale e/o familiare1 quella compagine sociale composta da un numero ristretto di soci, legati spesso da rapporti di parentela. Nella prassi consolidata agli accertamenti nei confronti di società di capitali a ristretta base societaria fanno seguito accertamenti in capo ai singoli soci delle stesse.

L’Amministrazione Finanziaria a seguito di accertamento di un maggior reddito in capo alla società di capitali a ristretta compagine sociale, procede a rettificare la dichiarazione dei redditi ai soci, ai sensi dell’art. 38, comma 3, del D.P.R. 29/9/1973, n. 600.

Nel caso di una società di capitali, pur non sussistendo, a differenza di quanto previsto per le società di persone, una presunzione legale di distribuzione dell’utile ai soci, l’appartenenza della società ad una stretta cerchia di persone può costituire, sul piano degli indizi, elemento di prova dell’avvenuta distribuzione degli utili in questione, tenuto conto della complicità, che normalmente avvince un gruppo così composto.

 

 

Presupposti per l’accertamento

I presupposti per l’accertamento dei soci di società di capitali a ristretta base societaria sono:

  • maggior utile accertato in capo alla società di capitali;
  • base sociale formata da un ristretto2 numero di soci che abbiano legami di affinità e/o parentela, amicizia3;
  • poteri di controllo dell’attività gestionale di rettamente e operativamente in capo ai soci4.

 

La presunzione di distribuzione degli utili extra-bilancio ai soci è legittima purché venga concretamente accertata la sussistenza del requisito della ristretta base sociale; e vi sia un valido accertamento a carico della società in ordine a ricavi non dichiarati.

 

 

Presunzione

In tema di accertamenti nei confronti di società a ristretta base societaria operano due tipologie di presunzioni:

  • la prima riguarda l’esistenza di un maggior reddito della società rispetto a quello dichiarato;
  • la seconda, invece, l’avvenuta distribuzione ai soci del maggior reddito accertato in capo alla società.

 

La presunzione di distribuzione può essere ricondotta al terzo comma dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/73, che prevede l’utilizzo di presunzioni semplici per le rettifiche delle dichiarazioni delle persone fisiche; ulteriori riferimenti normativi cui ricondurre la presunzione in esame, sono costituiti dall’art. 41-bis del D.P.R. n. 600/73 (“Accertamento parziale”), e dall’articolo 39 dello stesso decreto sull’accertamento, che permette, in materia di imposte dirette, il ricorso da parte degli uffici a presunzioni semplici.

In sostanza si tratta di una presunzione semplice ex articolo 2729 codice civile, ben diversa dalla presunzione, questa sì, di tipo legale, che caratterizza il regime tributario di trasparenza tipico delle società.

Suddetta presunzione è logica in ragione della “complicità” che, solitamente, lega un gruppo ristretto (per numero e/o per legame parentale) di soci (Cassazione civile n. 2896/2008). Nel caso di società di capitali a ristrettissima base sociale, pur non sussistendo, a differenza delle società di persone, una presunzione legale di distribuzione degli utili ai soci, non può considerarsi illogica, tenuto conto della complicità, che normalmente avvince un gruppo così composto, la presunzione semplice di distribuzione degli utili extracontabili ai soci.

Sussiste la legittimità di siffatta presunzione, poiché il fatto noto non sarebbe costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci5, che caratterizza la gestione di tale tipo di società (si vedano, tra le molte, Cassazione nn. 7174/2002, 4695/2002, 3254/2000, 2390/2000, 14006/2003, 9519/2009 e 29605/2011.)

Non viene ad essere violato il divieto di presunzione di secondo grado perché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, bensì dalla ristretta base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci.

Pertanto, è necessario

“esporre i fatti costituenti presunzioni gravi, precise e concordanti circa l’asserita ‘confusione’ patrimoniale tra soci, congiunti degli stessi e la società”.

 

 

Controversie

Secondo un preciso orientamento la presunzione di distribuzione ai soci può ritenersi legittima solo in presenza di un valido accertamento a carico della società divenuto definitivo.

