Triangolazioni e trasporto dei beni: le condizioni per la non imponibilià IVA

le operazioni nelle quali intervengono due soggetti italiani per realizzare una successiva vendita a un operatore estero vengono definite ai fini dell’IVA come operazioni triangolari (triangolazioni) interne: in quali casi tali operazioni godono della non imponibilità dell’IVA?

Aspetti generali

Le operazioni nelle quali intervengono due soggetti italiani per realizzare una successiva vendita a un operatore estero vengono definite ai fini dell’IVA come operazioni triangolari (triangolazioni) interne.

Nell’ambito di tali operazioni, secondo quanto è stato puntualizzato dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 14405 del 25.6.2014), il trasporto dei beni all’estero (ossia la materiale effettuazione della cessione) può essere curato anche dal primo cessionario italiano.

La questione è stata risolta in senso favorevole alla società italiana prima cedente comunitaria (nonché esportatrice) nell’ambito di contratti di cessione intra-UE e di cessione all’esportazione che avevano come cessionaria formale la società controllante, anch’essa residente in Italia.

Allineandosi ai prevalenti orientamenti giurisprudenziali della stessa Corte, ma anche ad alcune indicazioni della più recente prassi amministrativa, la Cassazione ha precisato che occorre prestare fede alla volontà delle parti e alla natura sostanziale dell’accordo, volto – appunto – a realizzare la cessione nei confronti dei reali destinatari dei beni nei reciproci Stati UE o extra UE di residenza.

Il contenzioso di merito

La sentenza della Cassazione qui commentata trae origine dalla vertenza tra l’amministrazione finanziaria e la società B. S.p.a., che aveva adito la CTP di Milano per contestare un avviso di rettifica relativo al periodo di imposta 1999.

In particolare, l’amministrazione aveva recuperato a tassazione l’imposta relativa a una serie di cessioni di prodotti finiti (elettrodomestici) alla società controllante «C.E. S.r.l.» ma destinati a vari clienti di quest’ultima, residenti sia in territorio comunitario che in territorio extra UE, in quanto tali cessioni erano state ritenute non inquadrabili come operazioni triangolari non imponibili, né ai sensi dell’art. 58, primo comma, del D.L. n. 331/1993 (per i soggetti UE), né riconducibili all’ipotesi di cui all’art. 8, primo comma, lett. a), del DPR n. 633/1972 (per i soggetti extra UE).

Nei due gradi di merito – avanti alla CTP e alla CTR – il contenzioso era stato favorevole alla società, sulla base della considerazione che per la non imponibilità a fini Iva delle esportazioni triangolari e delle triangolazioni comunitarie erano sufficienti l’originaria volontà delle parti di destinare le merci all’esportazione e l’avvenuta esportazione delle stesse (entrambe verificate nel caso di specie) e non anche che il trasporto e la spedizione delle merci al cliente finale fosse avvenuto a cura o a nome del primo cedente nazionale, anche per incarico del primo cessionario (secondo cedente nazionale).

Nel quesito di diritto avanzato dall’Agenzia delle Entrate, ricorrente per cassazione, era per l’appunto chiesto se l’applicazione dei regimi dell’esportazione triangolare e della triangolazione comunitaria richiedessero oppure no che l’esportazione (ovvero la cessione) del bene avvenissero a cura o a nome del primo cedente nazionale, anche se su incarico del primo cessionario.

Le considerazioni della Corte

Nel rispondere all’interrogativo, la sentenza della Cassazione ha inteso precisare che, nella fattispecie in esame, non erano in discussione né l’originaria destinazione delle merci all’esportazione, né la loro avvenuta (effettiva) esportazione, mentre l’unico profilo controverso atteneva alle modalità di trasporto dei beni all’estero.

Infatti:

  • sul piano sostanziale, tutte le merci erano state regolarmente esportate e consegnate ai clienti esteri;

  • il trasporto delle merci all’estero veniva effettuato generalmente con vettori esteri, sulla base di contratti stipulati direttamente con clienti esteri della controllante C. S.p.a.;

  • fin dall’origine esisteva un accordo tra la B. e la propria controllante C. in merito alla destinazione alla esportazione delle merci oggetto della compravendita, documentato per mezzo degli ordini di spedizione merci, delle bollette doganali, etc.

