La nuova normativa sulle società cessate

dopo il Decreto sulle semplificazioni, la cancellazione di una società di capitali dal Registro delle imprese non cancella eventuali debiti tributari di cui possono rispondere gli ex liquidatori o soci

L’art. 28, c. 4, del D.Lgs. n. 175 del 21 novembre 2014, a decorrere dal 13 dicembre 2014, ha previsto che ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti diliquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi econtributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cuiall’art. 2495 c.c. ha effetto trascorsi cinque anni dallarichiesta di cancellazione del Registro delle imprese. Inoltre, il successivo comma 5, dello stesso articolo 28 ha modificato le regole relative alla responsabilità dei liquidatori, previste dall’art. 36, del D.P.R. n. 602/73.

 

LE VECCHIE REGOLE

A partire dal 1° gennaio 2004, l’art. 2495 c.c., per le società di capitali1, dispone che approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese. Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società.

La modifica normativa del 2004 ha portato a tutta serie di storture fiscali, su cui la Corte di Cassazione, con la nota sentenza n. 6070 del 12 marzo 2013 (ud. 12 febbraio 2013), ha preso una precisa posizione, sia in ordine agli effetti sostanziali che processuali della cancellazione delle società.

Quanto ai primi, per le Sezioni Unite emerge che:

  • non è autorizzabile “la conclusione che, con l’estinzione della società derivante dalla sua volontaria cancellazione dal registro delle imprese, si estinguano anche i debiti ancora insoddisfatti che ad essa facevano capo. Né è ipotizzabile che la volontaria estinzione dell’ente collettivo comporti la cessazione della materia del contendere nei giudizi contro di esso pendenti per l’accertamento di debiti sociali tuttora insoddisfatti, in quanto ciò significherebbe imporre un ingiustificato sacrificio del diritto dei creditori;

  • se deve escludersi che la cancellazione dal registro, pur provocando l’estinzione dell’ente debitore, determini al tempo stesso la sparizione dei debiti insoddisfatti che la società aveva nei riguardi dei terzi, “è del tutto naturale immaginare che questi debiti si trasferiscano in capo a dei successori e che, pertanto, la previsione di chiamata in responsabilità dei soci operata dal citato art. 2495 implichi, per l’appunto, un meccanismo di tipo successorio. I soci, infatti, sono gli effettivi titolari dei debiti sociali nei limiti della responsabilità che essi avevano secondo il tipo di rapporto sociale prescelto;

  • il subingresso dei soci nei debiti sociali, sia pure entro i limiti e con le modalità sopra indicate, “suggerisce immediatamente che anche nei rapporti attivi non definiti in sede di liquidazione del patrimonio sociale venga a determinarsi un analogo meccanismo successorio”.

Quanto ai secondi (effetti processuali):

  • una società non più esistente, perché cancellata dal registro delle imprese, non può validamente intraprendere una causa, nè esservi convenuta (salvo quanto previsto in materia di fallimento);

  • qualora la cancellazione intervenga a causa già iniziata è inammissibile l’impugnazione proposta dalla società estinta2, così come di quella proposta nei suoi confronti3, nei processi in corso; la legittimazione sostanziale e processuale, attiva e passiva, si trasferisce automaticamente, ex art. 110 c.p.c., ai soci, che, per effetto della vicenda estintiva, divengono partecipi della comunione in ordine ai beni residuati dalla liquidazione o sopravvenuti alla cancellazione, e, se ritualmente evocati in giudizio, parti di questo, pur se estranei ai precedenti gradi del processo4 (“l’aver ricondotto la fattispecie ad un fenomeno successorio … consente abbastanza agevolmente di ritenere applicabile, quando la cancellazione e la conseguente estinzione della società abbiano avuto luogo in pendenza di una causa di cui la società stessa era parte, la disposizione dell’art.110 c.p.c. (come già affermato anche da Cass. 6 giugno 2012, n. 9110). Tale disposizione contempla, infatti, non solo la ‘morte’ (come tale riferibile unicamente alle persone fisiche), ma altresì qualsiasi ‘altra causa’ per la quale la parte venga meno, e dunque risulta idonea a ricomprendere anche l’ipotesi dell’estinzione dell’ente collettivo”;