Non può considerarsi noto un fatto contenuto in un accertamento dell’ufficio in capo alla società e da ciò risalire al fatto ignoto dell’esistenza della distribuzione di maggiori utili in capo ai soci senza la preventiva verifica dell’avvenuta definitività dell’atto impositivo in capo alla società, per mancata impugnazione o per rigetto delle doglianze del contribuente con sentenza non più impugnabile. Solo in tale caso, infatti, l’accertamento dei maggiori ricavi non contabilizzati in capo alla società a ristretta base sociale acquista il carattere della certezza (Cass., Sez. V Civile Tributaria, Sentenza 8/102010, n. 20870).

Secondo un diverso orientamento del giudice di legittimità (Cass., Sez. V Civile Tributaria, Sentenza 11/11/2003, n. 16885), l’operatività della presunzione di distribuzione ai soci degli utili extrabilancio è legittima anche quanto l’accertamento in capo alla società non sia definitivamente concluso con sentenza passata in giudicato oppure mediante definitività dell’avviso di accertamento in quanto decorsi i termini per la sua impugnazione.

Quindi, l’Amministrazione Finanziaria può parallelamente portare avanti le proprie pretese tributarie, sia nei confronti della società che dei soci, avvalendosi solo di presunzioni: la ristretta base sociale costituisce quel fatto noto che può legittimamente essere posto a base della presunzione di distribuzione.

Occorre considerare, che l’attesa della definitività dell’accertamento in capo alla società potrebbe comportare, per il Fisco, la decorrenza dei termini per poter accertare i dividendi in capo ai soci.

Secondo diverso orientamento6 la presunzione di distribuzione ai soci può ritenersi legittima solo in presenza di un valido accertamento a carico della società divenuto definitivo. Non può considerarsi noto un fatto contenuto in un accertamento dell’ufficio in capo alla società e da ciò risalire al fatto ignoto dell’esistenza della distribuzione di maggiori utili in capo ai soci senza la preventiva verifica dell’avvenuta definitività dell’atto impositivo in capo alla società, per mancata impugnazione o per rigetto delle doglianze del contribuente con sentenza non più impugnabile.

Solo in tale caso, infatti, l’accertamento dei maggiori ricavi non contabilizzati in capo alla società a ristretta base sociale acquista il carattere della certezza (Cass., Sez. V Civile Tributaria, Sentenza 8 ottobre 2010, n. 20870).

 

 

Imputazione temporale

Gli utili delle società di capitali a ristretta base partecipativa o a carattere familiare, si presumono distribuiti nell’esercizio in cui sono realizzati (Cass., Sez. V Civile Tributaria, Sentenza 15 febbraio 2008, n. 3896 ).

Pertanto, ove, si versi dinanzi ad una società di capitali a ristretta base sociale, è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, attesa la mancanza trattandosi di utili occulti di una deliberazione ufficiale di approvazione del bilancio (dopo la quale soltanto può essere effettuata la distribuzione degli utili dichiarati), la distribuzione si presume avvenuta nello stesso periodo d’imposta in cui gli utili sono stati conseguiti (Cass. n. 7564/2003)

Attesa la mancanza, trattandosi di utili occulti, di una deliberazione ufficiale di approvazione del bilancio (dopo la quale soltanto può essere effettuata la distribuzione degli utili dichiarati), la distribuzione si presume avvenuta nello stesso periodo d’imposta in cui gli utili sono stati conseguiti7.

 

 

Onere probatorio

onere probatorio nel processo tributarioNon incombe sull’Ufficio l’onere di dimostrare la distribuzione degli utili extrabilancio in capo ai soci di una società a ristretta base partecipativa, ma spetta a questi ultimi fornire la prova che i maggiori ricavi accertati in capo alla società non sono stati distribuiti, ma sono stati accantonati o reinvestiti.

Sussiste l’inversione dell’onere della prova in capo al contribuente, il quale, se vuole vincere la presunzione di distribuzione degli utili extrabilancio, deve necessariamente dimostrare il loro accantonamento o reinvestimento.

L’Ufficio, insomma, non è tenuto a “individuare le modalità di ricezione e le allocazioni degli utili extracontabili imputati a parte appellante” (CTR Lombardia n. 2797/67/14).

