Utilizzo promiscuo del conto bancario da parte dell’imprenditore: vi sono rischi fiscali?

i prelievi dal conto corrente che un imprenditore utilizza sia per finalità lavorative che per scopi privati non possono essere assunti come compensi imponibili

I prelievi dal conto corrente che un agente immobiliare utilizza sia per finalità lavorative che per scopi privati, non possono essere assunti come compensi imponibili. È questo il principio espresso dai Giudici della Sezione XXII di C.T.R. Lazio, nella sentenza 22/01/2014, n. 1515/22/14, che aderisce alla posizione interpretativa assunta dai colleghi della corte di merito di prima istanza. Le conclusioni cui sono pervenuti i giudici regionali precedono la sentenza della Corte Costituzionale depositata il 6/10/2014, n. 228, che ha eliminato, con riferimento agli esercenti arti e professioni, la presunzione di equivalenza dei prelevamenti non giustificati a compensi professionali.

Si discute della possibile estensione del principio espresso dai Giudici costituzionali ai prelievi su conti correnti promiscui, da parte degli imprenditori la cui attività è caratterizzata da una spiccata marginalità dell’apparato organizzativo e gestita adottando regimi contabili semplificati.

NORMATIVA e PRASSI di RIFERIMENTO

L’art. 32, c. 1, n. 7, D.P.R. 29/09/1973, n. 600, che disciplina le indagini finanziarie prevede che il contribuente (imprenditore) debba giustificare le movimentazioni del conto corrente:

  • dimostrando che i versamenti siano già stati tassati e quindi inseriti nella dichiarazione dei redditi;

  • indicando, per i prelevamenti, i riferimenti del beneficiario.

In assenza di tali prove opera una presunzione legale in favore dell’amministrazione finanziaria che tutti i versamenti e tutti i prelevamenti sono da considerare ricavi da sottoporre a tassazione.

In particolare, per quanto concerne i prelevamenti non opera la presunzione legale in favore del fisco se l’imprenditore segnala ai verificatori il nome del soggetto che ha ricevuto il titolo emesso o il denaro prelevato.

Si ha notizia, tuttavia, che in alcuni casi, in sede di contraddittorio è richiesta anche la motivazione della rimessa, ovvero la destinazione del prelievo1, anche se la circolare 19/10/2006, n. 32/E ha suggerito agli uffici di definire una soglia limite che potesse rappresentare, in ipotesi di conti correnti utilizzati sia per fini privati che per l’attività economica, i prelevamenti personali del contribuente.

C.T.R. LAZIO, sent. n. 1515/22/14

Vicenda processuale

Un contribuente esercente attività di agente immobiliare ricorreva in Commissione tributaria avverso alcuni avvisi di accertamento diretti nei suoi confronti con cui l’Agenzia delle entrate aveva ripreso a tassazione gli importi dei versamenti e prelevamenti bancari per i quali il contribuente non era riuscito a fornire una sufficiente giustificazione.

L’ufficio competente contestava maggiori ricavi solo sulla base di prelevamenti eccedenti mille euro (e versamenti) effettuati dai conti correnti personali e promiscui, per i quali il contribuente non aveva specificato i nominativi dei beneficiari. I prelevamenti venivano quindi posti a fondamento dell’accertamento analitico in capo all’imprenditore.

Con il ricorso di parte veniva:

  1. eccepita la promiscuità dei rapporti di conto corrente bancari esaminati dai verificatori che riportavano “… non solo operazioni riconducibili all’attività commerciale, ma anche quelle personali e familiari …”;

  2. lamentata la ripresa a tassazione delle uscite per le quali l’estratto conto non evidenziava il beneficiario della rimessa e dei prelievi;

  3. criticata l’inversione dell’onere della prova;

  4. chiesta in deduzione l’ammontare delle spese familiari e dei costi necessari alla produzione dei maggiori ricavi accertati.

