Cessione d’azienda e contestuale cancellazione della società: è un possibile reato se si omette di pagare le imposte?

si commette reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte se, in un caso di un complesso intreccio societario facente capo ad un unico soggetto, dopo la cessione di un’azienda la stessa si è trasferita la sede in luogo inesistente e, successivamente, si è cancellata la società

La Corte di Cassazione, con la sentenza 20 novembre 2014, n. 48424, è ritornata ad affrontare la problematica relativa al reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, ex art. 11, del D.Lgs. n. 74/2000, per un caso di un complesso intreccio societario, facenti capo ad un unico soggetto, dove dopo la cessione d’azienda la stessa si è trasferita in luogo inesistente, e successivamente cancellata.

Il carattere fraudolento della prima cessione e la consapevolezza dell’esistenza delle obbligazioni tributarie gravanti costituiscono i punti di forza delle motivazioni del Tribunale.

In estrema sintesi, la Corte di Cassazione, conferma che:

  • ai fini della configurabilità del reato, occorre avere riguardo alla situazione esistente al momento della effettuazione dell’atto di alienazione o fraudolento (Sez. 3, n. 5824 del 18/12/2007 – dep. 06/02/2008, Soldera, Rv. 238821, in motivazione)”;

  • ai fini della configurabilità dell’art. 11 d. Igs. n. 74 del 2000 rileva qualunque atto idoneo ad ostacolare il soddisfacimento di un’obbligazione tributaria (Sez. 3, n. 5824 del 18/12/2007 cit., che ha attribuito rilievo alla costituzione di un fondo patrimoniale; nello stesso senso, v. Sez. 3, n. 23986 del 05/05/2011, Pascone, Rv. 250646)”.

Brevi riflessioni

Come è noto, il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, disciplinato dall’art. 11 del D.Lgs. n. 74 del 2000, prevede che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da 6 mesi a 4 anni colui il quale, al fine di sottrarsi al pagamento delle II.DD. o dell’IVA ovvero di interessi o sanzioni relative a dette imposte, di ammontare complessivo superiore a € 51.645, alieni simulatamente o compia altri atti fraudolenti sui propri o altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione.

Il D.L. n. 78 del 31 maggio 2010, conv. con modif. dalla L. n. 122 del 29.7.2010, ha così modificato la norma: “è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni”.

Inoltre, nell’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000, viene aggiunto un secondo comma, che punisce, “con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di ottenere per sé o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila. Se l’ammontare di cui al periodo precedente e superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni”.

Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte può essere considerato lo strumento artificioso realizzato dal contribuente, volto a sottrarre, in tutto o in parte, le garanzie patrimoniali alla riscossione coattiva del debito tributario, che assume, di volta in volta, forme diverse (operazioni straordinarie, scissioni simulate, cessioni di rami aziendali, alienazioni…, solo in apparenza reali).

Il reato si perfeziona con “la semplice idoneità della condotta a rendere inefficace la procedura di riscossione, e non anche l’effettiva verificazione dell’evento” (circolare n. 154/E del 4 agosto 2000 – punto 3.4.).

Il delitto contempla, quindi, una condotta esclusivamente commissiva, consistente nell’alienazione simulata di beni del proprio patrimonio o il compimento di altri atti fraudolenti sui beni propri o altrui preordinati al fine di pregiudicare l’efficacia della riscossione coattiva.

Sul versante giurisprudenziale, e nello specifico degli artifici societari, rileviamo altre sentenze.

  • La sentenza n. 19595 del 18 maggio 2011 (ud. del 9 febbraio 2011) della Corte di Cassazione, Sez. III, Penale, dove la Corte prende atto che le operazioni societarie sono state simulate o comunque fraudolente. “Inoltre…, il Collegio del riesame ha ritenuto che tali operazioni, delle quali è stata fornita una chiara descrizione, erano pienamente idonee a rendere in tutto o in parte inefficace la successiva procedura di riscossione coattiva dei crediti tributari vantati dallo Stato nei confronti delle ‘originarie’ società: in sintesi, a fronte dell’uscita dal patrimonio di beni immobili, altri cespiti mobiliari (con conseguente privazione di ogni capacità operativa e produttiva), nessun corrispettivo od incremento patrimoniale risultava conferito, in sinallagma, alle società cedenti, sia perchè le scissioni societarie erano avvenute senza corrispettivo, sia perchè i corrispettivi contrattualmente pattuiti per le cessioni dei rami di azienda, al settembre 2010, o non erano stati corrisposti o lo erano stati con ‘compensazioni volontarie’ e quindi con movimenti di denaro formali, se non fittizi”.