La suddetta presunzione non postula anche e necessariamente che i soci della società accertata siano legati tra loro da rapporti di parentela8, in quanto, secondo le regole di comune esperienza, già dal mero requisito della ristretta base sociale

«discende un elevato grado di compartecipazione dei soci alla gestione della società», che lascia presumere che detti soci siano a conoscenza dell’esistenza di utili extrabilancio e che se li distribuiscano tra loro (Cassazione ordinanza n. 2090 del 5/2/2015)9.

Nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione, ai soci, degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, per essere stati, invece, accantonati dalla società ovvero da essa reinvestiti10. È legittima la presunzione di attribuzione, ai soci, degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzion” (Cass., Sez. V Civile Tributaria, Ordinanza 12/4/2010, n. 8686).

Nel caso di società di capitali a ristretta base sociale, la mera deduzione del profilo per cui l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili non è sufficiente a vincere la presunzione di distribuzione, ai soci, degli eventuali utili extracontabili accertati (Cass., Sez. V Civile Tributaria, Sentenza 8 luglio 2008, n. 18640).

Il socio può dimostrare di non aver mai avuto poteri di controllo, o di effettiva gestione in ambito societario. Lo stesso può cercare di documentare che i propri rapporti con chi realmente gestiva la società non erano tali da rendere possibile la concreta conoscenza dell’esistenza di somme mai documentate nella contabilità societaria, e pertanto, la successiva spartizione delle medesime tra i soci.

A mero titolo esemplificativo tale prova può essere fornita:

  • sporgendo denuncia nei confronti di chi gestisce effettivamente;
  • ponendo in essere l’azione sociale di responsabilità nei confronti di chi amministra;
  • dimostrando che, pur avendo posto in essere ogni iniziativa volta ad acquisire l’effettiva conoscenza degli accadimenti societari, a nulla è valso, a causa di atteggiamenti ostruzionistici da chi gestiva la società.

 

L’attribuibilità ai soci degli utili extrabilancio di società di capitali a ristretta base azionaria discende dal dato oggettivo costituito dallo scarso numero dei soci che si converte nel dato qualitativo della maggiore conoscibilità degli affari societari e nell’onere per il socio di conoscere tali affari; il socio può però fornire la prova dei fatti impeditivi della attribuibilità quali l’aver adottato comportamenti per acquisire la conoscenza che siano risultati vani, o volti a far valere la responsabilità dei gestori della società per le anormalità contabili11.

Secondo un preciso orientamento l’accertamento da ristretta base societaria è illegittimamente eseguito se il socio non è a conoscenza dei fatti contestati alla società poiché l’amministrazione h omesso di allegare all’atto impositivo, sia il processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza in esito alla verifica fiscale posta in essere nei confronti della società, sia il conseguente avviso di accertamento emesso agli effetti Ires e Irap.(CTR di Bari sentenza n. 56 del 06.05.2011)

L’omessa allegazione del p.v.c. o dell’accertamento emesso a carico della società comporta, in punto di fatto, l’impossibilità per il socio interessato, di esercitare compiutamente il diritto di difesa, non essendo il medesimo messo a conoscenza dei motivi che hanno dato corso alla determinazione del maggiore reddito della società12.

 

 

Giudizio sospeso

l'onere della prova nel processo tributarioLa controversia nei confronti di una società a ristretta compagine sociale, comporta, in attesa della definizione del giudizio, la sospensione del processo pendente nei confronti del socio, avente ad oggetto l’accertamento IRPEF per la stessa annualità di imposta (Cass. civ. Sez. VI Ordinanza, 08-02-2012, n. 1865)13.

In caso di rettifica del reddito di una società a base ristretta, il processo sull’accertamento emesso nei confronti del socio può essere sospeso in attesa della definizione di quello relativo alla società; l’accertamento tributario nei confronti di una società a ristretta base societaria costituisce un indispensabile antecedente logico-giuridico dell’accertamento nei confronti dei soci, in virtù dell’unico atto amministrativo di cui entrambe le rettifiche promanano14.

