La cessione di immobili alla moglie, poco prima della notifica della cartella, può essere un reato

dopo che è partita la procedura di iscrizione a ruolo, la vendita fittizia di beni di proprietà del contribuente debitore fiscale configura il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte

Con la sentenza n. 5918 del 10 febbraio 2015 (ud. 9 luglio 2014) la Corte di Cassazione Penale, Sez. III, ha ritenuto che commette il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di cui all’art. 11, del D.Lgs.n.74/2000, il contribuente che, nell’imminenza della notifica della cartella, cede degli immobili alla moglie, con lo scopo di sottrarli alle azioni esecutive.

Il fatto

L’indagato, nell’imminenza della notificazione di una cartella esattoriale, aveva simulatamente alienato alla consorte due beni immobili di rilevante valore al fine di sottrarli all’azione esecutiva del fisco. In particolare, il Tribunale aveva ritenuto indice della fittizietà dell’alienazione il fatto che gli immobili in questione fossero rimasti nella disponibilità del ricorrente.

I motivi di ricorso in cassazione

Il contribuente, davanti la Corte di Cassazione, lamenta:

  • la violazione dell’art. 11, del D.Lgs. n. 74 del 2000, perchè non era stata superata la soglia di punibilità fissata dal legislatore in 50.000,00 Euro di imposte da pagare;

  • la violazione dell’art. 76, del D.P.R. n. 602 del 1973, in quanto gli atti di alienazione erano stati posti in essere prima della notificazione della cartella esattoriale, primo atto del procedimento di riscossione delle imposte;

  • la violazione dell’art. 52, lett. g, del D.L. n. 69 del 2013, convertito con L. n. 98 del 2013, il quale vieta la esecuzione tramite espropriazione dell’unico immobile adibito a residenza anagrafica del debitore.

La sentenza

La Corte rigetta sostanzialmente tutti i motivi di ricorso addotti, affermando che:

  • nel caso di specie, l’imputazione provvisoria contestata al contribuente si riferisce ad un debito tributario pari a 137.263,93 Euro, quindi ammontante a ben più del doppio della soglia di punibilità prevista dalla norma. Precisa la Corte che, “poco importa, infatti, che la cartella esattoriale, nella imminenza della cui notificazione l’indagato ha provveduto a cedere alla moglie parte dei propri beni immobili, avesse un importo di poco più di 13.000,00 Euro, dovendo computarsi ai fini della integrazione del reat l’intero carico tributario dovuto dal ricorrente”;

  • anche a voler seguire il ragionamento dell’indagato, secondo il quale il reato di realizzerebbe solamente laddove la apparente e fraudolenta dispersione della garanzia patrimoniale sia intervenuta successivamente all’inizio della attività di riscossione da parte del concessionario, come rileva lo stesso ricorrente, la cessione immobiliare alla moglie del A. è intervenuta 2 giorni prima della notificazione nei suoi confronti di una cartella di pagamento, mentre l’attività volta alla riscossione del tributo già era iniziata precedentemente con la iscrizione a ruolo della imposta non versata, essendo questo il primo atto della procedura di riscossione”;

  • con riferimento alla presunta violazione del D.L. n. 69 del 2013, art. 52, lett. g), convertito con L. n. 98 del 2013, va rilevato – prima ancora di ogni altra valutazione che esamini l’oggetto del bene sequestrato (si tratta infatti di un’autorimessa e non una casa d’abitazione) – che la disposizione richiamata riguarda la pignorabilità civile dei beni e non la loro assoggettabilità a sequestro preventivo strumentale alla confisca per equivalente, che è misura a contenuto lato sensu sanzionatorio avente le caratteristiche della misura di sicurezza patrimoniale conseguente alla avvenuta condanna in sede penale”.

Brevi riflessioni

Come è noto, il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, disciplinato dall’art. 11 del D.Lgs. n. 74 del 2000, prevede che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da 6 mesi a 4 anni colui il quale, al fine di sottrarsi al pagamento delle II.DD. o dell’IVA ovvero di interessi o sanzioni relative a dette imposte, di ammontare complessivo superiore a € 51.645, alieni simulatamente o compia altri atti fraudolenti sui propri o altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione.

Il D.L. n. 78 del 31 maggio 2010, conv. con modif. dalla L. n. 122 del 29.7.2010, ha così modificato la norma: “è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni”.

