Sono rilevanti le dichiarazioni confessorie dell’amministratore

le dichiarazioni rilasciate dall’amministratore in fase di verifica fiscale, possono fornire prova a favore del Fisco in fase di accertamento

Nell’Ordinanza n. 22616 del 24 ottobre 2014 (ud. 24 settembre 2014) la Corte di Cassazione ha confermato che le dichiarazioni rese dall’amministratore legale rappresentante della società nel corso della verifica sono qualificabili come confessione stragiudiziale, in virtù del nesso d’immedesimazione organica tra il primo e la seconda, che non è reciso neanche quando l’atto sia stato compiuto dall’amministratore con dolo o abuso di potere e non rientri nella sua competenza (Cass. 12 dicembre 2013, n. 27833; 5 dicembre 2011, n. 25946; 26 maggio 2008, n. 13482; Cass. 21 dicembre 2005, n. 28316)”.

Brevi note

Le dichiarazione dei terzi1, rese al di fuori e prima del processo (in corso di verifica, per esempio), costituiscono strumenti di prova indiziaria.

I verificatori civili e miliari possono, pertanto, raccogliere “sommarie informazioni” dai soggetti sottoposti a indagine, o da altri soggetti2.

Se in sede amministrativa (e dunque di predisposizione e stesura dell’avviso di accertamento), si tratta di elementi certamente utilizzabili dal Fisco, in sede processuale, davanti le Commissioni Tributarie, ne è spesso contestata la valenza di “testimonianza impropria” o surrettizia, mediante la quale verrebbe aggirato il divieto della prova testimoniale (occorre, infatti, distinguere, sotto il profilo probatorio, la prova testimoniale vietata e la cd. testimonianza impropria o anomala).

La giurisprudenza ha generalmente ammesso tali elementi, non a titolo di “fonti di prova” in senso proprio, ma piuttosto di un “ausilio” all’accertamento, che va comunque sostenuto da ulteriori elementi3.

Escludere qualsiasi forma di dichiarazione orale resa nel corso del procedimento tributario significa privare lo stesso contribuente di informazioni, chiarimenti, spiegazioni sui fatti, utili per la ricostruzione della vicenda4.

Dal punto di vista pratico, se il problema della cosiddetta “verbalizzazione” (ossia quello di definire la veste formale nella quale tali dichiarazioni debbano essere rese al fine di venire prodotte nel giudizio5) non si pone per le dichiarazioni rese all’Amministrazione finanziaria, in quanto queste vengono solitamente trasfuse in documenti redatti da pubblici ufficiali che rivestono quindi la forma dell’atto pubblico, per quanto riguarda le altre dichiarazioni dei terzi, il problema sussiste: di solito si utilizza l’atto notorio6, la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà7, la perizia giurata8.

La Corte di Cassazione nel corso di questi anni è intervenuta più volte sulla questione. E ancor prima delle sentenze emesse nel corso del 2014 e riportate nella nota n.3, la Suprema Corte aveva avuto modo di far sentire il suo pensiero.

  • Sentenza n. 14290 del 19 giugno 2009 (ud. del 4 marzo 2009), secondo cui le dichiarazioni rese da terzi e raccolte dalla polizia tributaria possono assumere valenza di indizi utilizzabili dal giudice. “L’esclusione della prova testimoniale è dettata da un’esigenza di speditezza del processo tributario (cfr. Cassazione civile, sez. 1′, n. 12854 del 19 dicembre 1997) e non comporta l’inutilizzabilità delle dichiarazioni di terzi rese ai verbalizzanti, secondo quanto chiarito dalla stessa giurisprudenza richiamata dalla società ricorrente (si veda in particolare Cassazione civile, sezione 5′, n. 19114 del 29 settembre 2005 secondo la quale le dichiarazioni di terzi raccolte dalla Polizia tributaria ed inserite nel processo verbale di constatazione non hanno natura di testimonianza bensì di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative, sfornite, pertanto, ex se, di efficacia probatoria, con la conseguenza che esse risultano del tutto inidonee, di per sè, a fondare un’affermazione di responsabilità del contribuente in termine di imposta, potendo soltanto (come nella specie) fornire un ulteriore riscontro a quanto già accertato e provato aliunde in sede di procedimento tributario)”. Osserva, quindi, la Corte che “coerentemente a questa giurisprudenza la motivazione della C.T.R. non fonda affatto la decisione su tali dichiarazioni dei terzi ma si limita a rilevare che, contrariamente a quanto affermato nella motivazione della C.T.P., le affermazioni della Guardia di Finanza trovano invece riscontro nella quasi totalità delle dichiarazioni rese dai terzi”.

