Tovagliometro, bottigliometro e similari: in quali casi sono utilizzabili?

la ricostruzione induttiva dei ricavi di un ristorante mediante il consumo di tovaglioli, di acqua, caffè e farina… può essere sempre usata dal fisco o tale tipologia di accertamento ha delle limitazioni?

Il “Tovagliometro”

tovagliometro fisco ristorantiUn esempio1 di accertamento analitico-induttivo (ex art. 39 c. 1 lett. d del D.P.R. n. 600/73) è quello basato sul cosiddetto “tovagliometro”.

In tema di accertamento presuntivo del reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 39, c. 1, lett. d, del D.P.R. n. 600/73, è legittimo l’accertamento che ricostruisca i ricavi di un’impresa di ristorazione sulla base del consumo unitario dei tovaglioli2 utilizzati (risultante, per quelli di carta, dalle fatture o ricevute di acquisto, e per quelli di stoffa, dalle ricevute della lavanderia), costituendo dato assolutamente normale quello secondo cui, per ciascun pasto, ogni cliente adoperi un solo tovagliolo e rappresentando, quindi, il numero di questi un fatto noto idoneo, anche di per sè solo, a lasciare ragionevolmente e verosimilmente presumere il numero dei pasti effettivamente consumati.

E tuttavia, è evidente che devesi, del pari ragionevolmente, sottrarre dal totale una certa percentuale di tovaglioli normalmente utilizzati per altri scopi, quali i pasti dei soci e dei dipendenti, l’uso da parte dei camerieri, le evenienze più varie per le quali ciascun cliente può essere indotto ad utilizzare più tovaglioli, ecc. (cd. percentuale di sfrido) .

Tale principio è stato statuito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 20060 del 24/09/2014.

Tovaglioli utilizzati e complessiva inattendibilità della contabilità aziendale

La complessiva inattendibilità della contabilità aziendale, seppure regolarmente tenuta sul piano formale, desumibile dai rilievi dell’ufficio non di scarsa entità è idonea a legittimare l’accertamento induttivo, espletato dall’Ufficio sulla base del riscontro relativo al consumo dei tovaglioli utilizzati.

L’accertamento con metodo analitico-induttivo, con il quale l’Ufficio finanziario procede alla rettifica di componenti reddituali, ancorché di rilevante importo, è consentito, ai sensi dell’art. 39, c. 1, lett. d, del D.P.R. n. 600/733, pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacché la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata; sicché essa possa essere considerata, nel suo complesso, inattendibile (Cass. 20857/07; 26341/09; 5731/12).

Nella prova per presunzioni, la relazione tra il fatto noto e quello ignoto non deve avere carattere di necessità, essendo sufficiente che l’esistenza del fatto da dimostrare derivi dalla esistenza del primo come conseguenza ragionevolmente possibile e verosimile4.

Pertanto, è legittimo l’accertamento che ricostruisca i ricavi di un impresa di ristorazione sulla base del consumo unitario dei tovaglioli e delle materie prime utilizzate per la preparazione dei pasti, costituendo dato assolutamente normale quello per cui per ciascun pasto ogni cliente adoperi un solo tovagliolo, ed essendo poi ragionevolmente possibile e verosimile ricavare dal numero dei tovaglioli usati il numero dei pasti consumati, pur dovendosi ragionevolmente sottrarre i tovaglioli normalmente utilizzati5 per altri scopi (pasti dei soci e dei dipendenti, uso da parte dei camerieri…); così come, una volta calcolata la quantità normale di materie prime che si utilizza per ciascun pasto, è ragionevole desumere che il numero di pasti sia uguale alle materie prime acquistate diviso la quantita’ normale per ciascun pasto (Cassazione 07-01-1999 n. 51).

Consumo di acqua e di caffè

Nel settore della ristorazione, non esiste un indicatore da preferire rispetto ad altri ai fini della ricostruzione dei ricavi6. Peraltro, è legittimo7 un avviso di rettifica per maggiori ricavi notificato ad un ristoratore sulla base di una ricostruzione induttiva che prendeva come riferimento il consumo di acqua e di caffè (Cass. 15-05-2013 n. 11622 sez. T)8.

