L'amministratore che subentra risponde dell’evasione fiscale precedente al suo mandato

l’assunzione della carica di amministratore comporta, per comune esperienza, una minima verifica della contabilità, dei bilanci e delle ultime dichiarazioni dei redditi; nell’ipotesi che questo non avvenga, è evidente che colui che subentra nelle quote e assume la carica si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze

Anche il nuovo amministratore risponde dell’evasione di imposte avvenuta nella precedente gestione; la Corte di Cassazione con la sentenza n. 39437, del 25 settembre 2014, ha stabilito che l’assunzione della carica di amministratore in un società comporta, come minimo, una verifica iniziale della contabilità, dei bilanci e delle ultime dichiarazioni dei redditi.

Nell’ipotesi che il neo amministratore non esegua tali compiti “preliminari” si espone a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze.

La condanna

La Corte di Appello, con sentenza dell’ottobre 2010, ha confermato la colpevolezza di un contribuente, per avere, quale legale rappresentante di una SRL omesso il versamento di ritenute certificate per un importo di oltre € 162mila euro in relazione all’anno di imposta 2004 rilevando, che la prova dell’avvenuta certificazione poteva ritenersi raggiunta sulla base dei modelli 770 e che la tesi della insussistenza di consapevolezza e della non ascrivibilità del reato all’amministratore, già formulata davanti al Tribunale, non poteva trovare accoglimento per le “ragioni esplicitate dal primo giudice, ancorate a precisi riferimenti fattuali e temporali e corroborate da ineccepibili rilievi sul piano della logica e della verosimiglianza”.

Avverso la sentenza di condanna l’amministratore è ricorso in Cassazione.

Tra i principali motivi del ricorso l’amministratore evidenzia che in relazione all’attribuzione di responsabilità, la sentenza dei giudici del merito non ha tenuto conto del fatto che egli aveva assunto la carica di amministratore della società solo nel maggio del 2005 , mentre il termine per il pagamento scadeva il successivo 28 settembre: ad avviso dell’amministratore ricorrente dunque, non poteva essergli attribuito il fatto sia dal punto di vista della condotta, sia sotto il profilo della consapevolezza intenzione.

La disposizione contestata

I giudici di legittimità osservano che la disposizione di legge contestata è quella di cui all’art. 10-bis, del D.Lgs. n.74/2000; secondo un precedente orientamento giurisprudenziale della Cassazione è stato evidenziato che l’assunzione della carica di amministratore comporta, per comune esperienza, una minima verifica della contabilità, dei bilanci e delle ultime dichiarazioni dei redditi. Ove ciò non avvenga, è evidente che colui che subentra nelle quote e assume la carica si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze. Nel caso in esame, non si trattava di un debito verso l’erario particolarmente remoto o nascosto, poiché si trattava di versamenti dovuti sulla base dell’ultima dichiarazione (presentata nello stesso anno 2005) e quindi bastava, prima di assumere la carica di amministratore, chiedere di visionare la documentazione fiscale più recente.

Le verifiche dunque erano assai semplici e coincidevano con i minimi riscontri d’obbligo che devono essere eseguiti prima del subentro nella carica: si trattava di un debito (con conseguente obbligo di versamento) risultante dall’ultima dichiarazione fiscale e, quindi, facilmente constatabile.

Per i giudici di legittimità ammesso che il neo amministratore non avesse eseguito neppure tale elementare riscontro, si tratterebbe comunque di un fattore addebitabile a titolo di dolo eventuale, quale sarebbe l’elemento psicologico di colui che , in ipotesi, diviene amministratore di una SRL senza alcun previo controllo di natura puramente documentale, almeno sugli ultimi adempimenti fiscali.

Alcuni orientamenti precedenti

La Corte di Cassazione, con la sentenza n.21503 del 30 novembre 2012, ha affermato che la sanzione, per l’omissione del deposito del bilancio da parte dell’ex amministratore, colpisce anche il nuovo amministratore.