  • Sentenza n. 28004 del 30 dicembre 2009 (ud. del 10 novembre 2009), secondo cui la prova testimoniale vietatanel giudizio tributario, sancita dall’art. 7, c. 4, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, si riferisce “alla prova testimoniale quale prova da assumere nel processo con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’Amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento anche sul conto di un determinato contribuente (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1; D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51)”. Tuttavia, “tali dichiarazioni, proprio perchè assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali semplici elementi indiziari, il cui valore può essere sempre contestato dal contribuente nell’esercizio del suo diritto di difesa; conseguentemente, le dichiarazioni di terzi raccolte dalla Polizia tributaria ed inserite nel processo verbale di constatazione non hanno natura di testimonianza (quand’anche siano state, come nella specie, già rese in seno a procedimento penale), bensì di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative, sfornite, pertanto, ex se, di efficacia probatoria, con la conseguenza che esse risultano del tutto inidonee, di per sé, a fondare un’affermazione di responsabilità del contribuente in termine di imposta, potendo soltanto fornire un eventuale ulteriore riscontro a quanto già accertato e provato aliunde in sede di procedimento tributario (cfr. Cass. n. 3526/2002) od avere un valore probatorio proprio degli elementi indiziari, i quali possono concorrere a formare il convincimento del giudice, ma non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione (Corte Cost. sent. n. 18 del 2000, cfr. anche Cass. nn. 903/2000, 4269/2000)”.

  • Sentenza n. 12763 del 10 giugno 2011 (ud. del 2 febbraio 2011), con cui la Corte di Cassazione ha ritenuto che il divieto di assunzione di talune fonti di prova (giuramento e prova testimoniale) non implica l’inutilizzabilità delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione (ovvero rese in favore del contribuente) nella fase procedimentale e rese da soggetti terzi rispetto al rapporto giuridico d’imposta, dovendosi attribuire alle medesime valenza di elementi indiziari che, qualora rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza, possono assumere natura di presunzione anche ove desumibili dall’utilizzo come fonte di atti di un giudizio civile o penale. Prosegue la sentenza, affermando che è pacifico nella giurisprudenza della Corte (cfr., da ultimo, Cass., trib., 10 marzo 2010 n. 5746, la quale richiama “Cass. n. 903del 2002 e n. 9402 del 2007“, ex multis) che detto “divieto” si riferisce soltanto “alla prova testimoniale da assumere nel processo” (“che è necessariamente orale, di solito ad iniziativa di parte, richiede la formulazione di specifici capitoli, comporta il giuramento dei testi, e riveste, conseguentemente, un particolare valore probatorio“) ma “non implica … l’inutilizzabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni raccolte dall‘Amministrazione nella fase procedimentale e rese da terzi e cioè da soggetti terzi rispetto al rapporto tra il contribuente – parte e l’Erario“: “tali dichiarazioni“, infatti, hanno comunque “il valore probatorio proprio degli elementi indiziari” per cui “danno luogo a presunzioni” (costituenti prove dei fatti ex art. 2727 c.c. e ss.) “qualora rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 c.c.”. La “natura e la valenza di elementi indiziari, nel processo tributario, del contenuto delle dichiarazioni” dette, inoltre, “non muta” sia che la “acquisizione delle dichiarazioni di terzi sia realizzata in via diretta in fase di verifica” sia nel caso in cui si utilizzino “come fonte gli atti di un giudizio civile o penale“. Il giudice tr

    ibutario, infatti (Cass., trib., 14 maggio 2010 n. 11785), “nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione … del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.)“, deve (“in ogni caso“) verificare la “rilevanza” di quel “materiale” (anche di quellopenale) nello “ambito specifico” (tributario) “in cui esso è destinato ad operare“.