  • La sentenza n. 35310 del 29 settembre 2011 (ud. del 7 giugno 2011) con cui la Corte di Cassazione ha affermato che integra il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte la prossimità temporale tra la consapevolezza dei debiti fiscali e la stipula di atti di cessione volti a sottrarre i beni del contribuente alle pretese dell’erario nonché il permanere nella materiale disponibilità degli immobili tramite lo strumento della locazione finanziaria.

  • La sentenza n. 36290 del 6 ottobre 2011 (ud. del 18 maggio 2011) dove la Corte di Cassazione ha ribadito che “la fattispecie di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, è diversa rispetto all’omologa fattispecie, oggi abrogata, di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 97, comma 6, (come modificato dalla L. n. 413 del 1991, art. 15, comma 4), in quanto – a fronte della identità sia dell’elemento soggettivo costituito dal fine di evasione ed integrante il dolo specifico, che della condotta materiale rappresentata dall’attività fraudolenta – la nuova fattispecie, da un lato, non richiede che l’amministrazione tributaria abbia già compiuto un’attività di verifica, accertamento o iscrizione a ruolo e, dall’altro, non richiede l’evento che, nella previgente previsione, era essenziale ai fini della configurabilità del reato, ossia la sussistenza di una procedura di riscossione in atto e la effettiva vanificazione della riscossione tributaria coattiva”. La fattispecie delittuosa, nell’attuale formulazione, costituisce reato “di pericolo” e non più “di danno” e l’esecuzione esattoriale, quindi, “non configura un presupposto della condotta illecita, ma è prevista solo come evenienza futura che la condotta tende (e deve essere idonea) a neutralizzare. Ai fini della perfezione del delitto, pertanto, è sufficiente la semplice idoneità della condotta a rendere inefficace (anche parzialmente) la procedura di riscossione – idoneità da apprezzare con giudizio ex ante – e non anche l’effettiva verificazione di tale evento (vedi Cass.: Sez. 3′, 9.4.2008, n. 14720; Sez. 5′, 26.2.2007, n. 7916 e Sez. n. 18.5.2006, n. 17071)”. L’interesse oggetto di tutela diretta da parte della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 11, del D.Lgs. n. 74 del 2000, “non è il diritto di credito del fisco: infatti, pur costituendo questo il fine ultimo perseguito dal legislatore, la sua lesione non costituisce elemento necessario della fattispecie, potendo configurarsi il reato anche qualora, in concreto, dopo il compimento degli atti fraudolenti richiesti dalla norma, avvenga il pagamento dell’imposta e dei relativi accessori”.

