Registro IVA: è necessario per la detrazione dell'imposta | Sentenza di Cassazione

La corretta tenuta dei registri IVA è atto necessario alla possibilità di detrarre l’IVA sugli acquisti (Corte di Cassazione)

CORTE DI CASSAZIONE

Sentenza 1 ottobre 2014, n. 20698

Ritenuto in fatto

1. A seguito di processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza del 28.9.2000, venivano notificati a G.M., esercente il commercio all’ingrosso ed al dettaglio di bevande, due avvisi di accertamento, con i quali l’Ufficio recuperava a tassazione l’IVA indebitamente detratta, in conseguenza della mancata annotazione delle fatture di acquisto nell’apposito registro, ai sensi dell’art. 25 del d.P.R. 633/1972.

2. Gli atti impositivi venivano impugnati dalla contribuente dinanzi alla CTP di Terni, che accoglieva il ricorso.

3. L’appello avverso tale pronuncia, proposto dall’ Agenzia delle Entrate veniva, del pari, rigettato dalla CTR dell’Umbria, con sentenza n. 69/1/2007, depositata il 14.9.2007, con la quale il giudice di seconde cure riteneva che la G. non avesse del tutto omesso la registrazione delle fatture in contestazione, avendole comunque annotate su fogli mobili ad uso bollo, tenuto conto, altresì, della soppressione dell’obbligo di bollatura e vidimazione dei registri contabili operata dall’art. 8 l. 383/2001.

4. Per la cassazione della sentenza n. 69/1/2007 ha proposto, quindi, ricorso l’Agenzia delle Entrate articolando un unico motivo. La G. ha resistito con controricorso.

 

Considerato in diritto
1. Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 8 l. 383/2001, 23 e 25 del d.P.R. n. 633/1972, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.

1.1. Avrebbe, difatti, errato la CTR – a parere della ricorrente – nel ritenere che l’annotazione delle fatture di acquisto su semplici fogli mobili uso bollo, e non nell’apposito registro previsto dall’art. 25 del d.P.R. 633/1972, non costituisca violazione di detta disposizione e non comporti, di conseguenza, la perdita del diritto alla detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti effettuati negli anni in contestazione. E ciò in quanto il pregiudizio sostanziale per l’attività di accertamento, che sarebbe derivato da siffatta condotta della contribuente, non potrebbe non incidere sul diritto in parola, condizionato al rispetto anche di quegli adempimenti formali che consentano all’Ufficio la verifica in ordine al rispetto degli obblighi sostanziali da parte del contribuente.

 

1.2. Il motivo è fondato.

1.2.1. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, invero, il diritto del cessionario di beni alla detrazione di cui all’art. 19 del d.P.R. n. 633/1972, trova titolo nell’esatto adempimento degli obblighi di fatturazione e di registrazione di cui agli artt. 21, 23, 24 e 25 del citato d.P.R. – secondo i quali il cedente deve emettere la fattura per l’operazione imponibile, annotarla nel registro delle fatture e trasmetterne copia, con addebito del tributo, al cessionario, il quale deve, a sua volta, annotarla nel registro degli acquisti.

Ne discende che la detraibilità dell’imposta pagata per l’acquisizione di beni o servizi inerenti all’esercizio dell’impresa, prevista dall’art. 19 del d.P.R. n. 633/1972, postula che il contribuente sia in possesso delle relative fatture, le annoti nell’apposito registro (art. 25), e conservi le une e l’altro, gravando su esso contribuente l’onere di produrre la documentazione contabile legittimante l’esercizio del diritto alla detrazione (Cass. 16702/2005; 28333/2005; 662/2014).

1.2.2. All’omessa tenuta di detto registro non può, inoltre, sopperirsi mediante l’annotazione in altri registri – o, come nel caso di specie, su fogli mobili uso bollo – trattandosi di un obbligo sostanziale (Cass. 27621/2008; 26513/2011) presidiato da sanzione, che, in quanto volto a consentire un immediato ed agevole riscontro della natura e dei tempi delle registrazioni, non può essere adempiuto con modalità diverse, soggettivamente ritenute equivalenti dal contribuente (Cass. 12913/2008).

1.2.3. Sotto tale profilo, osserva altresì la Corte che non giova alla resistente neppure addurre la decisione della Corte di Giustizia del’8.5.2008, C- 95 e 96/07, onde inferirne che il diritto alla detrazione non potrebbe essere escluso sulla base di una mera violazione formale, essendo stati, nella specie, assolti gli obblighi sostanziali di versamento per gli anni di imposta in discussione.

1.2.3.1. Va – difatti – osservato, al riguardo, che ai sensi dell’art. 22, nn. 2 e 4 della VI Direttiva n 388/1977/CE – le cui previsioni sono state, di poi, trasfuse negli artt. 242 e 250 della Direttiva n. 112/2006 – ogni soggetto passivo deve tenere una contabilità che sia sufficientemente particolareggiata, così da consentire l’applicazione dell’IVA ed i relativi controlli da parte dell’Amministrazione finanziaria, ed è tenuto a presentare una dichiarazione nella quale devono figurare tutti i dati necessari ad accertare l’importo dell’imposta esigibile e quello delle detrazioni da operare. Ebbene – secondo la costante giurisprudenza della Corte di Lussemburgo – il principio di neutralità fiscale esige che la detrazione dell’IVA a monte sia accordata se gli obblighi sostanziali siano soddisfatti, anche se “taluni obblighi formali” – tra quelli suindicati – siano stati omessi dai soggetti passivi (cfr. ex plurimis, C. Giust. 27.9.2007, C- 146/05, Collee).

