Non bastano due vendite sottocosto a giustificare un accertamento induttivo ad un contribuente

è legittimo che l’amministrazione finanziaria possa accertare un maggior reddito di impresa ma non può utilizzare lo strumento dell’accertamento induttivo per la sola presenza di due vendite giudicate antieconomiche

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2778 del 12 febbraio 2015, ha affermato che l’amministrazione finanziaria può ricorrere al metodo induttivo in caso di accertamento dei redditi d’impresa nei confronti di una società di capitali, ma non può ricorrere allo strumento del metodo induttivo in presenza di due sole vendite antieconomiche.

Il contenzioso fiscale

La vicenda coinvolge una società a responsabilità limitata e l’Agenzia delle Entrate.

La SRL ha chiesto la cassazione della sentenza del 2012 , pronunziata dalla CTR, con cui detta Commissione ha determinato i maggiori ricavi della società, demandando all’Ufficio per la contabilizzazione delle imposte in concreto dovute dalla società e dai soci, relativamente ad IVA, IRAP ed IRPEF per l’anno 2005.

Il ricorso si basa sul presupposto che l’Agenzia delle Entrate aveva sanzionato una società immobiliare che aveva venduto due appartamenti a prezzi inferiori a quelli di mercato. L’Ufficio contestando la condotta antieconomica aveva disposto con il metodo induttivo il recupero a tassazione delle imposte non versate.

L’accertamento induttivo

La finalità dell’accertamento è quello di rettificare il reddito complessivo del contribuente e viene svolto con modalità diverse che tengono conto della tipologia di contribuenti e delle metodologie adottate per determinare il reddito o il volume d’affari.

Ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi e dell’IVA, vengono utilizzati diversi metodi per la determinazione della base imponibile per i soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili; brevemente si ricordano:

a) metodo analitico o contabile, previsto dalle lett. a), b), e c) del primo comma dell’art. 39, del D.P.R. n. 600/1973 e dal primo comma dell’art. 54 del D.P.R. n. 633/1972; tale accertamento si basa esclusivamente sulla contabilità ufficiale del contribuente, ovvero su errori sostanziali nell’applicazione delle disposizioni tributarie;

b) metodo analitico-induttivo, previsto dal primo comma, lett. d), dell’art. 39 del D.P.R. n. 600/1973 e dal secondo comma dell’art. 54 del D.P.R. n. 633/1972, in presenza di determinate condizioni come l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione sulla base di documenti o notizie raccolte dall’Amministrazione finanziaria;

c) metodo induttivo, previsto nel secondo comma, lett. a), c), d), e d-bis), degli artt. 39 e 41 del D.P.R. n. 600/1973, nonché ai commi primo e secondo dell’art. 55, del D.P.R. n. 633/1972, in presenza di:

– omessa presentazione della dichiarazione dei redditi o dell’IVA;

– presentazione di dichiarazione dei redditi nulla;

– omessa dichiarazione del reddito d’impresa;

– omessa tenuta, sottrazione all’ispezione di una o più delle scritture contabili obbligatorie, risultante dal verbale di ispezione;

– mancata emissione di fatture per una parte rilevante delle operazioni risultate dal verbale di ispezione, ovvero di omessa conservazione, rifiuto di esibizione o sottrazione all’ispezione, in tutto o in parte rilevante, delle fatture emesse, risultanti dal verbale di ispezione;

– omissioni, false o inesatte indicazioni, ovvero di irregolarità formali gravi, numerose e ripetute tali da rendere inattendibile la contabilità nel suo complesso per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica;

– omessa risposta agli inviti dei verificatori, ai sensi degli artt. 32, primo comma, nn. 3) e 4), del D.P.R. n. 600/1973 o 51, secondo comma, nn. 3) e 4), del D.P.R. n. 633/1972.

Si evidenzia che, per i soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili, ai fini della ricostruzione della base imponibile, l’ordinamento tributario tende a privilegiare la valenza probatoria delle scritture contabili obbligatorie tenute regolarmente.

Ai fini dell’IVA, ai sensi dell’art. 54, del D.P.R. n. 633/1972, l’infedeltà della dichiarazione, se non emerge direttamente dal suo contenuto o dal confronto con gli elementi di calcolo delle liquidazioni dell’IVA e con le precedenti dichiarazioni annuali, deve essere accertata mediante il confronto tra gli elementi indicati nella dichiarazione e quelli annotati nei registri e mediante il controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni sulla scorta delle fatture e altri documenti, delle risultanze di altre scritture contabili e degli altri dati e notizie.

L’analisi della Cassazione

I giudici di legittimità osservano che le questioni poste dal ricorso, sembra possano esaminarsi e decidere, tenendo conto di principi, espressione di pregresse pronunce della Cassazione. E’ stato in precedenza affermato che “Il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale non è suscettibile di dar luogo a vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, potendo profilarsi, invece, al riguardo, un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 cod. proc. civ. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data da detto giudice alla problematica prospettata dalla parte”.

E’ stato, pure, precisato, in fattispecie simile, che “Non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo” .