Ne deriva che la contemporanea pendenza del processo sull’avviso di accertamento nei confronti della società e del processo sull’avviso di accertamento nei confronti del socio, impone un coordinamento realizzabile alternativamente attraverso il meccanismo della sospensione del processo sull’avviso di accertamento nei confronti del socio fino alla definizione, con sentenza passata in giudicato, del processo sull’avviso di accertamento nei confronti della società o attraverso il meccanismo della “riunione dei processi” (Corte di Cassazione, Sez VI – T, con la sentenza 16 luglio 2014, n. 16294).

Secondo diverso orientamento, “nella ipotesi di società di capitali non vige il principio di diretta imputazione ai soci del reddito della società, valido per le società di persone ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. Ciò comporta che, esclusa la sussistenza di litisconsorzio necessario in tema di reddito di partecipazione sociale in tale ultima ipotesi, vige il principio di autonomia dei giudizi, per cui in tema di processo tributario, il giudicato in tema di accertamento del reddito nei confronti della società non esplica effetto nei confronti del socio, e viceversa. Ciò comporta che non sussiste alcuna ipotesi di sospensione necessaria del processo ex art. 295 del codice di procedura civile” (Cass., Sez. V Civile Tributaria, Sentenza 3 febbraio 2010, n. 2431).

Maggiore ricchezza distribuibile

Il maggior reddito ripreso a tassazione nei confronti della società, non può integralmente essere attribuito ai soci, stante il fatto che lo stesso, pur rap- presentando un maggior reddito in capo alla società verificata, non sempre rappresenta un maggior utile, una maggiore ricchezza distribuibile. Si deve accertare l’esistenza:

  • di ricavi non contabilizzati, né dichiarati;

  • di costi inesistenti.

 

Quando invece il maggior reddito derivi da riprese a tassazione conseguenti alla mancata inerenza di oneri contabilizzati, ovvero alla diversa imputazione all’esercizio, per ragioni di competenza, di componenti reddituali, ad esso non può corrispondere un maggior utile che si presuma distribuito tra i soci

“L’applicazione del principio della trasparenza, principio attraverso il quale opera una presunzione di distribuzione ai soci di utili non contabilizzati relativi a maggiori ricavi accertati ad una società … a ristretta base sociale, prevede l’accertata esistenza di ricavi non contabilizzati e/o costi inesistenti in capo alla società stessa, uniche ipotesi in cui logicamente è presumibile che i soci abbiano materialmente appreso somme in nero” (C.T.R. del Lazio, Sez. I, Sentenza 29 settembre 2010, n. 574).

 

30 marzo 2015

Ignazio Buscema

 

NOTE

1 La società costituita da cinque soci lavoratori è sufficiente a dimostrare la ristrettabase societaria e quindi la presunzione di distribuzione occulta di utili ai soci (CTR Roma 23-06-2011 n.269 sez. 4).

2 La presunzione di distribuzione di utili ai soci non è sostenibile nei confronti di società caratterizzate da un azionariato diffuso, in presenza di interessi differenziati.

