L'imposta di registro segue la sostanza e non la forma

l’imposta di registro, in caso di una serie univoca di atti negoziali, segue la sostanza degli atti collegati e non la forma del singolo atto

Con la sentenza n. 21770 del 15 ottobre 2014 (ud. 2 luglio 2014) la Corte di Cassazione, partendo dal dettato normativo di riferimento (art. 20 D.P.R. n. 131/86), secondo cui l’imposta di registro è applicatasecondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli attipresentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o laforma apparente,ha rilevato che in sede giurisprudenziale si è affermato (cfr., più di recente, Cass. civ. sez. trib. 5 giugno 2013, n. 14150; tra le altre si vedano Cass. civ. sez. trib. 25 febbraio 2002, n. 2713; Cass. civ. sez. trib. 23 novembre 2001, n. 14900) “che la prevalenza della natura intrinseca degli atti registrati e dei loro effetti giuridici sul loro titolo e sulla forma apparente, vincola l’interprete a privilegiare, nell’individuazione della struttura del rapporto giuridico tributario, la sostanza sulla forma, cioè il dato giuridico reale conseguente alla natura intrinseca degli atti e ai loro effetti giuridici, rispetto a ciò che formalmente è enunciato, anche in maniera frazionata, in uno o più atti. Tale giurisprudenza, d’altronde, si è sviluppata parallelamente all’evoluzione normativa che ha caratterizzato la prestazione patrimoniale tributaria di registro, dal regime della tassa (corrispettivo del servizio di registrazione avente ad oggetto l’atto inteso nella sua forma documentale) a quello dell’imposta, avente come oggetto la manifestazione di capacità contributiva commisurabile ad una specifica forza economica. Da ciò deriva che il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, non è solo norma interpretativa degli atti registrati, ma una disposizione volta ad identificare l’elemento strutturale del rapporto giuridico tributario, che ‘è dato dall’oggetto e che viene fatto coincidere con gli effetti giuridici indicativi della capacità contributiva dei soggetti che li compiono’ (così, testualmente, la già citata Cass. n. 2713/2002)”.

Il fatto

Due contribuenti contraevano nel 2001 con una banca un mutuo di lire 250.000.000 (Euro 129.114,229), garantito da ipoteca sull’immobile di loro proprietà. Successivamente, nel 2003, i medesimi contribuenti costituivano una immobiliare in forma di s.n.c., conferendo, fra l’altro, l’azienda, sulla cui situazione patrimoniale gravava la passività rinveniente dalla quota sottoscritta del mutuo ipotecario.

Quindi, con successiva scrittura privata sempre nel 2003, i contribuenti cedevano le proprie quote di partecipazione ad altra società, la quale si accollava il residuo debito derivante dal mutuo ipotecario. La società acquirente cedeva infine a terzi tutti gli immobili di proprietà.

In ragione di tali fatti l’ufficio riqualificava il negozio giuridico della costituzione di società, tenendo conto della cessione di quote, come compravendita di azienda.

La sentenza

La statuizione contenuta nella sentenza impugnata (che ha riconosciuto gli effetti giuridici derivanti dal collegamento negoziale tra l’atto di costituzione di società e la successiva vendita a terzi delle quote della società di persone, costituita appena un mese prima, mediante conferimento dell’azienda e degli immobili sopra descritti come quelli propri di una compravendita immobiliare, anche tenendo conto quindi del comportamento delle parti successivo all’atto di costituzione della società stessa) per la Corte “è conforme, nell’applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, ai principi espressi dalla succitata giurisprudenza di questa Corte. In proposito va sottolineato, nel quadro interpretativo sopra delineato del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, che nella parte sopra indicata la motivazione della sentenza impugnata appare piuttosto semplicemente ultronea, nella parte in cui lascia intendere che al fenomeno sopra menzionato del collegamento negoziale, volto alla produzione di determinati effetti giuridici differenti da quelli cui corrispondono il titolo e la forma apparente degli atti in sé considerati, debba essere necessariamente sotteso un intento elusivo, o, ancor più, un vero e proprio abuso nel ricorso a taluni degli strumenti offerti dall’autonomia negoziale piuttosto che ad altri. Invero è stato già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr., più di recente, Cass. civ. sez. trib. 28 agosto 2013, n. 19752), che la regola interpretativa di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, prescinde da intenti elusivi, eventualmente ma non necessariamente posti a base della scelta negoziale complessa”.