  • l’esigenza di stabilità del processo, che eccezionalmente ne consente la prosecuzione pur quando sia venuta meno la parte, se l’evento interruttivo non sia stato fatto constare nei modi di legge, deve considerarsi limitata al grado di giudizio in cui quell’evento è occorso, in difetto di indicazioni normative univoche che ne consentano una più ampia esplicazione;

  • quando l’impugnazione non sia diretta nei confronti della “giusta parte“, o non provengada essa, “l’impugnazione medesima dev’essere dichiarata inammissibile”.

In estrema sintesi, i principi di diritto affermati dalla Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, nella sentenza n. 6070/2013, sono i seguenti:

  • qualora all’estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) si trasferiscono del pari ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese, ancorchè azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato“;

  • la cancellazione volontaria dal registro delle imprese di una società, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società medesima, impedisce che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio. Se l’estinzione della società cancellata dal registro intervenga in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo del processo, disciplinato dall’art. 299 c.p.c. e segg., con possibile successiva eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci. Ove invece l’evento estintivo non sia stato fatto constare nei modi previsti dagli articoli appena citati o si sia verificato quando il farlo constare in quei modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta.”

Estinta la società, sostanzialmente, l’Amministrazione Finanziaria poteva esercitare l’azione di responsabilità ex art. 36, del D.P.R. n. 602/735, nei confronti del liquidatore di una società (ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 602/1973) nel caso in cui questi abbia esaurito le disponibilità della liquidazione senza provvedere al pagamento del credito tributario, a condizione che il debito tributario della società sia certo ed esigibile e che vi sia certezza legale che i medesimi crediti non siano stati soddisfatti con le attività della liquidazione medesima.

L’art. 36, del D.P.R. n. 602/73, infatti, disciplina la responsabilità e gli obblighi degli amministratori, dei liquidatori e dei soci. In virtù di detta norma, prima delle modifiche da ultimo apportate,“i liquidatori dei soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche che non adempiono all’obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori rispondono in proprio del pagamento delle imposte se soddisfano crediti di ordine inferiore a quelli tributari o assegnano beni ai soci o associati senza avere prima soddisfatto i crediti tributari. Tale responsabilità è commisurata all’importo dei crediti di imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti”. Tale disposizione si applica agli amministratori in carica all’atto dello scioglimento della società o dell’ente se non si sia provveduto alla nomina dei liquidatori. Il comma 3 del citato articolo 36 del D.P.R. n. 602/73 prevede che i soci o associati, che hanno ricevuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione danaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o hanno avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dai soggetti di cui al primo comma nei limiti del valore dei beni stessi, salvo le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile. Le responsabilità previste sono estese agli amministratori che hanno compiuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione operazioni di liquidazione ovvero hanno occultato attività sociali anche mediante omissioni nelle scritture contabili. Ai sensi dell’art. 19 del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, l’art. 36 del D.P.R. n. 602/1973 è applicabile alle sole imposte sui redditi. La responsabilità è accertata dall’ufficio finanziario, con atto motivato, da notificare ai sensi dell’art. 60 del D.P.R. n. 600/73.