3Affinché, tale presunzione possa operare occorre, pur sempre, la ristretta base sociale e/o familiare, cioè che il fatto noto alla base della presunzione, abbia formato oggetto di specifico accertamento probatorio (si pensi alla società formata da due soci, di cui uno amministratore della società e l’altro coniuge del primo; si pensi alla “base familiare” di una società composta da sei soci, appartenenti a tre di-versi nuclei familiari). “La carenza di qualunque indicazione probatoria da parte dell’ufficio sul punto inficia in radice l’affermata distribuzione di utili ai soci, assorbendo tutte le altre questioni prospettate al riguardo” (Cass., Sez. V Civile Tributaria, Sentenza12 marzo 2009, n. 5932). La ristretta base sociale, essendo una “… regola empirica e non legale, in quanto tale va accertata in concreto, con riferimento a tutti gli elementi dai quali è possibile desumerne la sussistenza secondo l’articolato e contrapposto fraseggio processuale intessuto dalle parti”. Spetta al Fisco fornire la prova della esistenza di un socio occulto il quale è un soggetto che, pur non facendo parte dell’apicale organo societario (assemblea dei soci) detiene un potere economico di ingerenza esercitato tramite un socio apparente o formale per il raggiungimento di scopi, anche leciti (Cass., Sez. V Civile Tributaria, Sentenza 17dicembre 2010, n. 25617). “La regola della presunzione dell’imputazione degli utili extrabilancio ai soci di una società di capitali a ristretta base sociale non limita la sua efficacia all’ipotesi in cui la ristrettezza della compagine sociale si verifichi in un solo grado, quando cioè la società di capitali titolare dell’impresa ha soci in numero limitato, ma estende la sua efficacia anche al grado ulteriore, cioè quando, per effetto della partecipazione alla società di capitali titolare dell’impresa di un’altra società di capitali, che sia a sua volta a ristretta base sociale, la compagine sociale, per così dire, di secondo grado, sia ancora caratterizzata dalla ristrettezza… Per dare applicazione al divieto dell’abuso di diritto tributario nell’utilizzazione, lecita dal punto di vista civilistico, delle forme associate di titolarità dell’impresa a fini elusivi delle imposte sul reddito sugli utili non contabilizzati, lo strumento più idoneo è quello di riconoscere che l’efficacia della presunzione dell’imputazione ai soci si estende a tutti i gradi di organizzazione societaria per i quali si mantenga e si riscontri la ristrettezza della compagine sociale” (Cass., Sez. V Civile Tributaria, Sentenza 10 giugno 2009, n. 13338).

4 In una società di capitali a ristretta base sociale, “i soci sono pochi e , conseguentemente, essi si trovano nella condizione di poter conoscere l’attività della società. Infatti, essere socio di una società di capitali con compagine sociale ristretta significa trovarsi in una situazione oggettiva, che è giuridicamente rilevante perché … lo scarso numero dei soci si converte nel dato qualitativo della maggiore conoscibilità degli affari societari”.

5 Non è affatto scontato che un limitato numero di soci sia indice certo di un vincolo di solidarietà o di complicità tra di essi, così come non è detto che comporti di per sé un controllo reciproco più attento o una maggior conoscenza degli affari societari. Non solo; anche se gli utili extracontabili fossero stati effettivamente distribuiti, non è dato sapere (ma solo presumere) in quali proporzioni ciò sia avvenuto. Non si può considerare il requisito della “ristretta base sociale” come fatto noto a cui ancorare la presunzione di distribuzione fra i soci dei maggiori utili induttivamente accertati ; in tal modo si da luogo a una “concatenazione di presunzioni”: dalla ristretta base sociale, infatti, si presumere l’esistenza di solidarietà e controlli tra i soci da cui, a sua volta, si presumere l’avvenuta distribuzione tra questi ultimi degli utili extrabilancio; il tutto in violazione del principio del divieto di ancorare presunzioni su altre presunzioni che vige nel nostro ordinamento.

6 La presunzione di distribuzione degli utili ai soci della società a ristrettabase sociale opera validamente quando sia accertata, anche se non a titolo definitivo, a carico della società medesima, la sussistenza di ricavi non contabilizzati ed accertata la ristrettabase sociale La ratio di tale convincimento riposa sulla constatazione per cui deve ritenersi presupposto legittimo di presunzione di distribuzione ai soci il fatto che si ritenga acclarata la esistenza di utili extrabilancio; nel caso inverso, vale a dire qualora si procedesse nei confronti del socio solo in seguito alla acquisita definitività dell’avviso di accertamento nei confronti della società, si rischierebbe, da un lato, di frustrare l’attività dell’Amministrazione finanziaria per decadenza dai termini per l’azione di recupero e, dall’altro lato, di accertare maggiori redditi nei confronti della società senza, tuttavia, che abbiano valenza rispetto al socio(. CTP 08-10-2013 n.355 sez. 2 BRINDISI)