La C.T.P. di Viterbo, organo adito dall’agente immobiliare con ricorso tributario, con sentenza n. 129/01/12, annullava parzialmente gli atti, limitatamente agli importi derivanti dai prelevamenti; confermava la ripresa, invece, relativamente ai versamenti di denaro contante non giustificati.

L’Ufficio tributario, presentava appello chiedendo la riforma della sentenza impugnata. In particolare il rappresentante dell’Amministrazione finanziaria eccepiva la mancata uniformità della pronuncia dei Giudici di prime cure al testo dell’art. 32, D.P.R. n. 600/73, che prevede espressamente “… il recupero a tassazione anche dei prelevamenti, nel caso non venga indicato il soggetto beneficiario e non risultino dalle scritture contabili…”.

 

Le motivazioni della decisione

I Giudici della C.T.R. di Roma hanno condiviso la soluzione offerta dai colleghi di Viterbo. Uniformarsi al pensiero espresso in primo grado la sentenza afferma che “… prelevamenti effettuati dal contribuente avvenuti su conti promiscui, utilizzati cioè sia per operazioni commerciali sia per fini personali, non possono che essere attribuiti alla sfera privata…

La promiscuità del conto corrente, dunque, rappresenta, nell’interpretazione offerta dal collegio romano, un deterrente per il recupero tributario dei prelevamenti, e di conseguenza: “… L’utilizzo promiscuo del conto bancario preso in esame non rende applicabile la presunzione di cui all’art. 32 del D.P.R. n. 600/73…”.

Note di “dissenso” alla pronuncia

Nell’interpretazione giurisprudenziale della corte di merito di seconda istanza parrebbe che qualsiasi prelievo, di qualunque importo, acquisito dall’imprenditore dal conto corrente utilizzato promiscuamente non possa essere assunto quale reddito d’impresa, perché riferito ad un rapporto di conto corrente utilizzato sia per scopi lavorativi che personali, nonostante il contribuente non abbia indicato gli estremi del beneficiario della rimessa.

Pur prendendo atto del favorevole esito della vicenda per il contribuente accertato la soluzione fornita dai Giudici romani non può non osservarsi come la motivazione della sentenza certamente travalichi il testo normativo ex art. art. 32, c. 1, n. 2, D.P.R. n. 600/73 che attrae a tassazione i prelevamenti riferiti ai rapporti di conto corrente “… se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario…”

Una soluzione più convincente, e comunque aderente anche all’attuale impostazione di prassi amministrativa, oltrechè improntata a criteri di ragionevolezza, sarebbe stata quella di esonerare il contribuente dal fornire la giustificazione della destinazione dei prelievi allorquando questi ultimi sarebbero stati congrui con le esigenze personali. In tale ottica si segnala l’interpretazione fornita dai Giudici tributari di C.T.P. di Campobasso, nella sentenza n. 181/2014, seppur espressa con riferimento ad esercenti lavoro autonomo (nel regime previgente alla sentenza della Corte Costituzionale n. 228/14).

Secondo la posizione dei Giudici lucani se il professionista utilizza il medesimo conto bancario sia per uso personale che professionale (cosiddetto “uso promiscuo”), i prelievi per scopi personali devono riconoscersi senza che si richieda la prova rigorosa della loro rilevanza per la determinazione del reddito; al contrario è sufficiente che essi siano proporzionati al reddito dichiarato in riferimento alle normali esigenze personali.

In tale ottica si ritiene certamente plausibile sostenere l’esclusione dalla presunzione dell’ammontare dei prelevamenti compatibile con le ordinarie e razionali esigenze della vita quotidiana.

MARGINALITÀ DELL’APPARATO ORGANIZZATIVO E (POSSIBILE) ESONERO DELLA GIUSTIFICAZIONE DEI PRELIEVI DELL’IMPRENDITORE

Con recente sentenza n. 228/2014, la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittima la norma sulle indagini finanziarie (art. 32, c. 1, n. 2, D.P.R. n. 600/73) che prevede una presunzione legale a favore del Fisco di maggiori compensi nei confronti del professionista che non sia in grado di fornire indicazioni su prelevamenti.