Nell’accertamento tributario, sia presuntivo del reddito d’impresa (art. 39 c. 1 lett.d D.P.R. n. 600/1973), sia induttivo in materia di IVA (art. 55 del D.P.R. n. 633/1972), è legittima la ricostruzione dei ricavi di un’impresa di ristorazione anche sulla base del solo consumo di acqua minerale, costituendo lo stesso un ingrediente fondamentale, se non addirittura indispensabile, nelle consumazioni effettuate (Cassazione Sez.5, Sentenza n. 17408 del 23/07/2010)9.

Nella vasta casistica dei principi regolativi in materia, si è ritenuto che nell’accertamento tributario, sia presuntivo del reddito d’impresa (D.P.R. 29settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett.d)), sia induttivo in materia di IVA (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 55), è legittima la ricostruzione dei ricavi di un’impresa di ristorazione anche sulla base del solo consumo di acqua minerale, costituendo lo stesso un ingrediente fondamentale,se non addirittura indispensabile, nelle consumazioni effettuate (Sez. 5, Sentenza n. 17408 del 23/07/2010).

Invero, non può dirsi che, riguardo al settore della ristorazione, vi sia un indicatore principe per la ricostruzione presuntiva dei ricavi, ben potendo gli indici rivelatori variare da caso a caso ed essendo compito del fisco, prima, e del giudice tributario di merito, poi, quello di cogliere i peculiari nessi inferenziali che siano adeguati alla singola fattispecie concreta (Cassazione n. 11622/2013).

La sentenza 15580 del 14 luglio 2011 della Cassazione ha respinto il ricorso di una pizzeria avverso la sentenza della CTR del Lazio, confermativa di quella provinciale, che aveva dichiarato la correttezza di un accertamento fiscale con metodo induttivo, basato sulle quantità di consumo di farina.

L’accertamento, scaturito dopo una ispezione della Guardia di Finanza, contestava al ristoratore un uso di farina per circa il 30 % in più rispetto a quanto risultante dai coperti dichiarati.

14 novembre 2014

Ignazio Buscema

NOTE

1 La CTP di Ravenna, con la sentenza 243/02/11 del 4 novembre 2011, ha stabilito che il numero di bare utilizzate, per i servizi erogati da un’impresa funebre e la contabilità in nero scoperta dai verificatori in sede di accesso presso l’azienda costituiscono validi indizi di evasione. I giudici tributari di merito hanno, infatti, ritenuto legittimo l’accertamento analitico-induttivo (ex articolo 39 comma 1 lettera d del Dpr 600/1973) basato su tali elementi che costituiscono, quindi, presunzioni “gravi, precise e concordanti” per la ricostruzione di maggiori ricavi operata dall’Amministrazione finanziaria. Scatta l’accertamento fiscale a carico del dentista che, pur avendo acquistato un numero elevato di protesi, ne ha poi fatturate ai clienti molte di meno. Lo ha stabilito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 3777 del 15 febbraio 2013, ha accolto il ricorso dell’amministrazione finanziaria.

A legittimare il metodo induttivo basato sull’acquisto di materie prime è di nuovo la Cassazione che ha dato torto a un odontoiatra che aveva comprato un numero di protesi molto superiori rispetto ai lavori e ai clienti denunciati. 

2 Non può disconoscersi, agli elementi di fatto ricostruiti dall’ufficio attraverso la documentazione fiscale della ditta relativa al numero dei tovaglioli ed al prezzo medio di ogni pasto, la loro qualifica di gravità, precisione e concordanza. Il numero di tovaglioli lavati in un anno costituisce per i ristoranti prova idonea a dimostrare la congruità dei ricavi reali con quelli dichiarati. Lo strumento del tovagliometro, infatti, consente di valutare la corrispondenza tra i tovaglioli utilizzati (che presumono un uguale numero di pasti serviti) ed i coperti risultanti dalle ricevute fiscali emesse. In caso di accertamento induttivo, volto alla ricostruzione dei ricavi di un’impresa di ristorazione-stabilimento balneare, il contribuente potrà utilizzare tale prova, al fine di dimostrare la congruità del reddito dichiarato (CTR Roma Sez. XXXVIII, 19-11-2009, n. 275).