7 Nel caso di società a ristrettabase societaria, in sede di accertamento di utili non contabilizzati, relativamente alle imposte sui redditi, si ritiene applicabile la presunzione di attribuzione pro quota ai soci, salva la prova contraria. Tutto ciò corrisponde ad uno schema logico-giuridico, corrispondente all’art. 38 c. 3 del D.P.R. n. 600 del 1973, che fa presumere ragionevolmente che, ove non venga dimostrato che gli utili sono rimasti nel patrimonio della società, essi siano affluiti nella disponibilità dei singoli soci. la riforma fiscale introdotta a partire dal 2004 ha modificato la disciplina della tassazione dei dividendi di fonte domestica percepiti dalle persone fisiche residenti in Italia. Per quanto attiene al regime in tema di dividendi a persone fisiche detentrici di partecipazioni qualificate, gli utili distribuiti concorrono alla formazione del reddito imponibile del socio limitatamente al 40% del loro ammontare (art. 47 TUIR), così come in tema di tassazione della persona fisica esercente attività di impresa, l’art. 59 del TUIR statuisce che i dividendi, relativi a qualsiasi tipo di partecipazione, concorrono a formare il reddito imponibile limitatamente al 40% del loro ammontare percepito.Pertanto, nel caso di specie possa operare la previsione di cui all’art. 47 del D.P.R. n. 917 del 1986 il quale afferma che gli utili distribuiti in qualsiasi forma concorrono alla formazione del reddito imponibile complessivo, limitatamente al 40 per cento del loro ammontare (CTR Roma 26-09-2013 n. 309).

8 In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristrettabase partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla compagine sociale, ovvero da essa reinvestiti. I principi ricordati, ancorché spesso enunciati nell’ambito di controversie in cui i (pochi) soci della società di capitale erano (anche) legati tra loro da rapporti di parentela o di coniugio, non postulano necessariamente l’esistenza di tali rapporti, in quanto discende dalla regola di comune esperienza secondo cui dalla ristrettezza della base sociale discende,- secondo l’id quod plerumque accidit e salva la possibilità del contribuente di offrire la prova contraria, un elevato grado di compartecipazione dei soci alla gestione della società e di reciproco controllo tra i soci medesimi; il che legittima, anche quando i soci non siano legati da rapporti familiari, la presunzione che gli stessi siano edotti degli affari sociali e quindi siano consapevoli dell’esistenza di utili extrabilancio e se li distribuiscano in proporzione delle rispettive quote di partecipazione al capitale (Cass. 05-02-2015 n. 2090).

9 Nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla compagine sociale, ovvero da essa reinvestiti In presenza di società a socio «quasi unico», l’Ufficio può legittimamente applicare il principio giurisprudenziale secondo cui, ai fini delle imposte sui redditi, in caso di accertamento di utili non contabilizzati opera la presunzione di attribuzione pro-quota degli stessi, salva la prova contraria e la dimostrazione che i maggiori oneri sono stati accantonati e reinvestiti Nel caso di società a ristretta base sociale, è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili. Tuttavia, affinché la detta presunzione possa operare, occorre che la ristretta base sociale abbia formato oggetto di specifico accertamento probatorio, sia che sussista una valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi contabilizzati che costituisce presupposto per l’accertamento in capo ai soci relativamente ai dividendi (Corte di Cassazione Sentenza n. 5369 del 07/03/2014)Nel caso di società a ristretta base sociale, è ammissibile la presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati, la quale non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e reciproco controllo dei soci.

10 Affinché operi la presunzione di riparto degli utili extrabilancio tra i soci di una società di capitali, occorre che la ristrettabase sociale e/o familiare (ossia il fatto noto alla base della presunzione) abbia formato oggetto di specifico accertamento probatorio. Inoltre, deve sussistere un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, il quale costituisce il presupposto per l’accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi. In sostanza, la presenza di un ridotto numero di soci oppure di soci legati da vincoli di parentela (che comporta l’esistenza di rapporti particolarmente stretti tra gli stessi, oltreché una maggiore conoscenza degli affari della società) fa scattare la presunzione per cui, in caso di accertamento di utili extracontabili, questi sono imputabili ai soci “presumendosi che, data la natura quasi familiare della società, non potendo il socio ignorare la realizzazione di utili extracontabili da parte della società, lo stesso abbia partecipato alla loro distribuzione; il tutto può essere confutato con valida prova contraria del socio contribuente, in ordine al fatto che i maggiori ricavi accertati a carico della società non siano stati fatti oggetto di distribuzione, per essere stati, invece, accantonati dalla società ovvero da essa reinvestiti” (Cass. 26-11-2014 n. 25115 sez. T).

