Il problema della detraibilità di eccedenza di IVA in ipotesi di omissione della dichiarazione annuale

il problema della detraibilità di eccedenza di IVA, debitamente registrata nelle liquidazioni periodiche, in ipotesi di omissione della dichiarazione annuale relativa al periodo di maturazione di dette eccedenze

Con l’Ordinanza n. 16053 dell’11 luglio 2014 (ud. 4 giugno 2014) la Corte di Cassazione ha sottoposto al Primo Presidente l’opportunità di devolvere alle Sezioni Unite il problema della detraibilità di eccedenza di IVA, debitamente registrata nelle liquidazioni periodiche, in ipotesi di omissione della dichiarazione annuale relativa al periodo di maturazione di dette eccedenze, in applicazione del combinato disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19, 27, 28, 30 e 55.

IL FATTO

La CTR ha respinto sia l’appello principale dell’Agenzia che quello incidentale della società (appelli proposti contro la sentenza della CTP che aveva accolto il ricorso della predetta società) ed ha così annullato ruolo e cartella di pagamento relativi ad IVA per l’anno 2002, emessi a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione nella quale la parte contribuente aveva esposto un credito IVA riportato dall’annualità precedente (ed in parte già fruito a mezzo della compensazione con altre imposte), annualità rispetto alla quale la dichiarazione IVA risultava omessa, pur essendo risultante il credito IVA dalle liquidazioni periodiche presentate dal gennaio al settembre 2001.

La predetta CTR ha motivato la decisione evidenziando che l’imposta detraibile risultava indicata nelle dichiarazioni IVA periodiche per i mesi da gennaio a settembre 2001, nonchè dal modello di richiesta parziale di rimborso relativo all’anno 2001 (mod. VR-2002), e ritenendo che potesse applicarsi l’art. 5, c. 1, del D.Lgs. n. 471 del 1997, essendo sufficiente a far sorgere il diritto alla compensazione del maggior credito (che la società contribuente aveva operato a mezzo di modello F24, in compensazione con crediti dovuti per altre imposte o tributi) la sola indicazione del credito nelle liquidazioni periodiche relative all’annualità di maturazione del credito.

L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione (centrato sulla violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis; sulla violazione degli artt. 30 e 50 del medesimo D.P.R. nonchè sulla violazione dell’art. 5, D.Lgs. n. 471 del 1997), lamentando il fatto che il giudice di appello, sostanzialmente, non abbia tenuto conto del principio secondo cui per portare in compensazione crediti provenienti da un periodo di imposta pregresso è necessario “che vi sia un congruo riscontro documentale dichiarativo che legittimi quei crediti e la relativa compensazione“.

LA SENTENZA

La censura mossa dalle Entrate è stata ritenuta fondata, e quindi accolta.

La Corte muove dalla considerazione che si tratta di credito di imposta asseritamente maturatosi nell’anno 2001 e perciò nella vigenza della lettera del D.P.R. n. 633 del 1973, art. 19, siccome modificato dal D.Lgs. n. 313 del 1997, art. 2, secondo cui “Il diritto alla detrazione dell’imposta relativa ai beni e servizi acquistati o importati sorge nel momento in cui l’imposta diviene esigibile e può essere esercitato, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo“.

Per questa ragione, per la Corte “non possono essere qui valorizzati i numerosi precedenti di legittimità che si esprimono in conformità alla tesi dell’Agenzia ricorrente (tra le altre Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4531 del 22/02/20/3; Sez. 5, Sentenza n. 21947 del 2007 e Cass. Sez. 5, Sentenza n. 16477 del 20/08/2004), appunto perchè relativi a fattispecie cronologicamente risalenti a periodi pregressi rispetto alla menzionata novella e prima della quale lo stesso comma primo dell’art. 19 menzionato si esprimeva in termini tutt’affatto differenti (‘Per la determinazione dell’imposta dovuta a norma dell’art. 17, comma 1, o dell’eccedenza di cui all’art. 30, comma 2, è ammesso in detrazione, dall’ammontare dell’imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell’imposta assolta o dovuta dal contribuente o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni e ai servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione’), termini che avevano da leggersi in combinazione con la disciplina dell’art. 28 che è stato abrogato con il D.P.R. n. 322 del 1998”.

Consegue invece, per la Corte, dall’allora vigente combinato disposto del predetto art. 19 e del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 8, che “l’eccedenza di credito IVA maturata in un anno in cui la dichiarazione annuale risulta omessa potrà essere computata in detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto – fermo restando il potere/dovere dell’ufficio, nell’ambito del programma annuale dell’attività di controllo, di accertare l’esistenza del credito medesimo maturato nell’anno in cui la dichiarazione annuale è stata omessa, a norma del richiamato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55” (così si esprime testualmente la R.M. n. 74 del 19/04/2007 n. 74). A conferma di ciò, la Corte evidenzia che l’art. 55 del citato D.P.R. prevede che nel caso di omissione della dichiarazione annuale è facoltà dell’Ufficio operare la rideterminazione del volume di affari a mezzo di accertamento induttivo, con onere tuttavia di computare in detrazione non solo i versamenti eseguiti dal contribuente, ma anche le imposte detraibili, risultanti dalle dichiarazioni mensili, “sicchè è gioco forza ritenere che, nei limiti cronologici del termine di presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto, detto diritto viene meno – quale che sia la modalità di esercizio del potere di controllo che compete all’Erario – solo per i crediti d’imposta relativi a operazioni non registrate o, comunque, non risultanti dalle liquidazioni periodiche, atteso che sarebbe contradditorio sostenere che la postulata decadenza sia provvista di un differenziato regime in conformità alle modalità prescelte dall’Amministrazione per l’esercizio dei propri poteri”.

