Elenco clienti-fornitori ed operazioni oggettivamente inesistenti, fatture false e indagini bancarie

La presenza di anomalie nell’elenco clienti-fornitori può essere uno dei dati da cui desumere l’oggettiva inesistenza delle operazioni fatturate (Giovambattista Palumbo & Fabiola Bigiarini)

Con la sentenza n. 79/06/15, depositata in data 19.01.2015, la CTP di Firenze si è pronunciata in tema di operazioni (oggettivamente) inesistenti, respingendo il ricorso collettivo e cumulativo presentato dalla società e dai soci per impugnare i rispettivi avvisi di accertamento in relazione alle annualità 2006-2010, emessi dall’Ufficio finanziario per il recupero delle maggiori imposte dirette ed Iva conseguenti all’utilizzo di fatture false.

Gli accertamenti prendevano le mosse dalla verifica fiscale effettuata a carico della società emittente le fatture false, da cui emergeva come la stessa avesse operato quale “cartiera” nel periodo temporale compreso tra il 2004 e il 2011 e fosse stata indicata quale fornitore nelle comunicazioni Cli.Fo. inviate da diverse decine di società, tra cui la società ricorrente.

L’Ufficio finanziario volgeva allora l’attenzione sugli utilizzatori della fatture false e invitava la ricorrente a produrre tutta la documentazione contabile ed extracontabile che potesse riguardare i rapporti con la cartiera e le prestazioni ricevute.

La società ottemperava alle richieste producendo, per gli anni oggetto di controllo, la documentazione contabile mentre con riferimento alla documentazione extra contabile, dichiarava di non essere in possesso di alcun documento riguardante le prestazioni ricevute dal fornitore.

Dagli elementi acquisiti emergeva in modo grave, preciso e concordante l’inesistenza oggettiva delle prestazioni fatturate dal fornitore alla, per cui l’Ufficio procedeva al recupero delle imposte evase ai sensi degli articoli 19 del DPR 633/72 e 109 del DPR 917/86.

La società e i soci, con il ricorso presentato in Commissione Tributaria, eccepivano l’illegittimità degli accertamenti per carenza di istruttoria sulla veridicità ed effettività dei rapporti intercorsi con il fornitore e comunque per avere il contribuente assolto all’onere della prova contraria a mezzo dell’unica argomentazione seconco cui le prestazioni di servizi potrebbero essere state fornite dalla società cartiera avvalendosi di manodopera a nero; i ricorrenti contestavano poi all’Ufficio di non aver minimamente preso in considerazione, in fase istruttoria, l’ipotesi dell’inesistenza soggettiva delle prestazioni, nel senso che la società cartiera avesse potuto essere stata utilizzata quale “soggetto interposto” al fine di occultare al Fisco i ricavi conseguiti dall’effettivo esecutore delle prestazioni documentate.

L’Amministraazione finanziaria, per parte sua, confermava la legittimità del proprio operato sia sotto il profilo istruttorio, visto che l’indagine sul fornitore e sui singoli clienti era stata condotta in modo completo e dettagliato e da essa erano emersi una serie di elementi gravi precisi e concordanti a sostegno dell’inesistenza oggettiva delle prestazioni fatturate, sia sotto il profilo probatorio, visto che l’ufficio aveva assolto al proprio onere probatorio, come ripartito tra le parti dalla giurisprudenza di legittimità, fornendo una serie di elementi univoci nel dimostrare (o comunque fondatamente ipotizzare) la fittizietà dei rapporti e delle prestazioni fatturate dalla società cartiera.

La CTP di Firenze, con la citata sentenza n.79/06/15, considerati i principi di diritto espressi dalla Suprema Corte sulla fattispecie di “fatture per operazioni inesistenti” e valutati gli elementi di fatto acquisiti ed esposti dall’Ufficio a seguito della complessa attività di indagine, ha rigettato il ricorso con condanna dei ricorrenti alle spese di giudizio.

Con riferimento alle operazioni inesistenti, del resto, è noto l’orientamento consolidato e univoco della Cassazione, che, anche di recente, confermando i principi già espressi in precedenti sentenze, così si è espressa:

giova richiamare i principi espressi da questa Corte nella sentenza n. 24426/2013, con riguardo, in particolare, al tema delle fatture emesse per operazioni inesistenti, mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno.