11 Il provvedimento di accertamento e rettifica del reddito sociale di una società di capitali va notificato solo alla società e non anche ai soci, i quali, in quanto tali, sono privi di legittimazione processuale nel distinto giudizio relativo alla determinazione del reddito sociale. Negli accertamenti fondati sulla presunzione di distribuzione di utili extracontabili:

a) se il reddito accertato nei confronti della società è definitivo, “il giudizio nei confronti del socio, per quanto attiene all’esistenza degli utili extracontabili realizzati dalla società, è pregiudicato dall’esito dell’accertamento effettuato nei confronti della società stessa”;

b) non sussiste litisconsorzio necessario tra soci e società, posto che detto principio è stato contemplato dalla giurisprudenza per il solo caso delle società di persone;

c) al socio non deve, necessariamente, essere allegato l’avviso di accertamento emesso in capo alla società (CTR Roma 30-09-2013 n. 453 sez. 39).

12 La rettifica al socio di una s.r.l. a ristretta base azionaria deve essere annullata se l’Ufficio finanziario ha solo richiamato le risultanze numeriche dell’accertamento riguardante l’ente. Il mero richiamo agli avvisi di accertamento notificati alla società non consente al socio di approntare una difesa adeguata. Lo ha affermato la CTR della Lombardia, con la sentenza n. 82/46/2013 del 21 giugno 2013.

13 Con l’ordinanza n. 176/2014, la Corte Costituzionale ha escluso che ricorra un’ipotesi di litisconsorzio necessario nei rapporti tra il processo relativo agli utili extracontabili accertati nei confronti di una società di capitali a base ristretta, senza obbligo di previo reclamo, e quello relativo al maggior reddito accertato in capo al socio, preceduto da reclamo. La giurisprudenza di legittimità, pur ritenendo necessario il litisconsorzio qualora sia impugnato l’accertamento del reddito delle società di persone ex art. 5 TUIR o del reddito da partecipazione dei soci delle stesse (Cass., SS.UU., 4 giugno 2008, n. 14815), esclude tale soluzione nel caso in cui sia coinvolta una società di capitalia base ristretta: in questa seconda eventualità, poiché l’accertamento nei confronti della società di capitali costituisce un indispensabile antecedente logico-giuridico dell’accertamento nei confronti dei soci in virtù dell’unico atto amministrativo da cui entrambe le rettifiche promanano, il processo relativo al socio deve essere sospesoex art. 295 c.p.c. (Cass., sez. trib., 31 gennaio 2011, n. 2214).

14 L’ art. 295 c.p.c. disciplina l’ipotesi in cui la decisione di una causa tributaria, pendente dinanzi ad un giudice tributario, dipenda dalla risoluzione di un’altra controversia tributaria, pure pendente dinanzi ad un altro giudice tributario (cd. pregiudizialità interna); in altri termini, qualora, dinanzi a differenti giudici tributari, siano pendenti controversie tra loro interdipendenti e non sia possibile procedere alla riunione dei procedimenti non trova applicazione la sospensione su istanza di parte (art. 296 c.p.c.), ma il disposto dell’art. 295 c.p.c.. Quest’ultimo si riferisce ad un rapporto di effettiva consequenzialità tra due emanande statuizioni e, quindi, non ad un mero collegamento tra loro; esso concerne una situazione in cui uno dei due giudizi, oltre ad essere in concreto pendente e a coinvolgere le stessi parti, investa una questione di carattere pregiudiziale, cioè un indispensabile antecedente: la pregiudizialità sussiste solo quando la definizione di una controversia costituisca l’indispensabile antecedente logico-giuridico dell’altra (Cass. Sent. n. 7506/2001). La parte che invochi la sospensione di un giudizio, ex art. 295 c.p.c., ha l’onere di dimostrare la pendenza di un’altra controversia e la sussistenza di un rapporto di dipendenza tra i due giudizi (Cass., sez. V, sent. n. 7506/2001).