Tale norma nel corso di questi anni è stata più volte letta dalla Corte di Cassazione, che prendono comunque le mosse dalla sentenza n. 1273/1978, secondo cui la responsabilità di cui all’art. 36 del D.P.R. n. 602/73 “non ha natura fiscale, né aquiliana da illecito (Cassazione 6 luglio 1977, n. 2972), ma nasce ex lege, nei confronti non solo del liquidatore. ma pure dell’amministratore per la condotta tenuta nel corso della fase successiva allo scioglimento, anche in via di mero fatto, della società, si correla all’obbligo di accantonare, avendone la disponibilità, le somme necessarie al pagamento delle imposte dovute dalla società (ancorché siano in contestazione davanti alle Commissioni tributarie). E per sottrarsi ad essa il liquidatore (o amministratore) non ha altra scelta, una volta constatato che le attività sociali non consentono l’accantonamento delle somme necessarie al pagamento di debiti d’imposta ed al pagamento integrale dei creditori sociali, man mano che i rispettivi crediti giungono a scadenza, che la richiesta di fallimento della società (Cassazione 29 ottobre 1974, n. 329)”. Tre sono i presupposti della responsabilità: “a) l’esistenza di un debito per imposte dirette, totalmente o parzialmente insoluto, facente capo alla società (o soggetto tassato in base al bilancio); b) la esistenza di attività nel patrimonio sociale in liquidazione ovvero, se non sono stati nominati i liquidatori, di attività nel patrimonio della società che si è sciolta ope legis od in via di fatto indipendentemente dall’apertura formale dello stato di liquidazione; c) la distrazione da parte del liquidatore (o dell’amministratore) di tali attività a fini diversi dal pagamento delle imposte dovute”. La responsabilità del liquidatore “non sorge per il mero fatto del mancato pagamento, da parte della società, di debiti di imposta, ma solo se al mancato pagamento si accompagna la distrazione delle attività della società, in tutto o in parte, dalle finalità di soddisfacimento del debito fiscale. Il liquidatore non può essere equiparato, pertanto, ad un responsabile di imposta (così come il cessionario d’azienda). Si deve postulare un rapporto di dipendenza fra l’obbligazione tributaria societaria e quella personale ed autonoma del liquidatore (o amministratore). Ma detta autonomia esclude la solidarietà, nonché la sussidiarietà”. Il liquidatore risponde “a titolo proprio e la prestazione corrisponde oggettivamente a quella cui sarebbe stata tenuta la società; ma ciò non significa che egli risponde di quello stesso debitodi imposta (a titolo proprio di una obbligazione altrui) venendo a verificarsi una situazione di sussidiarietà (anche se diversa da quella più tipica, e non automatica)”. E “la responsabilità personale dei liquidatori non discende da una negligenza nella individuazione oggettiva del debito e nella ricerca dei creditori da soddisfare, e quindi da un comportamento colposo nello svolgimento delle relative indagini, per la fondamentale ragione che i debiti fiscali per imposte dirette non possono sfuggire anche al più superficiale esame della contabilità sociale, essendo strutturalmente connaturati alla esistenza della società6.

LE NUOVE REGOLE:IL D.LGS. n. 175/2014

L’art. 28, c. 4, del D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175, a decorrere dal 13 dicembre 2014, ha previsto che ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti diliquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi econtributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cuiall’art. 2495 c.c. ha effetto trascorsi cinque anni dallarichiesta di cancellazione del Registro delle imprese.

In pratica, ai soli fini fiscali, la società pur se estinta continua ad essere viva per 5 anni dalla richiesta di cancellazione, per consentire l’attività di accertamento, formale e sostanziale. E di conseguenza, rivivono i suoi organi ai fini dell’eventuale impugnazione degli atti.

Si tratta di una norma con la quale il legislatore vuole mettere un punto sul fenomeno delle società estinte, nate già per estinguersi, con gravi danni per l’Erario.

Inoltre, il comma 5, dell’articolo 28, del D.Lgs.n.175/2014, è intervenuto sull’art. 36, del D.P.R. n. 602/73, sostituendo così il primo comma: “I liquidatori dei soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche che non adempiono all’obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori rispondono in proprio del pagamento delle imposte se non provano di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci o associati, ovvero di avere soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari. Tale responsabilità è commisurata all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti”.