D’altronde, per consolidato orientamento giurisprudenziale, in tema di accertamento delle imposte dirette, l’utilizzazione del metodo induttivo da parte dell’amministrazione finanziaria, ex art. 39 del DPR 29 settembre 1973 n. 600 e 54 del DPR n. 633/1972, trova giustificazione ogni qualvolta le irregolarità riscontrate nella tenuta della contabilità rendano inattendibile la documentazione fiscale e, quindi, gli elementi indicati nella dichiarazione.

Nel caso, gli elementi fattuali rilevati e contestati, quali irregolarità contabili con omessa contabilizzazione di ricavi, sostanziale difformità tra il valore degli immobili indicato nei rogiti e quello reale nonché rilevanti differenze del valore indicato negli atti per immobili simili, antieconomicità di talune vendite, importo di mutui per importi superiori a quelli risultanti dai rogiti, determinando l’inattendibilità della contabilità nel suo complesso e rendendo legittimo il ricorso al metodo induttivo, consentivano di desumere l’esistenza di ricavi non dichiarati, anche sulla base di semplici presunzioni ed oneravano il contribuente della prova liberatoria.

La Cassazione osserva che la CTR, per giustificare l’accertamento dei maggiori ricavi, ha individuato indizi gravi, precisi e concordanti, nella “vendita di immobili sostanzialmente simili a prezzi differenti”, nella “accensione di mutui per importi superiori a quelli di acquisto”, nonché nella “antieconomicità di alcune cessioni per prezzi di poco superiore al totale dei costi di realizzazione sostenuti”.

Considerato, altresì, che la ricorrente con la memoria difensiva ex art. 378 cpc, esplicativa del secondo mezzo, ha evidenziato che, alla stregua della documentazione versata in atti ed espressamente richiamata, erano insussistenti i presunti indizi, stante che non erano state prese in esame le circostanze, decisive per indurre a diverse conclusioni, che solo due compravendite, su dieci esaminate, erano state stipulate a prezzi diversi e che ciò trovava peculiare giustificazione nelle relative modalità ed altresì che, su dieci rogiti, solo un contratto di mutuo era stato stipulato per un valore superiore al prezzo di compravendita dell’immobile.

Alcuni precedenti orientamenti

Va osservato che, con la sentenza 30 dicembre 2009, n. 28047, i giudici di legittimità hanno vagliato la richiesta di una S.R.L. di considerare illegittimo l’accertamento induttivo fondato sull’unico elemento dell’incremento delle spese di personale dipendente; in particolare i giudici della Cassazione hanno osservato che, rientrando il caso devoluto alla loro cognizione tra le ipotesi normativamente previste dell’accertamento induttivo (omessa presentazione della dichiarazione IVA) l’Amministrazione finanziaria può procedere all’accertamento dell’imposta dovuta, indipendentemente dalla preventiva ispezione contabile, determinando induttivamente l’imponibile complessivo e le aliquote sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolte, ai sensi dell’art. 55, del D.P.R. n. 633/1972. Secondo i giudici della Cassazione «(…) in simile ipotesi, l’accertamento può essere validamente fondato anche sull’unico rilievo dell’aumentato impiego di dipendenti, trovato congruo con giudizio non censurato per ipotetici vizi della motivazione dal giudice tributario di merito, in quanto rispondente a comune esperienza che, in una impresa commerciale, all’impiego di nuova mano d’opera corrisponda una maggiore espansione dell’impresa e quindi un maggior volume di affari ed un maggior profitto dell’imprenditore».

Ad analoghe conclusioni è pervenuta la Corte di Cassazione anche in materia di imposizione diretta con la sent. n. 16379/2008, nella quale ha stabilito che, in caso di mancata presentazione della dichiarazione dei redditi da parte di una società, è legittimo l’accertamento (ILOR) fondato sull’ammontare delle rimanenze finali risultanti dalla contabilità del precedente periodo d’imposta. Tale pronuncia ha consolidato in materia l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in base al quale, nell’ipotesi di omessa dichiarazione da parte del contribuente, la legge abilita l’Ufficio a servirsi di qualsiasi elemento probatorio ai fini dell’accertamento del reddito e, quindi, a determinarlo anche con metodo induttivo, non escludendo l’utilizzazione, in deroga alla regola generale, di presunzioni semplici prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza (art. 39, secondo comma, del D.P.R. n. 600/1973).

Le conclusioni

I giudici di legittimità, osservano che le presunzioni utilizzate dalla CTR risultano incongrue ed inidonee a giustificare la decisione e non danno contezza del percorso decisionale, stante la circostanza che lo scostamento riguardava solo uno o due casi su dieci e quindi che in otto o nove casi su dieci vi era coerenza con i dati dichiarati; tale circostanza, per i giudici di legittimità se presa in esame, avrebbe, logicamente, potuto indurre a diversa decisione , rispetto a quella indicata dalla CTR .

La Corte di Cassazione, pertanto, accoglie il ricorso e designa ad un altra sezione della CTR che procederà al riesame e, adeguandosi ai richiamati principi, deciderà nel merito ed anche sulle spese del giudizio di legittimità, offrendo congrua motivazione.

21 febbraio 2015

Federico Gavioli