Esportazioni e cessioni intracomunitarie triangolari

L’interpretazione e la corretta decisione della controversia rende necessaria secondo la Corte una previa analisi della definizione delle cessioni all’esportazione ai sensi dell’art. 8, primo comma, lett. a), del decreto IVA, ai sensi del quale tale tipologia di operazioni include «le cessioni, anche tramite commissionari, eseguite mediante trasporto o spedizione dei beni fuori del territorio della Comunità economica europea, a cura o a nome dei cedenti o dei commissionari, anche per incarico dei propri cessionari o commissionari di questi beni».

Per quanto invece attiene alle triangolazioni comunitarie, dispone l’art. 58 del D.L. n. 331/1993 (convertito dalla L. n. 427/1993) che «non sono imponibili … le cessioni di beni, anche tramite commissionari, effettuate nei confronti di cessionari o commissionari di questi se i beni sono esportati o spediti in altro Stato membro a cura o a nome del cedente, anche per incarico dei propri cessionari o commissionari di questi».

Come è facile e immediato constatare, e come la Corte evidenzia, ambedue le norme richiamate prevedono che l’esportazione o la spedizione vengano eseguite «a cura o a nome del cedente o del commissionario, anche per incarico dei propri cessionari o commissionari di questi».

È stata inoltre fornita dell’art. 8, primo comma, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972 un’interpretazione autentica a opera dell’art. 13, della L. n. 413/1991 – nel senso che «le cessioni ivi previste devono intendersi non imponibili sempreché l’esportazione risulti da documento doganale o da vidimazione apposta dall’ufficio doganale su un esemplare della fattura o della bolla di accompagnamento emessa dai cedenti a norma dell’articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 6.10.1978, n. 627, nonché sulle fatture emesse dai cessionari, a nulla rilevando, per la documentazione della cessione all’esportazione, che i documenti di cui all’art. 21 del predetto decreto n. 633 del 1972 siano emessi dagli spedizionieri o trasportatori nei confronti dei cedenti o di altri soggetti».

Alla luce di tale normativa appare irrilevante il soggetto (cedente, primo cessionario residente, secondo cessionario non residente) nei confronti del quale vengono fatturate le prestazioni di trasporto o spedizione.

Alcune precisazioni della Corte

Sempre con riferimento alla richiamata disposizione normativa in materia di operazioni triangolari comunitarie, lo scopo della norma è di evitare operazioni fraudolente, quali si verificherebbero se il cessionario nazionale potesse autonomamente (al di fuori, cioè, di un preventivo regolamento contrattuale con il cedente) decidere di esportare i beni in un altro Stato membro.

Alla luce di questa finalità, la giurisprudenza di legittimità ha consolidato il proprio orientamento secondo il quale perché un’operazione triangolare possa qualificarsi come cessione intracomunitaria non imponibile l’espressione letterale «a cura» del cedente, così come quella a essa corrispondente «per suo conto», contenuta nell’art. 15, primo comma, della Sesta direttiva 77/388/CEE, devono essere interpretate nel senso che non è necessario che il contratto sia direttamente concluso dal cedente.

Ai fini della non imponibilità, è quindi essenziale solamente che vi sia la prova (il cui onere grava sul contribuente) che l’operazione, fin dalla sua origine e nella sua rappresentazione documentale, sia stata voluta, secondo la comune volontà degli originali contraenti, come cessione nazionale in vista di trasporto a cessionario residente all’estero1.

Questo indirizzo, che trae spunto dalla sentenza n. 4098/2000 in materia di cessioni intracomunitarie, è stato recepito in materia di esportazioni extracomunitarie2.

Un precedente orientamento si era in verità manifestato in alcune pronunce3, secondo il quale nelle operazioni triangolari intracomunitarie con un cedente e di un cessionario entrambi residenti in Italia e un destinatario residente all’estero, la cessione doveva avvenire a cura o a nome del cedente anche se su incarico del cessionario, senza possibilità di inserimento, in tale fase, del cessionario.