3 Non è necessario che il fatto ignoto sia desumibile da una pluralità di fatti noti, essendo sufficiente un unico fatto noto, quando tutti gli aspetti di esso, in assenza di circostanze di valenza contraria, siano chiaramente e univocamente concordanti sul verificarsi del fatto ignoto. E’ legittimo l’accertamento extra-contabile nei confronti di un ristorante basato sulla presunzione dell’esistenza di un rapporto di causalità tra il numero dei tovaglioli ed il numero dei pasti serviti (Cass. 11-12-1998 n.12482 sez. 1). Nella prova per presunzioni, la relazione tra il fatto noto e quello ignoto non deve avere carattere di necessità, essendo sufficiente che l’esistenza del fatto da dimostrare derivi come conseguenza del fatto noto alla stregua di canoni di ragionevole probabilità. Pertanto, in tema di accertamento presuntivo del reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 39, c. 1, lett. d, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, è legittimo l’accertamento che ricostruisca i ricavi di un’impresa di ristorazione sulla base del consumo unitario dei tovaglioli utilizzati, costituendo dato assolutamente normale quello secondo cui, per ciascun pasto, ogni cliente adoperi un solo tovagliolo e rappresentando, quindi, il numero di questi un fatto noto capace, anche di per sè solo, di lasciare ragionevolmente e verosimilmente presumere il numero dei pasti effettivamente consumati (pur dovendosi, del pari ragionevolmente, sottrarre dal totale i tovaglioli normalmente utilizzati per altri scopi, quali i pasti dei soci e dei dipendenti, l’uso da parte dei camerieri e simili) (Cass. 08-07-2002 n.9884 sez. T).