Secondo la sentenza 228/2014, la presunzione verso i professionisti lede il principio di ragionevolezza e della capacità contributiva, in quanto è arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un autonomo siano destinati a un investimento nella propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di un reddito.

Si legge, tra l’altro, nella sentenza come l’attività svolta dai lavoratori autonomi:

– si caratterizzi per la preminenza dell’apporto di lavoro e la marginalità dell’apparato organizzativo che diviene del tutto assente nei casi in cui è più accentuata la natura intellettuale dell’attività svolta, come per le professioni liberali;

– sia gestita contabilmente con sistemi semplificati con inevitabile e fisiologica promiscuità di entrate e spese professionali e personali.

In tale ottica colui che produce reddito d’impresa con scarsa organizzazione e limitati fattori produttivi2 si trova in una situazione analoga a quella degli esercenti arti e professioni.

Le differenze tra l’agente immobiliare, il promotore finanziario, od anche il piccolo artigiano rispetto al professionista appaiono risibili in considerazione, nella generalità dei casi, delle ridotte dimensioni dell’attività imprenditoriale svolta da tali soggetti, spesso gestite adottando regimi contabili semplificati o super semplificati.

Se i prelevamenti che vengono effettuati dall’imprenditore dal conto aziendale sono destinati sia per l’attività economica che per utilizzi familiari non v’è ragione per negare una perfetta simmetria della posizione di specifiche categorie di imprenditori rispetto alle modalità organizzative dell’attività economica esercitata dai professionisti.

In definitiva, come acutamente osservato da alcuni Autori3 l’estensione del concetto espresso dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 228/2014, agli imprenditori carenti del requisito della rilevante organizzazione consentirebbe, insieme ad altre eccezioni nel merito della pretesa erariale, di paralizzare, o quantomeno di contrastare, l’equivalenza prelevamenti (dal conto utilizzato in modo promiscuo) non giustificati/reddito imponibile in assenza di specifica indicazione dei beneficiari.

17 novembre 2014

Attilio Romano ed Antonino Romano

 

1 L. AMBROSI, Prelevamenti e versamenti: i metodi di utilizzo dell’Amministrazione Finanziaria; Il Sole 24 Ore, 11.12.2013, pag. 7.

2 La giurisprudenza delle Corte di Cassazione ha ritenuto escluso dall’IRAP alcune categorie di titolari di reddito d’impresa per carenza del requisito richiesto dell’autonoma organizzazione. Con riferimento all’artigiano elettricista, Corte di Cassazione n. 15249 del 2010, ha osservato che non deve pagare l’IRAP il piccolo imprenditore artigiano che non si avvale in modo continuativo del lavoro altrui e che svolge la propria attività esclusivamente con la dotazione minima di beni strumentali; allo stesso modo, un intermediario finanziario è escluso da IRAP, secondo Corte di Cassazione 9692 del 2012 se per lo svolgimento dell’attività dispone unicamente di un PC e di una autovettura (manca pertanto l’autonoma organizzazione).

3 M. TOZZI, Assenza di obblighi contabili e conti correnti “promiscui”, Euroconference news, 16.10.2014. Secondo l’A. in sede di opposizione alle rettifiche fondate sulla presunzione di tassabilità dei prelievi su conti correnti promiscui con utilizzi personali da parte dell’imprenditore occorrerebbe:

a) dimostrare la violazione dell’art. 53 della Costituzione (sentenza n. 336/32/13 C.T.R. Campania;

b) specificare, in assenza di obbligo di contabilità ordinaria, l’impossibilità di operare una ricongiunzione tra le movimentazioni bancarie (tra cui sono presenti i prelievi personali) e le annotazioni in contabilità (sentenza n. 335/17/13, C.T.R. Sicilia);

c) sostenere la necessità che l’imprenditore trattenga per sé parte dei prelievi per scopi personali (sentenza n. 281/04/14, C.T.P. di Ancona).