Inoltre, nell’art. 11 del D.Lgs.n.74/2000, viene aggiunto un secondo comma, che punisce, “con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di ottenere per sé o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila. Se l’ammontare di cui al periodo precedente e superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni”.

Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte può essere considerato lo strumento artificioso realizzato dal contribuente, volto a sottrarre, in tutto o in parte, le garanzie patrimoniali alla riscossione coattiva del debito tributario, che assume, di volta in volta, forme diverse (operazioni straordinarie, scissioni simulate, cessioni di rami aziendali, alienazioni… solo in apparenza reali).

Il reato si perfeziona con “la semplice idoneità della condotta a rendere inefficace la procedura di riscossione, e non anche l’effettiva verificazione dell’evento” (circolare n. 154/E del 4 agosto 2000 – punto 3.4.).

Il delitto contempla, quindi, una condotta esclusivamente commissiva, consistente nell’alienazione simulata di beni del proprio patrimonio o il compimento di altri atti fraudolenti sui beni propri o altrui preordinati al fine di pregiudicare l’efficacia della riscossione coattiva.

Sul versante giurisprudenziale ricordiamo alcuni casi similari.

  • Con la sentenza n. 35310 del 29 settembre 2011 (ud. del 7 giugno 2011) la Corte di Cassazione ha affermato che integra il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte la prossimità temporale tra la consapevolezza dei debiti fiscali e la stipula di atti di cessione volti a sottrarre i beni del contribuente alle pretese dell’erario nonché il permanere nella materiale disponibilità degli immobili tramite lo strumento della locazione finanziaria. La Corte rileva che “come affermato dal tribunale, ad un iniziale orientamento contrario è seguita una serie di pronunce conformi nel ritenere che non è necessario che sussista una procedura di riscossione in atto, considerato che nella previsione vigente il riferimento a tale procedura appartiene al momento intenzionale e non alla struttura del fatto e non vi è alcun riferimento alle condizioni previste precedentemente dal D.P.R n. 602 del 1973, art. 97, comma 6, come modificato dalla L. n. 413 del 1991,art. 15, comma 4, (ovvero alla avvenuta effettuazione di accessi, ispezioni o verifiche, o alla preventiva notificazione, all’autore della condotta fraudolenta, di inviti, richieste o atti di accertamento). Pertanto, ai fini del perfezionamento del reato in questione è richiesto soltanto che l’atto simulato di alienazione o gli altri atti fraudolenti sui beni siano idonei ad impedire il soddisfacimento totale o parziale del fisco (Sez. 3, n. cass. n. 17071/2006 Rv. 234322; Sez. 5, cass. n. 7916/2007 Rv. 236053; Sez. 3, cass. n. 14720/2008 Rv. 239970). Nè vale citare, come fa il ricorrente, la sentenza n. 36838 del 2009 di questa Sezione non ponendosi affatto ritenere la stessa in difformità rispetto all’indirizzo più recente non affrontando la questione specifica ma limitandosi, rispetto al caso sottoposto all’esame, ad individuare la parte onerata a provare la legittimità dell’attività posta in essere a fronte dell’accertamento che aveva portato ad ipotizzare il reato de quo”. Né può riconoscersi, pertanto, alcuna decisività alla circostanza che entrambi gli atti di cessione (30 aprile 2009 l’atto di CCA Sas e 7 agosto 2009 l’atto di M.S. srl) sono precedenti alla conoscenza degli avvisi di accertamento notificati alle due società nell’ottobre del 2009. Inoltre, appare correttamente valutata la sussistenza del fumus della condotta di sottrazione fraudolenta da parte del tribunale. “Quest’ultimo ha correttamente e logicamente motivato facendo riferimento in particolare alla assoluta prossimità temporale tra la consapevolezza, da parte delle società alienanti, dei debiti fiscali su di esse gravanti e la stipula dell’atto di cessione, diretto evidentemente a sottrarre i beni alle pretese dell’erario; alla permanenza, in capo al M.M., della materiale disponibilità degli immobili, ottenuta grazie allo strumento della locazione finanziaria in favore della ‘NIA s.r.l.’, amministrata dall’indagato impugnante; all’incasso, da parte del M. stesso, della gran parte degli assegni versati alla ‘MS’ S.r.l. quale corrispettivo della prima delle due vendite. In tal modo sono stati evidentemente implicitamente disattesi i rilievi difensivi sulla effettività dei due negozi ed è evidentemente alla fase di merito che sono stati rimandati più approfonditi accertamenti dovendosi in questa sede valutare semplicemente la sussistenza del fumus”.