Al comma 3 del citato articolo 36 del D.P.R. n. 602/73 (norma che regola i rapporti relativi agli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione) è stato aggiunto che “Il valore del denaro e dei beni sociali ricevuti in assegnazione si presume proporzionalmente equivalente alla quota di capitale detenuta dal socio od associato, salva la prova contraria”.

Precisa il comma 6, dell’articolo 28, che dall’entrata in vigore delle disposizioni relative alle società estinte e alla responsabilità dei liquidatori, non discendono obblighi di dichiarazione nuovi o diversi rispetto a quelli vigenti.

Il comma 7, dell’articolo 28, incidendo sull’art. 19, del D.Lgs. n.46 del 26 febbraio 1999, estende, inoltre, la responsabilità dei liquidatori anche alle altre imposte diverse dalle imposte sui redditi.

18 dicembre 2014

Gianfranco Antico

1 Per le società di persone, ai sensi dell’art. 2312 c.c., approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese. Dalla cancellazione della società i creditori sociali che non sono stati soddisfatti possano far valere i loro crediti nei confronti dei soci (i soci illimitatamente responsabili – ex art. 2267 c.c. – restano tali anche dopo la cancellazione della società) e, se il mancato pagamento è dipeso da colpa dei liquidatori, anche nei confronti di questi. Le scritture contabili ed i documenti che non spettano ai singoli soci sono depositati presso la persona designata dalla maggioranza. Le scritture contabili e i documenti devono essere conservati per dieci anni a decorrere dalla cancellazione della società dal registro delle imprese.

2 Cfr. Cass. 15 aprile 2010, n. 9032 e Cass. 8 ottobre 2010, n.20878.

3 Cfr. Cass. 10 novembre 2010, n.22830.

4 Cfr. Cass. 6 giugno 2012, n. 9110; Cass. 30 luglio 2012, n. 12796; Cass. 5 dicembre 2012, n. 21773.

5 Fermo restando, nelle società a ristretta base azionaria, in presenza di accertamento in capo alla società, la possibilità di notificare un accertamento personale ai soci per presunzione di distribuzione utili. Infatti, nell’ipotesi in cui, successivamente alla notifica di un accertamento, la società si estingue, se trattasi di società a ristretta base azionaria, l’ufficio potrebbe procedere nei confronti delle persone fisiche, presumendo la distribuzione in capo ai soci degli utili non contabilizzati, oggetto di contestazione in capo alla società. La legittimità della presunta distribuzione in capo ai soci degli utili non contabilizzati da parte delle società a ristretta base azionaria, che non abbia optato per il regime di trasparenza di cui all’art.116 del T.U. n. 917/86, è ormai consolidata, pur sé per le società di capitali, di norma, vige, ai fini tributari, la netta separazione tra la società e i singoli soci. Va rilevato, peraltro, che per effetto dell’art. 2328, c. 1 del c.c. e dell’art. 2463, c. 1, del c.c. è previsto, sia per le s.p.a. che per le s.r.l., la possibilità di costituire tali società con un unico socio, dove ovviamente (e non potrebbe essere diversamente) tutto il potere decisionale è in capo all’unico socio. La questione, in assenza di una specifica disposizione normativa che preveda tale forma di tassazione, a differenza di quanto previsto dall’art. 5, del T.U. n. 917/86, per le società di persone, è da anni oggetto di dibattito dottrinario e giurisprudenziale. Infatti, se nelle società di persone l’imputazione ai soci del reddito societario è svincolato dalla effettiva distribuzione degli utili, nelle società di capitali, indipendentemente dall’esistenza di una ristretta base azionaria, è legato alla effettiva distribuzione. Detta presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati non viola, in ogni caso, il divieto di presunzione di secondo grado, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci (Cass. n. 7174/2002).Rimane salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, per essere stati, invece, accantonati dalla società ovvero da essa reinvestiti (Corte di cassazione 8 luglio 2008, n. 18640). Per comune sentire si intende come società a ristretta base azionaria quella società costituita da un numero esiguo di soci, legati da vincoli non necessariamente di parentela, ove la complicità costituisce la caratteristica principale di un gruppo così composto. La legittimità di tale interpretazione presuntiva (imputazione in capo ai soci dei maggiori redditi accertati in capo alla società) in presenza di società a base familiare, o comunque a ristretto azionariato, è stata da sempre ritenuta legittima dalla Corte di Cassazione, puntando sulla constatazione che la ristretta base azionaria costituisce, da sola, la prova presuntiva di distribuzione degli utili ai soci, capovolgendo così l’onere della prova cfr. fra le altre, la sentenza n. 4695 del 18.10.2001, depositata il 2.4.2002).