  • Sentenza n. 21813 del 5 dicembre 2012 (ud. 29 ottobre 2012), secondo cui le dichiarazioni del terzo, acquisite dalla G.d.F. e trasfusenel p.v.c., a sua volta recepito dall’avviso diaccertamento, “hanno valore indiziario, concorrendo a formare ilconvincimento del giudice (C. 9876/11). Il tutto, se riveste i caratteriall’art. 2729 c.c., da luogo a presunzioni semplici (D.P.R. n. 600, art. 39,e D.P.R. n. 633, art. 54), generalmente ammissibili nel contenziosotributario, nonostante il divieto di prova testimoniale (C. 9402/07) Le dichiarazioni, invece, dei terzi raccolte da verificatori o finanzieri e inserite, anche per riassunto, nel processo verbale di constatazione, hanno natura di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative e sono, pertanto, pienamente utilizzabili quali elementi di convincimento (cfr. C. 20032/11)” fermo restando che, in base al principio del giusto processo e della parità di armi processuali tra le parti, “è riconosciuta ampia facoltà di prova contraria, potendosi il contribuente avvalersi, se lo ritenga, anche di analoghi mezzi conoscitivi da riversare nel processo (C. Cost. 109/07)”.

  • Sentenza n. 7714 del 27 marzo 2013 con cui la Corte di Cassazione ribadisce che nell’ambito del processo tributario ciò che è vietato è soltanto la diretta assunzione, da parte del giudice tributario, della narrazione dei fatti della controversia compiuta da un terzo, che assume la qualità di testimone. “Di contro, è di piena evidenza che siffatto divieto non può considerarsi operativo per la diversa fonte di prova – connotata da una maggiore immediatezza di percezione del contenuto probatorio da parte del giudicante – costituita dal documento che racchiude le dichiarazioni del terzo. Sul piano generale, invero, tale diversità si rivela anzitutto sotto il profilo materiale e sostanziale, dando vita il documento ad un’entità che, a differenza dell’altra, sì concreta in una res cartacea, e non in un soggetto dichiarante. Trattasi, inoltre, di una fonte di prova diversa dalla testimonianza anche sul piano processuale, essendo la prova documentale soggetta ad una disciplina differenziata da quella della prova testimoniale, poiché finalizzata – a differenza di quest’ultima, che richiede il compimento delle diverse attività di deduzione, ammissione ed assunzione (artt. 244 e ss. c.p.c.) – ad assicurarne esclusivamente la corretta “produzione” nel giudizio, nel rispetto del principio del contraddittorio e del diritto di difesa delle parti (art. 24, co. 1 d.lgs. 546/92, art. 87 disp. att. c.p.c). Le cennate differenze sostanziali e processuale esistenti tra le due fonti di prova, dunque, ne giustificano ampiamente la differente regolamentazione anche nel processo tributario, nel quale il documento, oltre ad essere producibile – come dianzi detto – anche in appello, sì sottrae, altresì, al divieto di utilizzazione anche nel giudizio di primo grado, che concerne esclusivamente la prova testimoniale”.

  • Sentenza n. 9552 del 19 aprile 2013 (ud. 25 settembre 2012) dove la Corte di Cassazione ha ritenuto che le dichiarazioni di terzi hanno valore indiziario e non si pongono in contrasto con l’art. 7 del D.Lgs. n. 546/92. Nel caso specifico, trattasi di dichiarazioni rese dal contabile di una società fornitrice, e definite dalla Corte come “informazioni testimoniali”, che “hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, e devono pertanto essere necessariamente supportate da riscontri oggettivi (Corte cost., sentenza n. 18 del 2000; Cass. 2002/903; cfr. Cass. 2005/16032; 2011/20032)”.