4 Vd Sentenza n. 77 del 10/07/2012 emessa dalla CTR del Veneto secondo la quale “il solo ‘tovagliometro’, se non adeguatamente supportato da ulteriorimisurazioni e da precisi indizi dell’evasione fiscale, non è sufficiente alla ricostruzione dei ricavidel ristorante”. La sentenza n.77/24/12 emessa dalla CTR del Veneto nel riaffermare la legittimità del procedimento da tovagliometro per ricostruire ricavi in nero di un ristorante ne ha ammessa la fondatezza solo se l’Ufficio o la Guardia di Finanza trova e contesta altri indizi di evasione. Secondo detti giudici, che hanno accolto il ricorso del contribuente, l’accertamento fiscale andava supportato da ulteriori adeguati riscontri in grado di dimostrare l’ipotesi di occultamento degli incassi. Adeguato riscontro poteva essere, per esempio, la constatazione che vi erano altre contraddizioni facilmente riscontrabili nelle scritture contabili del ristorante verificato come per esempio i consumi medi delle materie prime utilizzate per confezionare i pasti serviti. Come pure valido riscontro per misurare gli incassi effettivamente conseguiti poteva essere fornito dalle movimentazioni finanziarie rilevate attraverso l’esame dei conti correnti bancari, e le manifestazioni di spesa ed esborsi manifestati dall’imprenditore che non si giustificavano con il reddito dichiarato. Pertanto la ricostruzione induttiva operata solo con il tovagliometro o altro elemento è e rimane solo ed esclusivamente un’ipotesi di occultamento di ricavi a livello di semplice indizio. Vd Sentenza n. 58 del 09/04/2013 della CTR della Lombardia secondo la quale “E’ illegittima la ricostruzione induttiva dei ricavi nei confronti di un’attività diristorazione basata sul ‘tovagliometro’ qualora non vengano analiticamente presi inconsiderazione gli utilizzi ulteriori dei tovaglioli per la cucina, la sala e il bar, per i pasti erogati aidipendenti e per quelli effettuati per l’autoconsumo e comunque non siano adeguatamenteconsiderati la capienza dei locali, i giorni di apertura e i turni di servizio non potendo esseresufficiente per la considerazione di quanto sopra l’abbattimento forfettario dei tovagliolicomplessivamente utilizzati in ragione del venticinque per cento”. Negli accertamenti fiscali che utilizzano la c.d. tecnica del tovagliometro (rideterminazione del volume d’affari di un ristorante sulla base del numero dei tovaglioli utilizzati) l’ufficio deve tener conto dei numerosi, diversi utilizzi degli stessi, per giungere al corretto computo del numero di pasti presunti. Un abbattimento del 25% dei tovaglioli totali rispetto al numero di coperti ipotizzati è insufficiente a dar luogo a un calcolo attendibile (sentenza della CTR di Milano n. 58/05/13), considerando il “notevole uso dei tovaglioli in cucina come strofinacci, o in sala per portare il vino, per coprire i cestini del pane, per i tavoli a buffet, nonché per i pasti somministrati a dipendenti e collaboratori e per l’autoconsumo”. L’utilizzo di un presupposto accertativo significativamente errato nella misura invalida l’intero, conseguente ragionamento accertativo e l’atto impositivo stesso. In tema di accertamento presuntivo del reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 39 c. 1 lett. d D.P.R. n. 600 del 1973, deve ritenersi illegittima, nel settore della ristorazione, la ricostruzione presuntiva dei ricavi sulla base del consumo di tovaglioli se l’Ufficio non tiene conto dell’incidenza di fattori quali: autoconsumo del personale, asciugatura dei bicchieri, ornamento della suppellettili e simili. È quanto emerge dalla sentenza n. 227/07/13 della CTP di Perugia. Secondo la CTR di Brescia nella sentenza n. 18/63/13 la metodologia di rideterminazione induttiva, basata sulla ricostruzione indiretta dei ricavi di un’impresa di ristorazione, effettuata mediante l’applicazione del prezzo medio di un pasto al numero delle prestazioni fornite, stimate sulla scorta del consumo dei tovaglioli, non è attendibile nei confronti di un ristorante che effettua prevalentemente cerimonie e banchetti. Questa metodologia induttiva, secondo quanto affermato i Giudici della CTR di Brescia, non è attendibile se l’attività prevalente del ristorante è quella di organizzare cerimonie e banchetti  In quanto questi tipi di eventi non possono essere paragonati al normale servizio di pasto giornaliero, ne sotto l’aspetto delle materie prime utilizzate per la preparazione ne sotto il profilo dei tovaglioli utilizzati. Pertanto, ci troveremo di fronte all’inattendibilità della ricostruzione induttiva del volume d’affari  se il metodo di determinazione dei ricavi è fondato sul riscontro dei tovaglioli utilizzati da un ristorante e sulla stima del numero dei pasti serviti, in quanto viziato. Vd. sent. CTR di Torino n.81/10/2011 che evidenzia l’inconsistenza di un accertamento dei ricavi di un ristorante basato solo sul consumo di caffè. Chiariscono infatti i giudici di Torino come (diversamente dal cd. tovagliometro, ossia dal calcolo dei ricavi in base ai tovaglioli consumati da un ristorante nel corso dell’anno) l’accertamento induttivo basato sul consumo di caffè non risulta altrettanto attendibile poiché “tale ragionamento … appare per vero dotato di non sufficiente univocità per essere davvero affidabile” Inoltre, i giudici aderiscono alla posizione del contribuente, laddove sostengono che “… basta variare di poco le coordinate del calcolo per ottenere risultati sensibilmente differenti”.