La questione risale al maggio del 2006 quando la Camera di Commercio era ricorsa in Cassazione avverso la sentenza del Giudice di Pace che aveva accolto l’opposizione avanzata dal nuovo amministratore di società, avverso la cartella esattoriale che gli intimava il pagamento delle sanzioni per la violazione dell’art. 2435 c.c.; l’amministratore aveva omesso di depositare presso l’Ufficio del Registro delle imprese i bilanci relativi agli anni 1995, 1996 e 1997, avendo ritenuto le violazioni estinte per essere stata la relativa sanzione già pagata da altro amministratore della società coobligato in solido, nel luglio 2004.

La predisposizione dei bilanci di esercizio e la convocazione dell’assemblea dei soci per la loro approvazione costituiscono degli aspetti minimi ed essenziali della gestione delle società di capitali. La non osservanza di tali adempimenti può costituire un illecito in quanto:

a) viola un interesse tutelato (art. 2435 c.c.);

b) integra gli estremi di gravi irregolarità amministrative (art. 2409 c.c.).

Non rilevano invece le mere irregolarità come l’omessa sottoscrizione di bilancio di esercizio e relazione degli amministratori.

La predisposizione di bilanci non rispondenti al vero costituisce il fatto produttivo di una responsabilità civile degli amministratori e del collegio sindacale, con possibile concorso anche di responsabilità penale (ex artt. 2621 e ss. c.c.). Tra le principali violazioni in materia di bilancio sicuramente rientra la mancata redazione e/o deposito del bilancio.

I giudici di legittimità osservano che l’art. 2435 c.c., prevede che entro trenta giorni dalla sua approvazione una copia del bilancio e dei documenti ad esso corredati sia depositata presso l’Ufficio del Registro delle Imprese a cura degli amministratori della società; il successivo art. 2630 c.c., sanziona l’inosservanza di tale adempimento nei confronti di chiunque vi sia obbligato.

La norma, per la Corte di Cassazione, porta quindi a ritenere che l’obbligo di depositare il bilancio presso l’Ufficio del Registro faccia carico a ciascun amministratore, con l’effetto che, se l’obbligo rimane non osservato, ciascuno di essi risponde per fatto proprio e l’irrogazione della sanzione prescinde da qualsiasi rapporto di solidarietà.

Ne deriva che il pagamento della sanzione applicata per l’inosservanza dell’obbligo in discorso a carico di uno degli amministratori non può avere effetto estintivo del provvedimento sanzionatorio emesso nei confronti di altro amministratore, rispondendo ciascuno per un fatto proprio.

Un’altra interessante sentenza della Corte di Cassazione è la n. 15660 dell’8 aprile 2014; la Suprema Corte ha affermato che l’amministratore di una società è responsabile anche delle inadempienze pregresse perché prima di assumere così importanti incarichi deve verificare la contabilità, i bilanci e la dichiarazione dei redditi; l’amministratore della società è, pertanto, responsabile degli omessi versamenti IVA relativi ad incassi avvenuti prima della sua nomina. L’amministratore di una SRL ha proposto ricorso in Cassazione avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello che ha confermato la sentenza del Tribunale con la quale lo stesso ricorrente era stato riconosciuto colpevole, quale legale rappresentante , per il reato previsto dall’articolo 8-ter del D.Lgs. 74/2000 perché non versava nel termine previsto per il pagamento dell’acconto IVA relativo al periodo di imposta successivo, la somma di € 256.802,00 (dunque per un ammontare superiore a 50.000,00 euro) per il periodo di imposta 2005, il 27.12.2006, termine previsto per il versamento dell’acconto IVA relativo al periodo di imposta successivo.

I giudici del merito avevano ritenuto che, benché l’amministratore fosse subentrato al precedente amministratore, quale legale rappresentante della società nell’aprile del 2006 e che non si poteva escludere che, prima del suo ingresso, altri soggetti avessero incassato l’IVA senza versarla nel termine previsto dalla normativa fiscale, tali circostanze non rilevavano sotto il profilo della responsabilità penale come amministratrice in quanto, pur nominata legale rappresentante solo nell’aprile 2006, aveva avuto tutto il tempo sino al dicembre 2006, ben sette mesi, per provvedere al versamento delle ritenute al fine di evitare la propria responsabilità penale.

