La produzione del P.V.C. non è essenziale

in caso di accertamento basato su un PVC notificato al contribuente, il Fisco può validamente motivare l’avviso per relationem senza riallegare il PVC stesso

La Suprema Corte di Cassazione, in questi giorni, con la sentenza n. 19756 del 19 settembre 2014 (ud. 30 giugno 2014), ha avallato la pronuncia dei giudici di appello dove era stato affermato che “i fatti indicati nell’atto impositivo possono ben essere richiamati per relationem al processo verbale di constatazione a suo tempo regolarmente consegnato … al termine della verifica. La mera mancata produzione in giudizio di tale p.v.c. – in difetto di una specifica dimostrazione di una effettiva lesione del diritto di difesa del contribuente (nella specie neppure tentata o allegata dalla ricorrente) – non inficia, perciò, la ricostruzione in fatto compiuta dalla CTR.

La successiva produzione in appello del suddetto p.v.c. non solo è da ritenersi consentita ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art.58, comma 2 (per nuovi documenti, ai sensi di detto art. 58, si intendono quelli non prodotti o irregolarmente prodotti in primo grado: ex plurimis, Cass. n.9604 del 2000; n. 2017 del 2003; n. 200086 del 2005; n. 7714 del 2013), ma nella specie la produzione non era neppure necessaria (come puntualmente rilevato dalla CTR), dato il suddetto richiamo per relationem.

Tale osservazione renderebbe irrilevante anche l’eventuale mancato rispetto del termine perentorio previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art.32, comma 1, (cioè fino a venti giorni liberi prima dell’udienza, con l’osservanza delle formalità di cui all’art. 24, comma 1, dello stesso decreto): fatto, peraltro, non dedotto dalla ricorrente (sulla perentorietà del termine, anche in assenza di espressa previsione legislativa, ex plurimis: Cass. n.2787 del 2006; n.1915 del 2007; n. 20109 del 2013; n. 655 del 2014)”.

 

La CTR, infatti, “nel rigettare l’appello, ha implicitamente, ma chiaramente, ritenuto irrilevante la mancata produzione in giudizio del p.v.c.…, ritenendo sufficiente la riproduzione nell’atto impositivo (e nel p.v.c.) notificato alla s.r.l. … di alcuni dati contenuti nell’altro p.v.c.. Va ricordato, al riguardo, che il giudice del merito non è tenuto a dare conto del fatto di aver valutato analiticamente tutte le risultanze processuali, nè a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti, essendo sufficiente che egli, dopo averli vagliati nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter logico seguito, implicitamente disattendendo gli argomenti incompatibili con la decisione adottata (come, nella specie, l’obiezione della contribuente che i dati presi in considerazione dalla CTR e riprodotti nell’atto impositivo erano contenuti in un p.v.c. notificato…, ma non prodotto in giudizio): per tale principio, tra le molte pronunce, Cass. n. 4540 del 1982; n. 14972 del 2006; n. 16650 del 2011; n. 8702 del 2013. La CTR, in effetti, ha preso in considerazione, tra i dati acquisiti in giudizio, quelli contenuti (secondo quanto affermato dalla Guardia di finanza) nel p.v.c. relativo a … ed ha negato rilevanza alla mera circostanza formale della mancata produzione in giudizio di tale p.v.c, rendendo cosi evidente il suo complessivo percorso motivazionale. Poichè non è stato ritualmente negato che i dati in discorso siano conformi a quelli contenuti nel p.v.c. e poichè è riservata al giudice di merito la selezione e la valutazione degli elementi probatori, ne deriva che tale motivazione del giudice di merito (non sussistendo vizi logici) è insindacabile. Oltre a ciò, per le ragioni ora esposte, la mancata produzione in giudizio del p.v.c. … non integra neppure il fatto decisivo richiesto dall’art.360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5”.

La questione

Con sentenza n. 1385 del 21 gennaio 2011 (ud. del 16 novembre 2010) la Corte di Cassazione aveva già confermato che in tema di appello avverso le decisioni delle commissioni Tributarie di primo grado, il D.Lgs. n. 54 del 1992, art. 58, comma 2, consente alle parti di produrre nuovi documenti, indipendentemente dalla circostanza dell’impossibilità incolpevole dell’interessato di produrli in primo grado; requisito, quest’ultimo, richiesto dall’art. 345 c.p.c., u.c., ma non dal citato art. 58. Da ciò consegue che costituisce erronea applicazione della norma in parola l’affermazione secondo cui la produzione documentale nel giudizio d’appello risulta illegittima ove non sia stata provata l’impossibilità incolpevole di versarla agli atti del giudizio di primo grado“.