  • La sentenza n. 49091 del 18 dicembre 2012, dove la Corte di Cassazione ha ritenuto sussistente la fattispecie di reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, ex art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000, nell’ipotesi in cui la cessione del ramo d’azienda abbia la finalità di complicare la fase della riscossione (lo schema è il seguente: una società si aggiudica appalti pubblici su tutto il territorio nazionale, che gestisce per un certo tempo; quindi cede ad altra società, tramite scissione, cessione di ramo d’azienda o altro artifizio, la gestione del servizio appaltato e le sole componenti attive del suo patrimonio, andando poi in liquidazione volontaria o venendo sottoposta a concordato preventivo fallimentare). La Corte, innanzitutto, rileva che il delitto di cui all’art. 11 del d.lgs. 74/2000 (reato di pericolo concreto) “si consuma nel momento e nel luogo in cui viene posto in essere un atto simulato o fraudolento idoneo a rendere, in tutto o in parte, inefficace la procedura di riscossione coattiva (Cass. sez. III, 5 maggio 2011 n. 23986)”. Prosegue la sentenza affermando che “la consumazione può verificarsi con modalità protratta, cioè prolungarsi fino a quando, in ipotesi di più atti tutti idonei a realizzare una fraudolenta sottrazione, permanga l’offesa. Ne consegue che il delitto può consumarsi sia con un singolo atto fraudolento che integri l’intero disvalore del fatto, sia tramite il compimento di una pluralità di atti che, singolarmente inidonei a costituire il reato, complessivamente raggiungano il grado di offensività necessario e sufficiente all’applicazione della norma. E quando allora il delitto, pur avendo natura di reato di pericolo, si realizza mediante una pluralità di atti, la sua consumazione coincide con il termine dell’azione in cui si sostanzia la condotta (Cass. sez. III, 4 ottobre 2012 n. 38473; Cass. sez. III, 27 settembre 2012 n. 37415; Cass. sez. III, 22 dicembre 2010 n. 6251). Nel caso in esame, pertanto, conformato da fraudolenti scissioni societarie, dall’azzeramento delle posizioni creditorie delle società cedenti, dalla spoliazione di ogni consistenza patrimoniale delle stesse società debitrici verso l’Erario e dall’attribuzione a società costituite ad hoc delle liquidità originariamente spettanti alle cedenti, è corretto indicare in contestazione la commissione dei fatti come avvenuta in XX, luogo dove si è consumata la sequenza di attività criminosa con la sottrazione delle somme su cui l’Erario avrebbe potuto rivalersi tramite il loro dirottamento alle “società figlie” delle società debitrici”. Nello specifico, la Corte, rileva che la natura di reato di pericolo del delitto contestato rende irrilevante la solidarietà tributaria (ex art. 14, del D.lgs. n. 472/97, del cessionario di azienda per la pretesa dell’Erario nei confronti del cedente, che secondo la difesa escluderebbe ogni pericolo o lesione al bene protetto dalla norma penale – il credito tributario – nella condotta di chi effettua la cessione di un ramo d’azienda). “È infatti sufficiente a introdurre un elemento di pericolo (inteso come modificazione in senso deteriore della situazione originaria) nella riscossione del credito la cessione dei crediti ad altra nuova società, cosi da rendere più difficile, su un piano potenziale e quindi al di là dell’esito concreto (irrilevante in una fattispecie di mero pericolo), conseguire l’adempimento del credito agendo sui beni del debitore. A fortiori, ciò vale nell’ipotesi in cui si realizza una concatenazione di svuotamento dall’una all’altra società, come nell’ipotesi contestata, azzerando progressivamente la consistenza patrimoniale mediante ulteriori procedimenti di scissione societaria e cessione di ramo d’azienda; deve pertanto ritenersi correttamente valutata la sussistenza del fumus del reato nell’ordinanza oggetto di impugnazione”.