Inoltre non si poteva ritenere che tra il 24.4.2006 ed il 26.9.2006 la SRL si trovasse in condizioni economiche tali da rendere impossibile all’amministratore di procedere al versamento dell’IVA con conseguente inesigibilità della condotta la cui omissione integra il reato contestato.

I giudici di legittimità nella sentenza n. 15660, dell’8 aprile 2014, analizzano le motivazioni del ricorso dell’amministratore dove si afferma che la finalità della norma introdotta dal legislatore con il decreto legge del 4.7.2006 n. 223, convertito nella legge 248/2006, è quella di evitare illecite distrazioni di somme dovute allo Stato a titolo di IVA da parte di chi, avendole ricevute, scientemente o incautamente, le distolga da tale dovuto versamento. Se questa è la finalità che l’art. 10-ter della citata normativa mira a perseguire, esso non può trovare applicazione nei confronti di chi non si sia reso responsabile della sottrazione.

Sarebbe questo il caso in esame in quanto l’amministratore ricorrente, allorché è subentrato quale amministratore della società, non ha trovato alcuna liquidità da destinare al pagamento dell’IVA. La sua responsabilità per l’omesso versamento dell’IVA dovuta per il precedente anno di esercizio, poteva essere affermata solo ove vi fosse stata la prova positiva che al momento del suo subentro nella gestione della società vi era nelle casse della società il denaro da versare all’erario.

Per la Corte di Cassazione non corrisponde al vero quanto affermato dall’amministratore ricorrente; i giudici del merito di secondo grado hanno puntualmente motivato in proposito, ritenendo che colui che subentra nella carica di amministratore di una società si espone a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze.

Per i giudici di legittimità il ricorrente avrebbe dovuto e potuto, in primo luogo, effettuare, prima di assumere la carica di amministratore, una minima verifica della contabilità, dei bilanci e delle dichiarazioni dei redditi e, in secondo luogo, raccogliere dal momento del subentro (aprile 2006) in poi le liquidità occorrenti per il pagamento a fine dicembre dell’IVA.

La scelta del ricorrente di destinare i proventi del 2006 al pagamento di debiti diversi da quelli verso l’erario si risolve quindi automaticamente nell’accettazione del rischio di non poter versare l’IVA nel termine penalmente rilevante .

È poi del tutto irrilevante il fatto che la società non disponesse, alla data prevista per il versamento dell’IVA, della liquidità sufficiente per fare fronte all’adempimento di tale obbligo perché lo stato di insolvenza, peraltro non ritenuto provato dai giudici di merito, non si può configurare come scriminante in materia di omesso versamento dei tributi erariali.

Quanto ai restanti motivi di gravame, la Corte territoriale ha puntualmente e compiutamente motivato, rilevando, per ciò che concerne le attenuanti generiche, che la natura dei precedenti penali per i quali era già stato concesso detto beneficio escludeva la possibilità di accogliere la relativa richiesta,venendo dunque meno la possibilità per il giudicante di effettuare un giudizio prognostico favorevole in ordine alla astensione della ricorrente dal compiere ulteriori reati.

In relazione al trattamento sanzionatorio, infine, i giudici di merito hanno fornito adeguata e logica motivazione, ritenendo la non eccessività della pena base applicata all’imputata sulla base del considerevole ammontare dell’imposta evasa.

La Corte di Cassazione, dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

La Corte di Cassazione, infine, con la sentenza n. 39082, del 23 settembre 2013, ha accolto il ricorso di un ex amministratore annullando la sentenza dei giudici del merito, affermando che il precedente amministratore risponde del reato di omissione solo se si dimostra che la sua gestione era finalizzata all’evasione dell’imposta. Per i giudici di legittimità non è sempre responsabile del reato di omesso versamento dell’IVA l’ex amministratore se la situazione patrimoniale della società, da lui amministrata nel momento in cui era in carica, non era chiara; è compito, inoltre, della pubblica accusa ricostruire i movimenti di cassa nelle varie fasi di vita della società al fine di determinare eventuali responsabilità penali.