La Cassazione, pertanto, ha ritenuto corretto il comportamento del giudice dell’appello che ha preso in considerazione il processo verbale della Guardia di Finanza prodotto solo in appello dall’ufficio.

 

E ancora con la sentenza n. 725 del 19 gennaio 2010 la Corte di Cassazione aveva già affrontato la questione relativa alla mancata produzione in giudizio del Pvc e alle conseguenze che ne derivano, alla luce anche delle modifiche apportate all’art. 7, c- 3, del D.Lgs.n.546/92, norma dedicata ai poteri dei giudici tributari ed oggetto di recente intervento legislativo (attraverso l’art. 3-bis del D.L. 30 settembre 2005 n. 203, collegato alla Finanziaria 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 02.12.2005 ed entrato in vigore il 03.12.2005) che ha soppresso il comma 3, del citato articolo 7, che prevedeva la facoltà da parte delle commissioni tributarie “di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia“.

La questione relativa alla mancata produzione in giudizio del pvc tiene divisa la giurisprudenza da diversi anni.

Da una parte1, la Commissione Tributaria Centrale, Sez. XIX, dec. n. 2871 del 2 maggio 2000, secondo cui non spetta al contribuente ma all’ufficio produrre in giudizio il processo verbale di constatazione sul quale siano fondati gli atti di accertamento, e la Corte Cassazione (sentenza n. 10148 del 2 agosto 2000) secondo cui se l’atto cui si fa riferimento non viene messo a disposizione del giudice lo stesso non è posto in grado di decidere.

Dall’altra parte, la sentenza n. 31 della CTR della Lombardia, Sezione 39, del 20.05.2005 che pone l’onere a carico del ricorrente, poiché se l’avviso di accertamento impugnato richiama per relationem il processo verbale di constatazione, quale sua parte integrante, l’atto impugnato è costituito dall’insieme dei due atti, e di conseguenza, ai sensi degli artt. 18 e 22 del D.Lgs. n. 546/1992, all’atto della costituzione in giudizio il ricorrente è onerato di produrre originale o copia dell’avviso di accertamento ma anche originale o copia del processo verbale di constatazione.

 

Di recente, con la sentenza n. 725 del 19.01.2010 la Corte di Cassazione aveva affermato che “In tema di contenzioso tributario l’acquisizione d’ufficio dei documenti necessari per la decisione costituisce una facoltà discrezionale, attribuita alle commissioni tributarie dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, comma 3 il cui esercizio, peraltro, non può sopperire al mancato assolvimento dell’onere della prova, il quale grava sull’Amministrazione finanziaria, in qualità di attrice in senso sostanziale, e si trasferisce a carico del contribuente soltanto quando l’Ufficio abbia fornito indizi sufficienti per affermare la sussistenza dell’obbligazione tributaria. Tuttavia qualora la situazione probatoria sia tale da impedire la pronuncia di una sentenza ragionevolmente motivata senza l’acquisizione d’ufficio di un documento, l’esercizio di tale potere si configura come un dovere, il cui mancato assolvimento deve essere compiutamente motivato, (in applicazione di tale principio la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, la quale aveva rigettato l’impugnazione di un avviso di accertamento motivato ‘per relationem’ attraverso un processo verbale di constatazione, astenendosi immotivatamente dal disporre l’esibizione in giudizio di tale documento)”.

In pratica, se necessario per decidere, ovvero per motivare la sentenza, è dovere del giudice acquisirlo, e in ogni caso l’ufficio può produrlo anche in sede di appello.

4 dicembre 2014

Roberta De Marchi

 

  • 1Cfr. anchela CTR del Piemonte, Sez. XXXI, Sent. n. 98 del 20 gennaio 2000, secondo cui si lede il diritto di difesa del contribuente se non viene posto in condizione di conoscere il contenuto della pretesa addotta nei suoi confronti mediante la tempestiva conoscenza del pvc della Guardia di finanza richiamato nell’accertamento motivato per relationem.