Il rapporto tra accertamento induttivo, sanzione impropria e principio del favor rei

non è raro trovare nelle leggi tributarie delle norme che configurano delle sanzioni improprie, raffigurabili per il contribuente che ha violato determinati obblighi, quando non solo è prevista una sanzione formale (amministrativa o penale che sia), ma si determina una situazione di svantaggio rispetto a chi ha violato l’obbligo previsto: il caso dell’accertamento induttivo

Con la sentenza n. 26475 del 17 Dicembre 2014, la Corte di Cassazione interviene, con elementi di assoluta novità, nell’ambito della elaborazione (dis)identificativa della sanzione c.d. impropria che si riteneva finora concentrabile anche nell’accertamento induttivo; la conclusione, come meglio si spiegherà a breve, serve ad escludere anche la possibilità di applicazione del favor rei nel caso di abrogazione dell’obbligo violato dal contribuente.

 

Prima di descrivere con maggiore specificità il suindicato arresto, sembra opportuno riesaminare brevemente il profilo della sanzione impropria(cioè il tema di maggior rilievo trattato nella specie dalla Cassazione) rammentando che in passato autorevole dottrina osservava come non fosse raro trovare nelle leggi tributarie delle norme che configurano delle sanzioni improprie, raffigurabili per il contribuente che ha violato determinati obblighi, quando non solo è prevista una sanzione formale (amministrativa o penale che sia), ma si determina una situazione di svantaggio rispetto a chi ha violato l’obbligo previsto1.

 

Tali automatismi, in effetti, incidono:

sul piano procedimentale

  • con la preclusione (ad esempio) al contribuente di mezzi di difesa cui egli avrebbe avuto normalmente diritto qualora avesse osservato il precetto violato;

  • con il rafforzamento dei normali poteri di controllo ed accertamento dell’ufficio;

sul piano sostanziale

  • con la negazione dell’applicazione di deduzioni e/o di detrazioni;

  • con l’ incrementazione dell’imponibile attraverso la tassazione di fatti che altrimenti sarebbero stati in tutto o in parte irrilevanti.

A riguardo non sono mancate le critiche da parte della dottrina con riguardo al rapporto tra le sanzioni improprie e i fondamentali valori costituzionali; con particolare riferimento ai riflessi di carattere procedimentale, è stato infatti posto in discussione il diritto di difesa (art. 24), mentre in relazione ai profili sostanziali sono stati posti in gioco il principio di capacità contributiva (art. 53) e la problematica delle sanzioni punitive (artt. 25 e 27). Le critiche si sono snodate sostanzialmente intorno alla mancata condivisione dell’afflizione, da parte dell’ordinamento tributario, di una punizione complessiva non limitata alla sanzione propria ma appesantita dall’aggravamento della tassazione, alterata in termini sostanziali.

 

In ordine a tale contesto ed a fronte delle osservazioni della dottrina che osservava come “in questi casi la determinazione dell’entità dell’imposta viene subordinata alla osservanza di obblighi da parte del contribuente, sicché sembra venire spezzato il collegamento fra imposta e presupposto al quale soltanto essa dovrebbe venir commisurata2, la Corte Costituzionale ha giustificato il fenomeno proprio in ottica sanzionatoria, ritenendo legittimi i trattamenti differenziati fra contribuenti che osservano il precetto e contribuenti che lo violano. Addirittura deve essere annotato che proprio l’atipicità delle sanzioni improprie o, se si preferisce, la connotazione latu sensu delle stesse ha consentito alla Consulta di superare (anche in ragione dell’inesistenza di uno specifico criterio costituzionale di riferimento) le questioni (ad essa sottoposte in relazione agli artt. 24 e 53 Cost.) senza incappare nei vincoli peculiari del sistema delle sanzioni punitive, ciò in quanto l’orientamento assolutamente prevalente circoscrive l’applicabilità degli artt. 25 e 27 alle sole sanzioni penali.

 

Il caso di cui alla, qui brevemente scrutinata, decisione n. 26475/2014, almeno apparentemente sembrava rientrare nell’alveo delle liti attinenti una sanzione impropria, stante il fatto che riguardava un avviso di accertamento induttivo emesso a seguito di verifica fiscale della G.d.F., ove era constatata l’irregolarità formale della documentazione fiscale, segnatamente in punto di vidimazione del registro unico tenuto ai fini IVA, portante un numero di repertorio notarile non corrispondente al vero, in quanto dalle dichiarazioni rese ai verbalizzanti dal notaio era emerso che il sigillo gli era stato sottratto e che il numero di repertorio identificava il trasferimento di un automezzo.

Nel contraddittorio giudiziale, il contribuente opponeva (tra l’altro) la valenza del principio del favor rei sulla considerazione che in ogni caso l’obbligo di vidimazione era stato abrogato a decorrere del 2001, oltre la circostanza della (asserita) ininfluenza della irregolarità della vidimazione sul contenuto del registro.

I giudici di piazza Cavour , affermando preliminarmente che una vidimazione falsa equivale per principio ad una vidimazione omessa, hanno rammentato come (con riguardo a quelle forme di prelievo che si traducono in un mero aggravamento del carico tributario) l’orientamento di legittimità si fosse già espresso in senso favorevole all’applicazione della legge posteriore se più favorevole3, anche occupandosi della legittimità dell’accertamento induttivo avviato sulla base dell’inosservanza di un obbligo tributario successivamente abrogato4.

Il massimo collegio giudicante , dopo questa premessa, ha effettuato però una serie di osservazioni che, incentrandosi sul principio di legalità , ridisegnano la portata del rapporto tra favor rei, sanzione impropria e accertamento induttivo.