  • Ordinanza n. 10252 del 2 maggio 2013 (ud. 27 febbraio 2013) dove la Corte di Cassazione ribadisce che “il divieto di ammissione della prova testimoniale nel giudizio davanti alle commissioni tributarie, sancito dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 4, comma quarto, si riferisce alla prova testimoniale da assumere nel processo – che è necessariamente orale, di solito ad iniziativa di parte, richiede la formulazione di specifici capitoli, comporta il giuramento dei testi, e riveste, conseguentemente, un particolare valore probatorio -, e non implica, pertanto, l’inutilizzabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione nella fase procedimentale e rese da ‘terzi’, e cioè da soggetti terzi rispetto al rapporto tra il contribuente – parte e l’Erario. Tali informazioni testimoniali hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, e devono pertanto essere necessariamente supportate da riscontri oggettivi (così, tra le varie, Cass. 903/02)”.

  • sentenza n. 22519 del 2 ottobre 2013 (ud 12 giugno 2013) con cui la Cassazione afferma che costituisce principio consolidato quello per cui “in tema di contenzioso tributario le dichiarazioni di terzi raccolte dai verificatori ed inserite nel processo verbale di constatazione non hanno natura di prova testimoniale, bensì di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative, che possono essere utilizzate quando abbiano trovato riscontro nelle risultanze dell’accesso diretto dei verbalizzanti e non siano specificamente smentite dalla controparte. Nè è con ciò violato il principio della parità delle armi di cui all’art. 111 Cost., atteso che – in forza di quanto affermato dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 18 del 2000 – anche il contribuente può produrre documenti contenenti dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale con il medesimo valore probatorio” (Cass. nn. 16032/2005 e 2805/2009). Ed invero, il Giudice di appello nel limitarsi ad affermare che le dichiarazioni dei terzi hanno mero valore indiziario e che i riscontri oggettivi agli stessi, nella fattispecie, non erano stati resi noti, “ha del tutto omesso di valutare elementi oggettivi (quali l’omesso rinvenimento nel corso dell’operazione di verifica delle fatture relative ai costi ritenuti non deducibili e la circostanza che la società fornitrice non fosse in possesso dei macchinari e/o attrezzature nonchè del personale specializzato necessari) puntualmente indicati dalla ricorrente, in ossequio al principio di autosufficienza, che, per la loro decisività, ove esaminati, avrebbero potuto condurre ad una diversa soluzione in punto di sufficienza ai fini della sussistenza delle presunzioni”.

  • Sentenza n. 23325 del 15 ottobre 2013 (ud. 27 giugno 2013), dov la Corte di Cassazione ha confermato che, “in materia, costituisce principio condiviso quello per cui, nel processo tributario, il divieto di prova testimoniale posto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, si riferisce alla prova testimoniale quale prova da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento e che, proprio perché assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice (cfr. Cass. n. 9402/07; n. 703/2007, e da recente n. 8369/2013)”.

  • Sentenza n. 23729 del 21 ottobre 2013 (ud. 17 dicembre 2012), in cui la Corte di Cassazione, nel confermare l’utilizzabilità delle prove “testimoniali”, ha affermato che essendo indizi vanno supportate da ulteriori elementi: tali informazioni testimoniali hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, e devono pertanto essere necessariamente supportate da riscontri oggettivi (Corte cost., sentenza n. 18 del 2000)” (Cass. 903/2002). Di conseguenza, “ritenuta irrilevante la sede (penale) di acquisizione delle dette dichiarazioni e va rilevato che le stesse hanno costituito per la CTR solo elemento indiziario, essendo fondato l’accertamento anche su altri elementi, specificamente evidenziati dalla CTR nel resto della motivazione (v. considerazioni sul ‘merito’)”.