  • Con la sentenza n. 36290 del 6 ottobre 2011 (ud. del 18 maggio 2011) la Corte di Cassazione ha ribadito, “comunque, l’orientamento ormai consolidato di questa Corte secondo il quale, la fattispecie di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, è diversa rispetto all’omologa fattispecie, oggi abrogata, di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 97, comma 6, (come modificato dalla L. n. 413 del 1991, art. 15, comma 4), in quanto – a fronte della identità sia dell’elemento soggettivo costituito dal fine di evasione ed integrante il dolo specifico, che della condotta materiale rappresentata dall’attività fraudolenta – la nuova fattispecie, da un lato, non richiede che l’amministrazione tributaria abbia già compiuto un’attività di verifica, accertamento o iscrizione a ruolo e, dall’altro, non richiede l’evento che, nella previgente previsione, era essenziale ai fini della configurabilità del reato, ossia la sussistenza di una procedura di riscossione in atto e la effettiva vanificazione della riscossione tributaria coattiva”. La fattispecie delittuosa, nell’attuale formulazione, costituisce reato “di pericolo” e non più “di danno” e l’esecuzione esattoriale, quindi, “non configura un presupposto della condotta illecita, ma è prevista solo come evenienza futura che la condotta tende (e deve essere idonea) a neutralizzare. Ai fini della perfezione del delitto, pertanto, è sufficiente la semplice idoneità della condotta a rendere inefficace (anche parzialmente) la procedura di riscossione – idoneità da apprezzare con giudizio ex ante – e non anche l’effettiva verificazione di tale evento (vedi Cass.: Sez. 3′, 9.4.2008, n. 14720; Sez. 5′, 26.2.2007, n. 7916 e Sez. n. 18.5.2006, n. 17071)”. Per la Corte, il provvedimento del Tribunale del riesame appare immune anche dalle censure riferite in ricorso all’impossibilità di configurare la realizzazione di un “profitto“. L’interesse oggetto di tutela diretta da parte della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 11, del D.Lgs. n. 74 del 2000, “non è il diritto di credito del fisco: infatti, pur costituendo questo il fine ultimo perseguito dal legislatore, la sua lesione non costituisce elemento necessario della fattispecie, potendo configurarsi il reato anche qualora, in concreto, dopo il compimento degli atti fraudolenti richiesti dalla norma, avvenga il pagamento dell’imposta e dei relativi accessori”.

  • E’ reato di sottrazione fraudolenta, ex art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000, simulare l’alienazione di un immobile, dopo aver ricevuto la notifica di una cartella di pagamento, senza che influisca la circostanza che la finta vendita sia stata effettuata per agevolare il simulato acquirente per ottenere un finanziamento da parte di una banca. E’ questo il principio affermato dalla Cassazione, nella sentenza n. 28567 del 17 luglio 2012 (un contribuente, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte erariali iscritte a ruolo, scadute e non pagate, aveva alienato simulatamente a un terzo la proprietà di un suo immobile. A sua difesa il contribuente attribuiva la vendita a mero titolo di amicizia, per consentire di ottenere un finanziamento bancario, forte della garanzie immobiliari). Per la Cassazione le censure del contribuente “… si esauriscono nella prospettazione di una ricostruzione alternativa delle ragioni che avrebbero giustificato la simulata alienazione dell’appartamento, ritenuta del tutto inattendibile dai giudici di merito con motivazione esaustiva ed immune da vizi logici” e “nella mera prospettazione della diversa causale che avrebbe giustificato la simulata alienazione, con la conseguente richiesta di un accertamento di merito sul punto, inammissibile in sede di legittimità”. In ogni caso, in sede di merito, il contribuente non ha provato che l’immobile alienato sia stato utilizzato a scopo di garanzia da parte dell’amico. Resta fermo, per la Cassazione, “… che, ai fini del perfezionamento del reato, non è richiesta la sussistenza di una procedura di riscossione in atto, trattandosi di reato di pericolo…”.

4 marzo 2015

Gianfranco Antico