Infatti la Corte argomenta “Non si è intanto lontani dal vero se, riflettendo sulle implicazioni sistematiche del problema, si sia portati ad osservare, almeno inizialmente, che il principio del favor rei non è disgiungibile dal principio di legalità… E’ perciò del tutto conseguente ipotizzare che il principio dei favor rei, non diversamente da quello di legalità ed anzi al pari di questo, operi solo in relazione a condotte tipologicamente predefinite, a condotte, per intenderci, che per essere sanzionate in guisa della loro ritenuta illiceità postulavano che la legge ne definisse previamente i caratteri identificativi

Poi, la sentenza de qua, si preoccupa di ribadire che, per la stessa correlazione necessaria con il principio di legalità, il concetto di sanzione (anche quando si parla delle sanzioni c.d. improprie) non sembra poter prescindere da una connotazione intrinsecamente afflittiva.

Pertanto , se la Corte da un lato ribadisce che è sanzione in forma impropria la perdita di un beneficio, la decadenza da un’agevolazione, la revoca di un privilegio, dall’altro poi prima, esclude la possibilità di incisione (nel caso di specie) del principio del favor rei, per quel che attiene il rapporto tra accertamento induttivo e sanzione cd. impropria: “Diversamente da quel che accade negli altri casi, dove il contenuto afflittivo in danno del contribuente inadempiente è univoco ed inequivocabile, sicchè la legge posteriore che rimuove l’illiceità della condotta anteatta, nel mentre elimina ogni diretta sanzionabilità futura di essa, pure comporta doverosamente per il passato la rimozione di ogni effetto sanzionatorio improprio, l’esposizione all’accertamento induttivo per il fatto di dar vita ad un procedimento valutativo nel corso del quale si innestano numerose varianti discrezionali ed il cui approdo in senso necessariamente pregiudizievole non è affatto obbligato o, almeno, non è questi termini delineato dalla legge, solo inizialmente potrebbe essere accostato a quelle situazioni di immediato e diretto svantaggio che appaiono connotate da un’afflittività intrinseca e rispetto alle quali l’applicazione del favor rei non si espone a riserve di sorta…”.

 Successivamente, allontana l’accertamento induttivo dal novero delle sanzioni improprie che “sono assolutamente certe e certa ne è la loro applicazione, in quanto la mera violazione dell’obbligo che ne è il presupposto determina su questo piano l’applicazione di quella sanzione e solo di quella. Tutta diversa è invece la situazione di svantaggio che, dir si voglia, riconducibile all’ipotesi dell’accertamento induttivo… La circostanza che l’accertamento induttivo possa essere disposto in presenza di irregolarità nella tenuta della contabilità ‘così gravi, numerose e ripetute‘ da renderla inattendibile, in altre parole, nel mentre affida all’autonomia decisionale dell’ufficio ogni ulteriore determinazione, priva nel contempo pure l’accertamento induttivo di ogni caratterizzazione in termini di certezza, non solo perchè la natura procedimentale di esso e la discrezionalità con cui procede l’ufficio non ne segnano ab origine l’esito, ma perchè neppure il suo input ubbidisce ad una siffatto connotato, giacchè, essendo possibile solo a fronte di un giudizio che abbia ad oggetto l’attendibilità della contabilità commisurata alla gravità, al numero e alla ripetizione delle irregolarità riscontrate, esso mette necessariamente capo ad una valutazione che non ha fonte nella legge e che non ne permette dunque l’assimilazione al campo delle sanzioni sia pure improprie”.

30 gennaio 2015

Antonino Russo

1 Così sostanzialmente E. De Mita, La legalità tributaria: contributo alla semplificazione legislativa, Milano, 1993, pag. 81.

2 Sempre E. De Mita, Principi di diritto tributario, Milano, 2000, pag. 87

3Investita della questione con riferimento al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 41, c. 6, che prevedeva a carico dell’acquirente di beni e servizi senza fattura che non provveda all’autofatturazione l’irrogazione delle pene pecuniarie previste dai primi tre commi “oltre al pagamento dell’imposta“, si è ritenuto di poter affermare, sul presupposto della ravvisata natura sanzionatoria di tale ultima misura, che essa non si sottrae all’applicazione del principio del favor rei e che “pertanto, in virtù del principio di legalità stabilito dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3, anche riguardo a detto prelievo, qualificato pagamento dell’imposta dall’art. 41, cit., si applica la norma posteriore, più favorevole al contribuente” (Cass. civ. n. 5268/05).

4In merito agli effetti discendenti dall’abrogazione dell’obbligo di tenuta del repertorio della clientela si è infatti statuito che “lo ‘ius superveniens’ rappresentato dall’abrogazione della norma che prevedeva quell’illecito, infatti, trova applicazione, a partire dal 1 aprile 1998 (data di entrata in vigore del principio del ‘favor rei’ sancito dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3, anche nel sistema sanzionatorio tributario, e della sua applicabilità retroattiva, anche di ufficio, in ogni stato e grado del processo), all’unica condizione che il provvedimento impugnato non debba qualificarsi ‘definitivo’, posto che, in materia di sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie, il D.Lgs. n. 472 del 1997, detto art. 3, ha stabilito l’applicabilità del principio ‘ai procedimenti in corso‘ alla detta data, a condizione (sussistente nella specie) che il provvedimento irrogativo della sanzione non sia divenuto definitivo” (12434/07), traendo da ciò la conclusione che sia pertanto illegittimo l’accertamento induttivo operato sulla base dell’omessa tenuta del repertorio della clientela.