  • Sentenza n. 24930 del 6 novembre 2013 (ud. 21 maggio 2013), con cui la Corte di Cassazione ha confermato che “il divieto di prova testimoniale nel giudizio tributario sancito dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 non impedisce di considerare la valenza probatoria delle dichiarazioni di terzi raccolte dalla polizia tributaria ed inserite nel processo verbale di constatazione che equivalgono a mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative le quali, benchè sfornite, ex se, di dirimente efficacia probatoria, comunque non si pongono in contrasto con il citato comma 4 dell’art. 7 (Cass. 11 marzo 2002, n. 3526 e, più di recente, Cass.2916/13)“.

22 dicembre 2014

Gianfranco Antico

1 Sul punto si consentito il rinvio ad ANTICO, Il valore delle dichiarazioni di terzi: la posizione della giurisprudenza, in “il fisco”, n. 37/2007, pag. 1-4077

2 Ai sensi degli artt. 203 e 267 del c.p.p., come riformulati dagli artt. 7 e 10 della Legge 1.3.2001 n. 63.

3 Di recente cfr. Cass. sentenza n. 13161 dell’ 11 giugno 2014 (ud. 5 maggio 2014), ove i giudici supremi hanno confermato che le dichiarazioni dei terzi hanno il valore indiziario d’informazioni acquisite nell’ambito d’indagini amministrative e sono, pertanto, utilizzabili dal giudice quale elemento di convincimento. Infatti, secondo la Suprema Corte (sentenza n. 23325/2013), “in materia, costituisce principio condiviso quello per cui, nel processo tributario, il divieto di prova testimoniale posto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art.7, si riferisce alla prova testimoniale quale prova da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento e che, proprio perché assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice (cfr. Cass. n. 9402/07; n.703/2007, e da recente n. 8369/2013)”; cfr. anche Cass. sentenza n. 658 del 15 gennaio 2014 (ud. 25 novembre 2013), dove la Corte Suprema ha confermato che le dichiarazioni dei fornitori “proprio perchè assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali semplici elementi ‘indiziari’, il cui valore può essere sempre contestato dal contribuente nell’esercizio del suo diritto di difesa (Corte Cost. 21 gennaio 2000 n. 18; Cass. n. 14774/2000; Cass. n. 11994/2003; Cass. n. 20032/12 e 21812/2012“; e sentenza n. 15331 del 4 luglio 2014 (ud. 8 aprile 2014) con cui la Corte di Cassazione ha affermato che l’inesistenza di una operazione commerciale “può essere fornita anche attraverso elementi presuntivi, tra i quali vanno annoverate le dichiarazioni dei terzi, purchè inserite o trascritte nel processo verbale di constatazione, ovvero allegate all’avviso di rettifica notificato. Una volta che tale prova sia stata adeguatamente fornita, spetta al contribuente fornire la prova contraria della esistenza dell’operazione contestata, la quale non può consistere esclusivamente nella regolarità formale delle scritture o nelle evidenze meramente contabili dei pagamenti“; Cass. sentenza n. 16223 del 16 luglio 2014, che attestandosi sulle posizioni già espresse in precdenza, ha confermato che nel processo tributario, le dichiarazioni del terzo, acquisite dalla G.d.F. e trasfuse nel processo verbale di constatazione, a sua volta recepito dall’avviso di accertamento, hanno valore indiziario, concorrendo a formare il convincimento del giudice unitamente ad altri elementi”, fermo restando che la limitazione posta dall’art. 7, c. 4, Dlgs 546/1992 “vale soltanto per la diretta assunzione, da parte del giudice stesso, della narrazione dei fatti della controversia compiuta da un terzo, ovverosia per quella narrazione che, in quanto richiedente la formulazione di specifici capitoli e la prestazione di un giuramento da parte del terzo assunto quale teste, acquista un particolare valore probatorio. Le dichiarazioni, invece, dei terzi, raccolte da verificatori o finanzieri e inserite, anche per riassunto, nel processo verbale di constatazione, hanno natura di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative e sono, pertanto, pienamente utilizzabili quali elementi di convincimento”; e da ultimo, con l’ordinanza n. 19965 del 22 settembre 2014 (ud. 19 giugno 2014), la Corte di Cassazione, richiamando un proprio pronunciamento (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20032 del 30/09/2011) ha ribadito che : “In tema di contenzioso tributario, la disposizione contenuta nel D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, comma 4, – secondo cui nel processo tributario ‘non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale’ – in quanto limitativa dei poteri delle commissioni tributarie e non pure dei poteri degli organi amministrativi di verifica, disciplinati da altre disposizioni, vale soltanto per la diretta assunzione, da parte del giudice tributario, nel contraddittorio delle parti, della narrazione dei fatti della controversia compiuta da un terzo, ovverosia per quella narrazione che, in quanto richiedente la formulazione di specifici capitoli e la prestazione di un giuramento da parte del terzo assunto quale teste, acquista un particolare valore probatorio. Le dichiarazioni, invece, dei terzi raccolte dai verificatori, quand’anche nell’ambito di un procedimento penale, e inserite nel processo verbale di constatazione, hanno natura di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative e sono, pertanto, pienamente utilizzabili quali elementi di prova“.