Il Tribunale con ordinanza del novembre 2012, aveva confermato il sequestro preventivo di immobili e quote di immobili, oltre autoveicoli disposto dal G.I.P. presso il medesimo Tribunale con decreto dell’ottobre 2012, nei confronti dell’ex amministratore di una società per azioni, dichiarata fallita, per i reati di cui all’articolo 10-ter del D.Lgs. 74/2000, perché ometteva di versare entro il termine per il versamento dell’acconto per il periodo successivo la somma di poco inferiore a 217.000 euro dovuta a titolo d’imposta sul valore aggiunto, in base alla dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2009.

Il Tribunale evidenziava che il termine per il pagamento dell’IVA relativa al 2009 era da individuarsi al 27 dicembre dell’anno successivo, data nella quale la società era già fallita; tuttavia l’imputato era stato amministratore della società fino al 27 aprile del 2010, e pertanto, il reato era stato determinata dalla sua gestione, che non aveva accantonato le somme necessarie per il pagamento del debito IVA.

Nel ricorso in Cassazione l’ex amministratore sottolinea che la violazione è stata commessa in un momento in cui, oltre a non essere più amministratore della società, la stessa era già stata dichiarata fallita; di conseguenza anche volendo non avrebbe potuto pagare al posto del curatore fallimentare già nominato dal Tribunale. L’ex amministratore evidenzia, inoltre, la mancanza della prova decisiva della sua colpevolezza, non essendo stati ammessi documenti che avrebbero evidenziato una situazione non chiara in quanto nel corso del 2009, la società versava già in situazione di “sofferenza” e i fidi bancari erano già stati revocati, per cui era impossibile adempiere al versamento dell’imposta.

Per i giudici di legittimità il ricorso dell’ex amministratore è giustificato. La Corte di Cassazione , in particolare, evidenzia che il Tribunale del Riesame sottolinea l’erronea determinazione del tempus commissi delicti, per individuare proprio al 27 dicembre 2010, il perfezionarsi della fattispecie, nonostante il ricorrente, a quel tempo, fosse già stato dichiarato fallito e i poteri gestori dell’impresa erano già transitati nelle mani del curatore fallimentare.

Perciò non essendo più l’amministratore della società in quella data non avrebbe potuto adempiere più a tale obbligo, né l’ordinanza impugnata ha evidenziato altri specifici elementi probatori, durante le indagini fino a quel momento svolte, dai quali desumere che la pregressa gestione fosse stata volta all’evasione dell’IVA, ed a tale scopo fossero indirizzati i mancati accantonamenti ai quali l’ordinanza fa generico cenno; nulla si dice, ad esempio, dell’eventuale residuo di cassa travato dal curatore e se la somma fosse o meno sufficiente per l’esecuzione del pagamento o se vi fossero, nel passivo fallimentare, altri debiti aventi grado anteriore onde il pagamento si sarebbe palesato in violazione della par condicio.

Per i giudici di legittimità solo provando tali circostanze sarebbe stato possibile ascrivere il delitto al precedente amministratore a norma dell’art.48 del codice penale, in base al quale, del fatto commesso da una persona ingannata risponde chi l’ha determinato a commetterlo.

Le conclusioni

Nel caso in esame la Cassazione ritiene non fondato il ricorso dell’amministratore; i giudici del merito di secondo grado dunque, del tutto correttamente hanno rigettato la lamentala del ricorrente avverso la decisione del Tribunale che aveva ritenuto, tra l’altro, “inimmaginabile che taluno possa assumere un incarico di amministratore ex abrupto e che nessuna norma prevede un periodo di vacanza del ruolo di garanzia assunto nell’ambito di qualsiasi impresa dall’amministratore”.

Le verifiche, per i giudici di legittimità, erano dunque dovute e corrispondevano con i minimi riscontri d’obbligo che devono essere eseguiti prima del subentro nella carica.

In conclusione, la Corte di Cassazione, respinge il ricorso dell’amministratore condannandolo anche al pagamento delle spese processuali.

19 dicembre 2014

Federico Gavioli