Ciò considerato la Corte, nel dare continuità all’orientamento prevalente, ha ritenuto «ininfluente – ai fini della configurazione di una triangolazione esente da IVA – il fatto che il trasporto all’estero sia avvenuto a cura o in nome del cedente, essendo al contrario decisiva la prova che l’operazione, fin dalla sua origine e nella sua rappresentazione documentale, sia stata voluta dalle parti come cessione nazionale finalizzata al successivo trasporto a cessionario estero». Il ricorso per cassazione è stato quindi respinto.

Considerazioni di sintesi

Come si è visto, la lettura delle norme anche alla luce delle disposizioni di interpretazione autentica intervenute nel 1991 e del prevalente orientamento giurisprudenziale di legittimità ha indotto la Cassazione a pronunciarsi in un senso che attribuisce rilevanza al momento sostanziale, ossia alla volontà delle parti intesa a effettuare realmente una cessione intracomunitaria, ovvero una cessione all’esportazione, ancorché detta cessione sia stata sotto il profilo formale curata dal primo cessionario residente ed non direttamente dal primo cedente.

In verità, le più volte richiamate disposizioni normative [art. 8, primo comma, lett. a), D.P.R. n. 633/1972 e art. 58, primo comma, D.L. 331/1993] presentano una formulazione non chiarissima, la cui oscurità giustifica il formarsi di orientamenti non univoci nel corso degli anni.

Ambedue le disposizioni infatti prevedono che non sono imponibili ai fini dell’IVA le cessioni di beni, anche tramite commissionari, effettuate nei confronti di cessionari (o commissionari di questi), se i beni sono trasportati o spediti all’estero a cura o nome dei cedenti, anche per incarico dei propri cessionari (o dei commissionari di questi).

A interpretare letteralmente il disposto delle norme succitate potrebbe intendersi che il regime di non imponibilità risulti invocabile solamente se il contratto per il trasporto o la spedizione dei beni a destino viene stipulato dal primo cedente italiano4.

In base invece all’interpretazione fornita dalla Cassazione che ha recepito la propria prevalente giurisprudenza, la formulazione «a cura o a nome del cedente» deve essere interpretata in relazione allo scopo della norma, vale a dire «evitare operazioni fraudolente, quali si verificherebbero se il cessionario nazionale potesse autonomamente (al di fuori, cioè, di un preventivo regolamento contrattuale con il cedente) decidere di esportare i beni in altro Stato».

È pertanto ininfluente che il trasporto o la spedizione dei beni avvengano in esecuzione di un contratto concluso direttamente dal cedente o in rappresentanza di quest’ultimo, ma assume importanza decisiva la prova che l’operazione, nell’originaria intenzione delle parti, sia stata designata come cessione nazionale in vista del trasporto a un cessionario estero.

La stessa prassi amministrativa peraltro, come sopra anticipato, aveva precisato che nelle operazioni triangolari il regime di non imponibilità IVA si applica anche nel caso in cui il contratto di trasporto o di spedizione sia stipulato dal cessionario italiano, anche se su mandato e in nome del cedente5.

6 novembre 2014

Fabio Carrirolo

1 La Corte cita al riguardo i propri precedenti Cass. n. 23735, n. 23331 e n. 14186 del 2013.

2Cass. n. 13951 del 2011; Cass. n. 2590, n. 21956 e n. 24964 del 2010; Cass. n. 6114 del 2009; cfr. anche Cass. n. 5065/1998, la quale sulla base della sopra richiamata norma di interpretazione autentica ha ritenuto che gli spedizionieri o i trasportatori possano emettere la fattura nei confronti del cedente o di altri soggetti e quindi anche dello stesso cessionario.

3Cass, sezione I, sent. n. 5065 del 21.5.1998; questo orientamento è stato confermato da Cass., sezione V, sent. n. 22445 del 5.9.2008 e da Cass., sezione V, sent. n. 22233 del 26.10.2011.

4 Questa la soluzione indicata tra le altre nella R.M. 13.8.1996, n. 178.

5 Cfr. risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 13.5.2010 n. 35/E.