5 Il ricorso a presunzioni in materia tributaria è legislativamente previsto (artt. 29 e 38 D.P.R. 600/73 e 54 D.P.R. 633/72), e che anche in presenza di una contabilità formalmente regolare è consentito procedere a rettifica della dichiarazione dei redditi, senza riscontro analitico della documentazione, purchè l’accertamento in rettifica risulti assistito, oltrechè da concreti elementi, da presunzioni desunte da dati di comune esperienza (Cass. 4555/98; 8494/98). Nella prova per presunzioni, la relazione tra il fatto noto e quello ignoto non deve avere carattere di necessità, essendo sufficiente che l’esistenza del fatto da dimostrare derivi come conseguenza del fatto noto alla stregua di canoni di ragionevole probabilità. Pertanto, in tema di accertamento presuntivo del reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 39, c. 1, lett. d, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, è legittimo l’accertamento che ricostruisca i ricavi di un’impresa di ristorazione sulla base del consumo unitario dei tovaglioli utilizzati, costituendo dato assolutamente normale quello secondo cui, per ciascun pasto, ogni cliente adoperi un solo tovagliolo e rappresentando, quindi, il numero di questi un fatto noto capace, anche di per se’ solo, di lasciare ragionevolmente e verosimilmente presumere il numero dei pasti effettivamente consumati (pur dovendosi, del pari ragionevolmente, sottrarre dal totale i tovaglioli normalmente utilizzati per altri scopi, quali i pasti dei soci e dei dipendenti, l’uso da parte dei camerieri e simili) (Cass. 08-07-2002 n.9884 sez. T).

6 Trattasi di Tovagliometro, Bottigliometro, Farinometro, Lenzuolometro..vd. Sentenza n. 12 del 15/03/2013 della CTRegionale della Liguria secondo la quale “Il contribuente in linea con gli studi di settore non può essere sottoposto ad accertamento cd. ‘lenzuolometrico’ soprattutto se l’Ufficio non tiene conto delle eccezioni del contribuente volte a far diminuire i ricavi, come ad esempio l’utilizzo delle camere matrimoniali al posto delle singole e le tariffe inferiori praticate in bassa stagione”. Con la sentenza 15580/2011, i giudici di legittimità hanno ritenuto legittimo un avviso di accertamento induttivo, emesso nei confronti di un ristoratore, basato sul consumo di farina dando, quindi, via libera al farinometro.

7 Le ricostruzioni di ricavi di ristoranti sulla base del consumo del vino e/o dell’acqua minerale, devono comunque essere verosimili e ragionevoli e tenere in debito conto le caratteristiche e le condizioni di esercizio dell’attività svolta.Vd Sentenza n. 81 del 10/11/2011 emessa dalla CTR del Piemontein base alla quale “è nullo l’accertamento fondato sul solo rapporto fra il caffè acquistato e quello(presunto) somministrato ai clienti del ristorante a fine pasto… Non può essere ricostruito ilnumero dei pasti di un ristorante sulla base del numero di caffè consumati (‘caffè-metro’), in quanto, a differenza del “tovagliometro”, il calcolo effettuato risulta essere influenzato da troppe variabili”.

8 In tema di accertamento presuntivo del reddito d’impresa, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, c. 1, lett. d, deve ritenersi legittima, nel settore della ristorazione, la ricostruzione presuntiva dei ricavi sulla base dei consumi di acqua minerale e caffè. Si tratta infatti di indicatori (fatto noto) dai quali si può tranquillamente presumere il numero dei pasti effettivamente serviti (fatto ignoto). L’utilizzo di tali indicatori, peraltro, è a vantaggio del contribuente, posto che non tutti i commensali consumano le due bevande, sicché il dato oggettivamente riduttivo rispetto alla realtà assorbe anche il rilievo dell’eventuale consumo diretto da parte del personale di servizio (cuochi e camerieri). È quanto emerge dalla sentenza 15maggio 2013, n. 11622, della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria.

9 Con la sentenza n. 17408 del 23 luglio 2010, attribuisce pari dignità a entrambi gli strumenti di ricostruzione presuntiva del reddito. La logica vuole, infatti, che il percorso argomentativo secondo cui, per ogni pranzo, il cliente di turno adoperi un solo tovagliolo e, quindi, il numero netto dei tovaglioli usati (cioè non comprendente quelli utilizzati per scopi diversi, come i pasti dei dipendenti) costituisce la reale rappresentazione dei pranzi effettivamente serviti, può essere naturalmente trasferito al consumo di bottiglie di acqua minerale. Per la Cassazione “il consumo dell’acqua minerale deve ritenersi un ingrediente fondamentale, se non addirittura indispensabile, nelle consumazioni effettuate sia nel settore del ristorante che della pizzeria”.