6Cfr. anche Cass. sent.n.12546/2001 (l’azione di responsabilità è esercitabile “alla duplice condizione che i ruoli in cui siano iscritti i tributi della società possano essere posti in riscossione e che sia acquisita legale certezza che i medesimi non siano stati soddisfatti con le attività della liquidazione medesima); Cass. sent. n. 8685/2002 (“L’azione di responsabilità nei confronti del liquidatore di una società … è esercitabile alla duplice condizione che i ruoli, in cui siano iscritti i tributi a carico della società, possano essere posti in riscossione e che sia acquisita legale certezza che i tributi medesimi non siano stati soddisfatti con le attività di liquidazione”); Cass. ord. n. 12149/2010, che ha richiamato un proprio precedente secondo cui “laresponsabilità D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 36, trova la sua fonte in unaautonoma obbligazione legale, che insorge quando ricorrono gli elementiobiettivi della sussistenza di attività nel patrimonio della società inliquidazione e della distrazione di tali attività a fini diversi dalpagamento delle imposte dovute (Cass. 12546/2001)”; Cass. sent. n. 7327/ 2012, secondo cui “Si tratta di azione esercitabile alla duplice condizione che i ruoli in cui siano iscritti i tributi della società possano essere posti in riscossione e che sia acquisita legale certezza che i medesimi non siano stati soddisfatti con le attività della liquidazione medesima (cfr. SU 2820/1985; C. 2768/1989, 9688/1995, 8685/2002)”. L’inosservanza da parte del liquidatore di uno specifico obbligo di legge su lui gravante, comporta, inoltre, “che una tale responsabilità possa essere invocata dall’amministrazione finanziaria solo una volta realizzatesi le suddette due condizioni, nell’ordinario termine decennale di prescrizione. Essa, infatti, non è di per sè equiparabile all’obbligazione derivante dalla responsabilità verso i creditori (artt. 2394 e 2456 c.c., ora art. 2495 c.c.), né qualificabile come coobbligazione nei debiti tributari (cfr. SU 2079/1989). Essa è, invece, riconducibile alle norme degli artt. 1176 e 1218 c.c., (C. 12546/ 2001), con onere per l’Amministrazione di provare d’avere iscritto i relativi crediti quantomeno in ruoli provvisori, dei quali poter pretendere il pagamento in via sussidiaria nei confronti del liquidatore (C. 10508/2008)”. Pertanto, a carico del liquidatore non vi è alcuna successione o coobbligazione nei debiti tributari, bensì responsabilità per obbligazione propria ex lege (artt. 1176 e 1218 c.c.). “Invero, quello verso il liquidatore e l’amministratore è credito dell’amministrazione finanziaria non tributario, ma civilistico, il quale trova titolo autonomo rispetto all’obbligazione fiscale, costituente mero presupposto della responsabilità stessa (SU 2767/1989), ancorchè detta responsabilità debba essere accertata dall’Ufficio con atto motivato da notificare ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, avverso il quale è ammesso ricorso secondo le disposizioni relative al contenzioso tributario (art. 36 cit., penult. e ult. co.)”.