Brevi richiami giurisprudenziali

Come è noto, la Corte di Cassazione, a SS.UU. (sentenza n. 30055 del 2008) ha sancito che “ il contribuente non possa trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con una specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa del risparmio fiscale, deve ritenersi, nella fattispecie, corretto l’operato dell’Ufficio che ha ritenuto che i due atti (costituzione della società con conferimento e cessione di quote) pur essendo distinti fra foro, avessero il solo scopo di far apparire come costituzione di società con conferimento di azienda agricola e successiva cessione di quota sociale, una vera e propria compravendita di beni immobili, aggirando tale operazione mediante lo sfruttamento del conferimento”.

Di recente, con la sentenza n. 14150 del 5 giugno 2013 (ud. 3 aprile 2013) la Corte di Cassazione ha ribadito che, in base all’art.20, del D.P.R. n. 131 del 1986, l’imposta di registro “è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente“. E sul punto la Corte richiama dei significativi precedenti (v. in particolare Sez. 5′ nn. 14900/01 e 2713/02) con cui ha chiarito che “la prevalenza della natura intrinseca degli atti registrati e dei loro effetti giuridici sul loro titolo e sulla loro forma apparente vincola l’interprete a privilegiare, nell’individuazione della struttura del rapporto giuridico tributario, la sostanza sulla forma; id est, il dato giuridico reale conseguente alla natura intrinseca degli atti e ai loro effetti giuridici, rispetto a ciò che formalmente è enunciato, anche frazionatamente, in uno o più atti. Con la conseguenza di doversi riferire l’imposizione al risultato di un comportamento sostanzialmente unitario, rispetto ai risultati parziali e strumentali di una molteplicità di comportamenti formali”. E conclude affermando il seguente principio: “In tema di imposta di registro, il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, attribuisce prevalenza, ai fini dell’interpretazione degli atti registrati, alla natura intrinseca e agli effetti giuridici degli stessi sul loro titolo e sulla loro forma apparente; e in tal senso vincola l’interprete a privilegiare il dato giuridico reale rispetto ai dati formalmente enunciati – anche frazionatamente – in uno o più atti. Pertanto una pluralità di operazioni societarie e/o di negozi, strutturalmente e funzionalmente collegati al fine di produrre un unico effetto giuridico finale costituito dal trasferimento della proprietà di beni immobili, vanno considerati, ai fini dell’imposta di registro, come un fenomeno unitario, anche in conformità al principio costituzionale di capacità contributiva“.

