La motivazione della sentenza deve essere puntuale e riferita al caso specifico

la Corte di Cassazione ha ribadito che sussiste il vizio di motivazione della sentenza quando il Giudice di merito non esplicita le ragioni della propria decisione, impedendo così la comprensione dell’iter logico seguito

Il fatto

Il contribuente aveva proposto ricorso per la cassazione della sentenza, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in una controversia avente ad oggetto il rimborso dell’Irap per gli anni dal 1999 al 2002, aveva accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la prima decisione favorevole invece al medesimo contribuente.

In particolare, il Giudice di appello aveva ritenuto che il contribuente fosse soggetto ad Irap, in quanto, nei periodi di imposta considerati, svolgeva attività di consulenza informatico – commerciale, con organizzazione adeguata, come risultava dalle evidenze offerte dalle parti, che documentavano beni strumentali, quote di ammortamento, consumi, spese di rappresentanza ed altre spese per importi affatto trascurabili.

Con il primo motivo di cassazione il ricorrente deduceva quindi la violazione, del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, comma 1, per avere ritenuto i giudici di secondo grado che l'”adeguata organizzazione” di cui disponeva il contribuente coincidesse con il requisito dell’autonoma organizzazione, laddove le spese di rappresentanza, le quote di ammortamento ed i consumi cui faceva riferimento il Giudice di appello costituivano piuttosto i costi minimi che dovevano essere necessariamente sostenuti per esercitare l’attività.

Con il secondo motivo censurava poi la sentenza impugnata di insufficiente motivazione, laddove malgrado il ricorrente, nell’atto introduttivo del giudizio, avesse precisato di svolgere l’attività con lavoro proprio, senza la collaborazione di dipendenti e senza un complesso di beni strumentali tali da far emergere una struttura organizzata, il Giudice di appello non aveva motivato in ordine alle ragioni per cui gli strumenti posseduti eccedessero la misura minima ed indispensabile per l’esercizio dell’attività.

Il decisum della Corte

La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 21796 del 15 ottobre 2014, ha dunque stabilito che in tema di Irap costituisce, ormai, ius recptum che presupposto per l’applicazione dell’imposta, secondo la previsione del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni, ovvero alla prestazione di servizi, il cui accertamento spetta al giudice di merito, e che ricorre quando il contribuente:

a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;

b)impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l'”id quod plerumque accidit”, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.

Secondo la Corte, dunque, la motivazione della sentenza impugnata si muoveva nel solco di tali principi interpretativi e pertanto il primo motivo di ricorso, andava rigettato.

La Suprema Corte accoglie invece il secondo motivo, come sopra evidenziato, affermando in particolare che “sussiste, invero, il vizio di motivazione dedotto non avendo il Giudice di appello esplicitato, impedendo così la comprensione dell’iter logico seguito, le ragioni per cui – a fronte degli elementi fattuali rassegnati dal ricorrente quali la mancanza di personale dipendente e la modestia dei beni strumentali – gli importi per spese e beni strumentali fossero “affatto trascurabili” ed integrassero, pertanto, il requisito dell’autonoma organizzazione richiesto dalla legge quale presupposto impositivo”.

Conclusioni

Il principio desumibile dagli artt. 132 c.p.c. e 118 disp. Att. dello stesso codice, secondo cui la mancanza, l’estrema concisione o la palese contraddittorietà della motivazione in diritto determinano la nullità della sentenza, allorquando rendano impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo, è applicabile anche al rito tributario come disciplinato dal Dlgs 546/92, in forza del generale rinvio (contenuto nell’art. 1 comma 2 del citato decreto) alle norme del codice di rito (Cass. Sez. Trib., sentenza 12.02.2001 n. 1944; Cass. n. 3282/99).

Sentenze come quelle in esame non consentono infatti all’Ufficio o al contribuente di individuare le ragioni della decisione adottata, sì da rendere impossibile la stessa contestazione della congruità della motivazione in relazione al caso deciso.

La funzione della motivazione di ogni provvedimento giurisdizionale consiste, infatti, proprio nel rendere evidente l’iter logico-giuridico seguito dal giudicante, consentendo così al soggetto interessato un’adeguata attività di controllo e difensiva.

La motivazione della sentenza, dunque, deve essere aderente alla concretezza del caso deciso, con gli opportuni specifici riferimenti agli elementi di fatto e di diritto che la caratterizzano.

17 dicembre 2014

Giovambattista Palumbo