1.2.3.3. Ed è proprio questa la situazione in relazione alla quale si è pronunciata la decisione Ecotrade, invocata dalla resistente, avendo l’Agenzia rilevato, in tale fattispecie concreta, che la società contribuente non aveva osservato integralmente gli obblighi contabili relativi al citato regime dell’inversione contabile, poiché le fatture di cui trattasi erano state annotate esclusivamente nel registro degli acquisti, e non anche in quello delle fatture emesse (C. Giust. 8.5.2008, C- 95 e 96/07, Ecotrade).

1.2.3.4. A ben diversa conclusione devesi, per contro, pervenire – com’è di tutta evidenza – nella diversa ipotesi in cui le violazioni formali siano di tale entità da impedire la realizzazione degli obiettivi – del pari perseguiti dall’Unione Europea – di assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e di evitarne l’evasione. In siffatta evenienza, infatti, lo Stato membro – nel fare uso della discrezionalità concessagli, al riguardo, dalle succitate disposizioni comunitarie, fermo il limite non ostacolare i rapporti tra gli Stati membri e di non impedire immotivatamente ed aprioristicamente l’esercizio del diritto alla detrazione – ben potrà imporre al soggetto passivo di osservare la totalità delle norme contabili nazionali, conformi ai principi comunitari, ai fini del corretto e legittimo esercizio del diritto alla detrazione dell’IVA (C. Giust. 29.7.2010, C- 188/09, Profa- ktor Kulesza; C. Giust. 13.2.2014, C- 18/13, Maks Pen).

1.2.4. Tutto ciò premesso, va rilevato che, nel caso concreto, dal processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza – e trascritto nelle sue parti essenziali nel ricorso dell’Agenzia delle entrate – si evince che, per il periodo successivo al 30.6.1994, non risultava effettuata dalla G. alcuna registrazione degli accadimenti contabili, né ai fini delle imposte dirette, né ai fini IVA. In particolare, la Guardia di Finanza attestava – nel relativo processo verbale di constatazione – che il commercialista della ditta G. aveva esibito ai verbalizzanti esclusivamente una documentazione extracontabile “costituita da fogli di protocollo non bollati e scritturati manualmente”, sui quali risultavano annotati gli importi delle fatture attive e passive per gli anni dal 1995 al 1999, nonché le dichiarazioni mensili dell’IVA.

Se ne deve inferire, di conseguenza, la totale mancanza, nella specie, della documentazione contabile prevista dalla normativa in materia di IVA e, segnatamente, del registro nel quale, ai sensi dell’art. 25 del d.P.R.. 633/1972, le fatture e le bollette doganali relative agli acquisti ed alle importazioni effettuate nell’esercizio dell’impresa – e che devono essere numerate in ordine progressivo – vanno annotate prima della liquidazione periodica, ovvero della dichiarazione annuale nella quale è esercitato il diritto alla detrazione della relativa imposta.

1.2.5. Ne consegue che il diritto in parola – per le ragioni suesposte – non avrebbe potuto essere riconosciuto dal giudice di appello. Tanto più che la CTR non ha affatto accertato il rispetto degli obblighi sostanziali da parte della contribuente, essendosi limitata a rilevare l’avvenuta abrogazione degli obblighi di bollatura e di vidimazione dei registri, compresi quelli tenuti ai fini IVA.

1.2.6. E tuttavia, a giudizio della Corte, non giova alla tesi della contribuente l’abrogazione della bollatura e vidimazione operata dall’art. 8 l. 383/2001 atteso che la disposizione in parola non ha affatto eliminato l’obbligo di tenuta dei registri IVA, numerati progressivamente in ogni pagina, sancito dagli artt. 2215, 2219 c.c. e 39 d.P.R. 633/1972. Tale ultima norma prevede, poi, che l’impiego di schedari a fogli mobili è consentito – in deroga alla regola del registro a fogli fissi – solo in via derogatoria, e secondo modalità che siano state preventivamente approvate – cosa che, nella specie, non risulta essere stata effettuata – da parte dall’Amministrazione finanziaria.

Ad ogni buon conto, va osservato che l’abrogazione dell’obbligo della bollatura e della vidimazione del libro giornale e del libro degli inventari (disposta dall’art. 8 della l. n. 383/2001), già prevista dall’art. 2215 c.c., è entrata in vigore il 25.10.2001, senza effetto retroattivo, nulla disponendo in tal senso la disposizione abrogatrice. Ne discende che le violazioni del suddetto obbligo, commesse prima di tale data (come nella specie, trattandosi delle annualità 1998 e 1999), conservano il loro rilievo ai fini fiscali (Cass. 14018/2007; 23847/2009).

1.3. Per tutte le considerazioni che precedono, pertanto, il ricorso dell’Agenzia delle Entrate non può che essere accolto.

2. L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione dell’impugnata sentenza. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384, co. 1 c.p.c., rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla contribuente.

3. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico della resistente soccombente, nella misura di cui in dispositivo. Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei giudizi di merito.

 

P.Q.M.

Accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente; condanna la resistente alle spese del presente giudizio, che liquida in € 7.290,00, oltre alle spese prenotate a debito; dichiara compensate tra le parti le spese dei giudizi di merito.