E con la sentenza n. 15319 del 19 giugno 2013 (ud. 28 febbraio 2013) la Corte di Cassazione ha confermato che l‘imposta di registro va applicata secondo la intrinseca natura degli atti, senza ritenerla una disposizione antieleusiva che necessita del contraddittorio1. La Corte di Cassazione prende le mosse dal dettato normativo (art. 20 D.P.R. n. 131/86 richiamato ai fini dell’applicazione delle imposte ipotecaria e catastale dall’art. 13 D.Lgs. n. 347 del 1990), secondo cui “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici, degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente“. La Corte osserva subito che, proclamando, ai fini dell’applicazione delle imposte in rassegna, la preminenza del reale dato giuridico, dell’effettiva causa negoziale dell’atto sottoposto a registrazione, rispetto al relativo assetto cartolare, la disposizione esprime “la precisa scelta normativa di assumere, quale oggetto del rapporto giuridico tributario inerente a dette imposte, gli atti registrati, in considerazione, non della loro consistenza documentale, ma degli effetti giuridici prodotti (v. Cass. 10273/07, 2713/02)”. Sul punto, precedenti pronunce hanno avuto modo di affermare che l’applicazione delle imposte in oggetto ai sensi dell’art.20, del D.P.R. n. 131/86, ha luogo, attesa l’unitarietà della causa, anche in ipotesi di collegamento negoziale; “di atti, cioè, che, ancorchè frazionatamente e non contestualmente, realizzino, sul piano della regolamentazione degli interessi dei contraenti, un preordinato unico risultato, identificabile in funzione di valutazione complessiva (cfr., tra le altre, Cass. 15192/10, 9162/10, 11769/08, 8098/06, 2713/02, 14900/01)”. Inoltre, osserva la Corte, che la norma, quand’anche ispirata pure a finalità genericamente antielusive, non configura “disposizione antielusiva” (del resto la sua formulazione, mutuata peraltro da normativa previgente, è storicamente ben precedente al diffondersi del dibattito sull’elusione), giacchè, in combinazione con il precedente art. 1, interviene a delineare positivamente l’ambito oggettivo del rapporto giuridico tributario di riferimento, con specifica opzione per i contenuti sostanziali degli atti registrati rispetto ai relativi profili meramente cartolari (v. Cass. 10273/07, 2713/02), e non pone (come, invece, fa, in relazione a situazioni specifiche, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis) una generale clausola antielusiva “di chiusura“, tesa a rendere comunque inopponibili all’Amministrazione finanziaria atti, fatti e negozi, che risultassero privi di valide ragioni economiche e diretti solo ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario. Pertanto, nella prospettiva dell’imposta di registro si procede alla ricostruzione dell’obiettiva portata, sul piano degli effetti giuridici, dell’attività negoziale posta in essere; ai fini dell’applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, si procede, invece, al riscontro della ricorrenza di circostanze (in particolare: assenza di valide ragioni economiche per la relativa adozione, aggiramento di obblighi o divieti fiscali) sintomaticamente denunzianti lo sviamento di forme negoziali dalla propria specifica funzione ed il loro uso distorto al solo fine del conseguimento d’indebito vantaggio fiscale. Ciò comporta che – “mentre la ricorrenza dell’intento elusivo non è essenziale ai fini dell’applicazione della previsione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 (cfr. Cass. 9162/10, 11769/08, 2713/02, 14900/01), in considerazione della specifica positiva definizione normativa dell’oggetto del rapporto impositivo – le condizioni prescritte ai fini dell’operatività della previsione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, e in particolare quella attinente all’obbligatorietà del contraddittorio preventivo, non possono ritenersi mutuabili, per l’eterogeneità morfologica e funzionale delle due disposizioni normative, ai fini dell’applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20”. La natura della disposizione di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 e, peraltro, l’estraneità delle imposte d’atto al novero dei tributi armonizzati privano, poi, di ogni rilievo i richiami operati dalle società contribuenti alla normativa ed alla giurisprudenza comunitaria in tema di obbligatorietà del contraddittorio in sede di procedimento amministrativo.

Conclusioni

In sede giurisprudenziale si sta confermando la tesi che la filosofia dell’imposta di registro è sostanzialmente diversa da quella delle imposte dirette. Non può parlarsi di disposizione antilelusiva, poiché è la stessa norma che impone la tassazione secondo l’intrinseca natura degli atti; di conseguenza, la ricorrenza dell’intento elusivo non è essenziale (e senza che sia obbligatorio il contraddittorio, in quanto non è mutuabile dalla normativa ai fini reddituali).

3 dicembre 2014

Gianfranco Antico

 

1 Nel caso di specie, in successione rapidissima il contribuente ha stipulato un contratto di finanziamento in riferimento ad immobili da apportare al Fondo comune di investimento immobiliare speculativo di tipo chiuso di Euro 563.460.000,00. La stessa società apportò 23 immobili di tipo industriale già locati al Fondo immobiliare indicato in precedenza, verso contestuale accollo liberatorio, da parte della società di gestione del Fondo, del finanziamento precedentemente acceso e, altresì, attribuzione di quote di partecipazione al Fondo, del valore di Euro 46.500.000, che, come da pregressi accordi, furono tutte cedute, nel giro di pochi giorni, ad altri partecipanti al Fondo ed investitori istituzionali qualificati. All’atto di apporto furono applicate le imposte ipotecaria e catastale in misura fissa. Sulla base di tali presupposti di fatto l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto che l’atto di apporto in oggetto s’inquadrava in una più ampia fattispecie di collegamento negoziale, di cui identificò il dato giuridico reale negli effetti tipici di una vendita immobiliare; e di conseguenza applicò l’imposta in misura proporzionale.