  • La sentenza n. 39079 del 23 settembre 2013, con cui la Corte di Cassazione ha confermato che, in ordine alla sottrazione fraudolenta di cui all’art.11 del D.Lgs. n. 74/2000, il fatto tipico sotteso a tale previsione “è rappresentato dall’uso di mezzi fraudolenti per occultare i propri beni e sottrarsi in tal modo al pagamento del debito tributano, ossia dal compimento di atti fraudolenti sui propri o altrui beni al fine di sottrarsi al versamento delle imposte sui redditi o dell’IVA ovvero di sanzioni ed interessi pertinenti a dette imposte, senza che sia necessaria la sussistenza di una procedura di riscossione in atto (tra le altre, Sez. 5, n. 7916, 10/1/2007, dep. 26/2/2007, Cutillo, Rv 236053, Sez. 3, n.17071, 4/4/2006, dep. 18/5/2006, De Nicolo, Rv 234322). Infatti, la norma non contiene più alcun riferimento alle condizioni (effettuazione di accessi, ispezioni verifiche ovvero la preventiva notificazione di richieste o atti di accertamento) che erano invece previste dalla analoga fattispecie contenuta nel D.P.R. n. 602 del 1973 (art. 97, comma 6, come modificato dalla L. n. 413 del 1991, art. 15, comma 4, poi abrogata dal vigente D.Lgs.): voluntas legis, del resto, che risulta bene evidenziata nella stessa Relazione governativa al decreto legislativo. Di conseguenza, perché siano integrati gli elementi costitutivi della fattispecie inerì mi natrice basta unicamente che la condotta risulti idonea a rendere in tutto o in parte inefficace una procedura di riscossione coattiva da parte dello Stato, «idoneità da apprezzare, in base ai principi, con giudizio ex ante – e non anche (per) l’effettiva verificazione di tale evento»”. Pertanto (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14720 del 06/03/2008, Rv. 239970), ai fini della configurabilità del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte) “è necessario, sotto il profilo psicologico, il dolo specifico (ovvero il fine di sottrarsi al pagamento del proprio debito tributario) e, sotto il profilo materiale, una condotta fraudolenta atta a vanificare l’esito dell’esecuzione tributaria coattiva la quale non configura un presupposto della condotta, in quanto è prevista dalla legge solo come evenienza futura che la condotta, idonea, tende a neutralizzare. A tal uopo non solo non è necessario che la procedura di riscossione coattiva abbia avuto avvio, ma anche che i prodromi di essa, ossia l’accertamento tributario sia già stato posto in essere attraverso le verifiche e le successive contestazioni. Tanto più quando, come nella specie, il protagonista di tale complessa operazione è un dottore commercialista, ossia di un professionista ben consapevole del significato dell’obbligazione tributaria, dei suoi presupposti e dell’eventualità del suo accertamento successivo con la conseguente attività riscossiva da parte dell’Erario e dei suoi agenti (dolo specifico)”. Osserva, quindi, la Corte che non ha pregio la censura imperniata sulla anteriorità degli atti traslativi (compiuti nel 2008). “La consapevolezza (ancor maggiore per un professionista) dell’aver eluso l doveri fiscali connota ogni attività dispositiva compiuta dal contribuente, come altamente indiziaria dell’attività simulatorio/fraudolenta e volta a prevenire la realizzazione della pretesa fiscale (che ben si conosce come fondata) indipendentemente dal momento storico del suo accertamento, secondo le sequenze procedimentali adottate dall’Amministrazione finanziaria e dagli enti impositori…”. Afferma la Corte che “la condotta penalmente rilevante può essere costituita da qualsiasi atto o fatto fraudolento intenzionalmente volto a ridurre la capacità patrimoniale del contribuente stesso, riduzione da ritenersi, con un giudizio ex ante, idonea sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, a vanificare in tutto od in parte, o comunque rendere più difficile una eventuale procedura esecutiva”. L’eliminazione del presupposto dell’attivazione di una procedura coattiva di riscossione dall’economia della nuova fattispecie incriminatrice, determina ( cfr. Cass. 36290 del 18/5/2011) “l’inquadramento del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte nella categoria dei reati di pericolo, avendo il legislatore in tal modo stabilito una linea di tutela prodromica delle pretese del Fisco, attraverso l’illiceità penale delle condotte che pongano a repentaglio l’obiettivo di realizzazione della pretesa tributaria”. Pertanto, “non v’è sincronia, quindi, tra la consumazione del reato e la realizzazione della pretesa tributarla, dovendo la prima precedere la seconda per poter reprimere quelle condotte che mettono a rischio la ‘conservazione della generica garanzia patrimoniale riservata all’erario’: la fattispecie, per essere penalmente rilevante, richiede, come detto, che gli atti posti in essere siano idonei a ledere il bene stesso, secondo un giudizio ex ante”. La dizione della disposizione (“il compimento di atti fraudolenti”) indica “una condotta non necessariamente istantanea, né singolare, ma suscettibile invece di essere posta in essere in tempi e con modi ed atti diversi e plurimi, i quali solo nella loro lettura complessiva mostrano quella ‘idoneità’ necessaria alla loro rilevanza penale (da qui, per una parte della dottrina, anche la possibile configurabilità del tentativo). Nel caso di specie, ciò risulta avvenuto attraverso due atti esecutivi della medesima condotta fraudolenta volta alla sottrazione delle garanzie patrimoniali; atti unificati dal dolo specifico di sottrazione della garanzia patrimoniale, compiuto attraverso la collaborazione della M., convivente del B.”.

11 febbraio 2015

Gianfranco Antico