Nella sopracitata pronuncia di questa Corte, si è chiarito che, nel caso in cui l’Ufficio ritenga che la fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti, e quindi contesti l’indebita detrazione dell’IVA e/o la deduzione dei costi, lo stesso “ha l’onere di fornire elementi probatori del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata (ad esempio, provando che la società emittente la fattura è una “cartiera”)”, prova che può tuttavia anche consistere in presunzioni semplici, che costituiscono comunque una prova completa, alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento (Cass. n. 9108 del 2012).

Assolto dall’Agenzia tale onere probatorio (anche attraverso elementi presuntivi), “passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate”, non essendo sufficiente la sola “esibizione della fattura”, né “la sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati” (Cass. n. 19766 del 19 settembre 2014).

E la CTP di Firenze, alla luce degli elementi emersi dall’istruttoria dell’ufficio e della mancanza di prova contraria da parte del contribuente, non ha esitato ad affermare che “la società M. ha usufruito di fatture da parte della società C. per operazioni di serivizi inesistenti”.

Secondo la Commissione

l’ufficio ha dimostrato con un solido impianto, il presupposto dell’inesistenza delle operazioni di cui alle fatture contestate, fornendo validi elementi per affermare che le fatture sono state emesse per operazioni fittizie”.

L’ufficio infatti, come già detto, negli avvisi di accertamento descriveva dettagliatamente l’attività di indagine in tutti i suoi passaggi e gli esiti della stessa, con riferimento alla pluralità di elementi “sospetti”, “stranezze” o “anomalie” rilevati.

In particolare l’attività investigativa, svolta sia sul contribuente sia sulla società con cui aveva intrattenuto rapporti “falsi”, aveva fatto emergere una pluralità di elementi significativi e concordanti quali “indizi” di inesistenza oggettiva delle operazioni fatturate dalla “cartiera”, ovvero:

  • mancata istituzione delle scritture contabili;

  • mancata conservazione dei documenti contabili ed extracontabili;

  • completa evasione fiscale e assenza di versamenti di imposte;

  • assenza di una struttura organizzativa e logistica (locali, attrezzature, merci, personale dipendente, ecc.) idonea a rendere le prestazioni fatturate;

  • inverosimiglianza della situazione reddituale come dichiarata dalla società cartiera, i cui due soci (marito e moglie) avrebbero dovuto vivere con il solo reddito (di poco superiore a 17.000 euro) del capofamiglia peraltro con l’aggravio delle rate di un mutuo di 250.000 euro;

  • elementi emersi a seguito dell’accesso presso la sede legale della cartiera e l’abitazione dei soci-coniugi,

  • la totale inadeguatezza dell’unità locale, peraltro facente parte dell’abitazione personale dei soci, all’esercizio di qualsiasi attività di impresa;

  • chiavetta USB con decine di file aventi ad oggetto le fatture emesse dalla cartiera nei confronti di svariati soggetti che il rappresentante legale ha confermato essere fatture per operazioni inesistenti;

  • il rappresentante legale ha dichiarato a verbale di aver iniziato, dal 2004, ad emettere fatture per operazioni inesistenti per far fronte alla situazione debitoria della società

  • controlli incrociati che hanno confermato i dati rinvenuti nella chiavetta USB e negli elenchi Cli.Fo,

  • estrema varietà delle prestazioni fatturate dalla cartiera, spesso di nessuna attinenza con il suo oggetto sociale, genericità della descrizione della prestazione, mancanza delle date e dei luoghi in cui dette prestazioni sarebbero state effettuate nonchè della targa o del telaio del mezzo per l’edilizia noleggiato.

A fronte di siffatti elementi sulla inesistenza della società fornitrice e delle prestazioni da lei fatturate, l’Ufficio aveva rivolto l’attenzione ai “clienti” della società e dall’istruttoria sugli stessi era emerso che decine di società:

  • Si erano rivolte alla cartiera per lo svolgimento di lavori edili senza che questa disponesse dei lavoratori dipendenti in grado di svolgere i lavori;

  • Si erano rivolte alla cartiera per lo svolgimento di lavori che esulavano dal suo oggetto sociale e per i quali non avrebbe avuto né le competenze né i requisiti per la loro effettuazione (vedi collaudo di macchinari, consulenze immobiliari);

  • Si sarebbero rivolte alla cartiera per prestazioni ripetute nel tempo e dagli importi considerevoli tramite contatti telefonici o recandosi presso l’abitazione dei due soci, visto che la società non aveva una sede operativa (nonostante l’ingombro dei mezzi che avrebbe dovuto noleggiare);

  • Si sarebbero rivolte alla cartiera attraverso canali non individuabili visto che la società non è pubblicizzata in nessun modo (pagine gialle, internet, manifesti….);

  • Avrebbero avuto sistematici rapporti con la cartiera (pagando importi considerevoli per le prestazioni da quest’ultima svolte) in assenza di qualsiasi contratto o accordo scritto che identificasse gli elementi costitutivi del rapporto.