4 Cfr. Cass. (ordinanza n. 26067 del 5 dicembre 2011, ud. 8 novembre 2011) secondo cui anche il contribuente può produrre documenti contenenti dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale. Le risultanze emergenti da tali documenti non hanno valore probatorio pieno ma possono essere utilizzate solo quando trovino ulteriore riscontro nelle risultanze del processo.

5 Cfr. sul punto A. RICCIONI, L’ammissibilità ai fini probatori delle dichiarazioni rese da terzi in ambito extraprocessuale in rapporto al divieto di prova testimoniale nel processo tributario, in “il fisco”, n. 14/2003, fasc. n. 1, pag. 2120.

6 Cfr. Cass. n. 5154 del 6 aprile 2001, secondo cui “… non può attribuirsi valore di prova all’atto notorio, precostituito al processo al di fuori di qualsiasi contraddittorio con l’avversario, né tale atto può implicare un’inversione dell’onere della prova, che deve essere espressamente prevista da una norma positiva e non può derivare esclusivamente dalla mera iniziativa di parte“. In pratica, il pieno valore probatorio dell’atto notorio resta limitato al fatto che la dichiarazione sia stata resa in presenza di un pubblico ufficiale, ma non si estende alla rispondenza alla verità delle circostanze indicate nell’atto stesso.

7 Cfr. Cass. n. 7107 del 20 luglio 1998, secondo cui la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà quanto lo stesso atto notorio devono essere considerati documenti la cui libera valutazione da parte del giudice deve essere in concreto ammessa ogni volta che la dichiarazione venga resa non già da una delle parti, ma da un soggetto estraneo al processo che attesta un fatto rilevante ai fini della decisione. La principale differenza fra atto notorio e dichiarazione sostitutiva del medesimo consiste nel fatto che il primo assolve alla funzione di far conoscere fatti, stati e qualità personali che sono a diretta conoscenza del dichiarante, e che non risultano in altro modo noti alla Pubblica Amministrazione, mentre la seconda mira a portare a conoscenza della Pubblica Amministrazione circostanze a questa già risultanti in propri atti.

8 In particolare tale strumento viene utilizzato per la valutazione degli immobili e/o dei terreni. Cfr. Cass. n. 4437 del 19 maggio 1997 che ha escluso la possibilità di attribuire efficacia di prova legale alla perizia giurata depositata in giudizio da una parte, neppure rispetto ai fatti che il perito assume di avere accertato nel caso specifico. La Corte ha affermato che non essendo prevista dall’ordinamento la precostituzione fuori del giudizio di un siffatto mezzo di prova, ad essa può essere riconosciuto solo il valore di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, il cui apprezzamento è affidato alla libera valutazione discrezionale del giudice di merito, ma della quale non è obbligato in nessun caso a tenere conto.