  • Non sempre i clienti avevano documentato la corresponsione al fornitore degli importi fatturati; altre volte avevano mostrato la contabilità da cui si desume l’uscita di somme ma non in modo certo il destinatario delle stesse.

L’ufficio aveva effettuato anche le indagini bancarie con riferimento ai conti della società cartiera nonché dei due soci da cui era emerso che:

  • non tutti gli importi fatturati negli anni 2006-2011 (circa 7 milioni di euro) risultavano versati nei conti corrente della società e dei soci; a conferma del fatto che non sempre all’emissione delle fatture aveva fatto seguito l’integrale corresponsione delle somme da parte del destinatario;

  • la società non aveva conti corrente a lei intestati fino al 2008, quando ne aveva poi aperti 3; i due soci avevano movimentato circa 10 conti ciascuno che, fino all’apertura dei conti societari nel 2008 e come avviene per questi una volta aperti, rispondevano ad una logica comune: a seguito dell’accredito di qualsiasi somma a mezzo bonifico o assegno, si avevano poi prelievi (in contanti e talvolta con assegno circolare) fino a raggiungimento della stessa somma (restituzione ai clienti di quanto pagato, secondo il classico schema delle false fatturazioni); in pratica tra il 2008 e il 2011 nei tre conti della società entrava ed usciva la stessa somma, poco inferiore a 3 milioni di euro.

Dall’attività istruttoria dell’Ufficio, puntuale e minuziosa, era dunque emerso un quadro indiziario grave, preciso e concordante sull’inesistenza oggettiva delle operazioni fatturate dalla cartiera (anche) alla società ricorrente.

La totalità degli elementi raccolti dall’Ufficio e dettagliatamente esposti negli accertamenti (e prima nel PVC) configuravano, come riconosciuto dalla CTP, un solido impianto probatorio assolutamente idoneo, sia in fatto che in diritto, ad avvalorare l’inesistenza delle prestazioni fatturate dal fornitore.

Alla luce di tali inequivoci elementi di fatto, la decisione della CTP di Firenze, facendo corretta applicazione dei principi di diritto enunciati dalla Corte di Cassazione, ha ritenuto legittimi e fondati gli avvisi di accertamento impugnati dal contribuente, rilevando come quest’ultimo “non abbia dato prova della effettività dei servizi fatturati dalla cartiera”.

In tema di fatture per operazioni inesistenti, la giurisprudenza ha del resto in più occasioni delineato il sistema di ripartizione dell’onere probatorio gravante sulle parti in giudizio.

In particolare, l’onere di fornire la prova che l’operazione rappresentata dalla fattura non è stata mai posta in essere incombe all’Amministrazione Finanziaria che adduce la falsità del documento. Tale onere può essere adempiuto, ai sensi dell’art. 39, comma 1, del DPR n. 600/1973 e dell’art. 54, comma 2, del D.P.R. 633/1972, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti (Cass. 18 gennaio 2008, n. 1023; 28 aprile 2010, n. 10157 e n. 7650 del 02.04.2014:

“…in ipotesi di fatture che l’Ufficio ritenga relative ad operazioni oggettivamente, o anche solo soggettivamente, inesistenti, o che ancorchè effettivamente poste in essere si iscrivono in combinazioni negoziali fraudolente ai danni del fisco, l’Amministrazione stessa ha l’onere di provare che l’operazione commerciale oggetto della fattura non è stata posta in essere, o non lo è stata tra i soggetti che figurano nella fattura, o che tale documento sottende un’operazione fraudolenta cui il cessionario sia partecipe.

E non può revocarsi in dubbio che tale prova possa essere fornita anche mediante presunzioni, come espressamente prevede, per l’IVA, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, (analoga previsione è contenuta, per le imposte dirette, nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 39, comma 1, lett. d)) (cfr. Cass. 21953/07, che fa riferimento alla possibilità che l’amministrazione produca elementi anche indiziari, a sostegno della pretesa fiscale azionata; Cass. 9108/12; 15741/12, in motivazione; 23560/12; 27718/13; nello stesso senso C. Giust. 6.7.06, C 439/04, C. Giust., 21.2.06, C 255/02; C. Giust. 21.6.12, C 80/11; C. Giust. 6.12.12, C 285/11; C. Giust. 31.1.13, C 642/11)”.

Grava invece sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, senza che sia sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili, perché proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo (Cass., 8211/2011; Cass. 16 gennaio 2009, n. 951). La “buona fede” e la correttezza formale della contabilità non possono “costituire un comodo alibi per giustificare una violazione delle leggi fiscali” (Cass., sent. n. 2847/2008).

Laddove quindi l’Ufficio, come nel caso di specie, fornisca validi elementi per ritenere che fatture siano state emesse per operazioni (oggettivamente o soggettivamente) inesistenti, ha assolto al proprio onere probatorio mentre “è onere del contribuente dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni. Più specificamente, qualora l’Amministrazione contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, e fornisca attendibili riscontri indiziari sulla inesistenza delle operazioni fatturate, è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indebiti” (Cass. Sent. n. 17377 del 24 luglio 2009; in senso conforme Cass. Sent. n. 21318 del 15 ottobre 2010).

E vale la pena ricordare che l’onere della prova a carico del contribuente non può considerarsi assolto con argomentazioni generiche, prive di supporto documentale e smentite dai dati di fatto già emersi nella fase di indagine, così, come la prova richiesta non può essere costituita né dalle fatture né dalla esibizione dei mezzi di pagamento (non è sufficiente a tal fine “la regolarità della documentazione contabile esibita e la mera dimostrazione che la merce sia stata effettivamente consegnata o che sia stato effettivamente versato il corrispettivo” (Cass., 8829/2012).

A tal proposito, come visto, il giudice fiorentino ha riconosciuto la fondatezza e rilevanza del quadro probatorio fornito dall’ufficio e ha posto l’accento sulle dichiarazioni confessorie del rappresentante legale della cartiera riguardo all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, rilevando come le prestazioni fornite dalla cartiera fossero

“generiche nel descrivere la prestazione eseguita”,

“prive di data e dei luoghi in cui dette prestazioni sarebbero state effettuate “,

“prive dell’indicazione della targa o del telaio del mezzo per l’edilizia noleggiato”

e non avessero

“nessuna attinenza con il suo oggetto sociale”

ed ha evidenziato che la cartiera

“ha svolto interventi edili senza che disponesse dei lavoratori dipendenti in grado di svolgere tali lavori”.

Anche con riferimento alle indagini bancarie, i Giudici hanno affermato che “dimostrano chiaramente che alle prestazioni supposte fornite facevano seguito accrediti sui c/c della ricorrente e dopo brevissimo tempo seguivano prelievi di pari importo, che hanno fatto presumere fondatamente che tali prelievi servissero per restituire quanto in precedenza accreditato con i bonifici bancari”.

Riguardo, poi, alle richieste documentali formulate dall’ufficio alla ricorrente, la CTP ha rilevato come

“tale circostanza (ovvero il fatto che la ricorrente non possedesse nessun documento extracontabile relativo alle prestazioni ricevute dalla cartiera, ndr) è quantomeno sospetta in quanto appare poco plausibile che non esista nessun documento che possa regolarizzare i rapporti commerciali tra due aziende”.

La CTP ha infine ritenuto opportuno volgere lo sguardo anche al processo penale, segnalando che

“il PM ha contestato a tutti gli utilizzatori – compresa la ricorrente – l’indicazione in dichiarazione di elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture inesistenti emesse dalla cartiera. A tal proposito è stato rinviato a giudizio il rappresentante legale della società ricorrente. Insomma è lo stesso PM che…tratta le operazioni in contestazione come oggettivamente inesistenti”.

Di contro, la CTP ha rilevato “l’inconsistenza delle argomentazioni portate dalla ricorrente a sostegno della propria linea difensiva”, tra cui quella dell’utilizzo di manodopera a nero da parte della cartiera.

La ricorrente infatti, nel tentativo estremo di dimostrare l’effettività delle operazioni, non solo attribuiva, in modo del tutto indimostrato, alla cartiera, priva di personale dipendente, l’utilizzo di manodopera a nero, ma, senza alcun supporto giuridico né giurisprudenziale, credeva che questo bastasse a ritenere assolto l’onere della prova sull’esistenza e veridicità delle operazioni fatturate dal fornitore.

Al contrario, una circostanza indimostrata e indimostrabile come quella relativa all’utilizzo di lavoratori irregolari non poteva certo avere l’efficacia probatoria ipotizzata da controparte, con la conseguenza che l’impianto indiziario grave preciso e concordante posto a base dell’inesistenza oggettiva delle prestazioni restava immutato e non ancora contraddetto o smentito.

5 marzo 2015

Giovambattista Palumbo

Fabiola Bigiarini