Di conseguenza, “la previsione di decadenza dal diritto alla detrazione dell’imposta assolta per i beni acquistati o importati, a tenore del richiamato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, debba considerarsi norma di stretta interpretazione sicchè non è possibile farne applicazione se non alle ipotesi espressamente previste dalla norma stessa (che ricorrono soltanto ove il diritto ad avvalersi del credito per detrazione non sia esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto), sicchè detta disciplina non può essere estesa alla diversa ipotesi in cui la detrazione sia stata regolarmente contabilizzata nella liquidazione relativa al mese di competenza e non risulti, invece, dalla dichiarazione annuale, della quale sia stata omessa la presentazione”.

Tuttavia, osserva ancora la Corte, che “incombe sul contribuente, il quale invochi il riconoscimento di un credito d’imposta, l’onere di provare i fatti costitutivi dell’esistenza del credito, e a tal fine, non è sufficiente l’esposizione della pretesa nella dichiarazione, poichè il credito fiscale non nasce da questa, ma dal meccanismo fisiologico di applicazione del tributo (In applicazione di questo principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che non aveva riconosciuto crediti vantati a titolo di IVA ed 1RPEG in una precedente dichiarazione, e riportati a nuovo nella successiva a fini di compensazione, rilevando che il contribuente avrebbe dovuto fornire la prova dell’esistenza degli stessi mediante esibizione del registro IVA delle vendite e del bilancio di esercizio, non essendo sufficiente la produzione della copia della dichiarazione)” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18427 del 26/10/2012).

Alla luce di questo principio, la Corte di Cassazione condivide il motivo di ricorso delle Entrate nella parte in cui lamenta che alla riconosciuta tempestività dell’esercizio del diritto alla detrazione il giudicante non abbia fatto seguire anche l’apprezzamento della concreta esistenza del credito, essendosi invece limitato a prendere atto della pura e semplice indicazione del crediti di imposta nelle liquidazioni periodiche, senza dare adito all’esame delle censure proposte dall’Agenzia appellante in ordine alla violazione dei criteri del riparto dell’onere di prova in ordine alla esistenza e consistenza dei vantati crediti, e ciò anche alla luce del fatto che è la stessa parte contribuente a riconoscere che la dichiarazione relativa all’anno d’imposta 2002 “venne presentata dalla curatela in bianco, (ovvero senza riporto del credito dell’anno precedente e/o compensazione del medesimo) non disponendo della documentazione relativa all’anno 2002“.

Per effetto della cassazione della pronuncia impugnata la controversia verrà rimessa al giudice del rinvio che rinnoverà l’esame delle doglianze di parte pubblica onde acclarare se il credito d’imposta vantata dalla società contribuente emerga e sia provato dalla documentazione contabile prodotta in causa.

La Corte, da ultimo, osserva che la questione involge una problematica che ha visto contrapporsi opposte soluzione da parte delle sezioni semplici della Corte, per quanto sia mutata nel tempo la disciplina astratta della fattispecie. E dopo aver ripercorso i diversi orientamenti giurisprudenziali e le indicazioni di prassi fornite dall’Amministrazione Finanziaria, sottopone al Primo Presidente l’opportunità di devolvere alle Sezioni Unite il problema della detraibilità di eccedenza di IVA, debitamente registrata nelle liquidazioni periodiche, in ipotesi di omissione della dichiarazione annuale relativa al periodo di maturazione di dette eccedenze, in applicazione del combinato disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19, 27, 28, 30 e 55.

NOTA

Come è noto, con la circolare n. 34/E del 6 agosto 2012 l’Agenzia delle Entrate è intervenuta sul riconoscimento delle eccedenze di imposta a credito maturate in annualità per le quali le dichiarazioni risultano omesse, modificando, di fatto, la posizione assunta nella R.M. n.74/2007. E successivamente, con la circolare n.21/E del 25 giugno 2013, le Entrate sono ritornate sull’argomento, fornendo ulteriori chiarimenti.

C.M. n.34/2012

Inizialmente, con la circolare n.34/2012, le Entrate hanno affermato che, in caso di omessa dichiarazione annuale, il contribuente non può riportare l’eccedenza di IVA detraibile nella dichiarazione dell’anno successivo (cfr. Corte di Cassazione, sentenza 4 maggio 2010, n.10674, nella quale si afferma che “l’inottemperanza del contribuente all’obbligo della dichiarazione annuale esclude implicitamente la possibilità di recuperare il credito maturato in ordine al relativo periodo d’imposta attraverso il trasferimento della detrazione nel periodo di imposta successivo”. Negli stessi termini anche sentenza 12 gennaio 2012, n 268; 11 gennaio 2008, n. 433), né chiederne il rimborso nelle ipotesi regolate dall’articolo 30 medesimo. Ne consegue la legittimità dell’operato degli uffici nell’ambito della procedura di cui all’articolo 54-bis del D.P.R. n. 633 del 1972, che è volta tra l’altro, a “correggere gli errori materiali commessi dai contribuenti nel riporto delle eccedenze di imposta risultanti dalle precedenti dichiarazioni”, che nel caso di specie risulta omessa. Il credito, pertanto, non essendo stato dichiarato nell’anno in cui è maturato, non è utilizzabile in detrazione del debito d’imposta in una dichiarazione successiva, a nulla rilevando che lo stesso sia, in ipotesi, effettivamente maturato.

Nella fattispecie in esame, qualora venga riscontrata l’effettività del credito, il contribuente è ammesso al rimborso dell’eccedenza medesima, attraverso la procedura di cui all’art. 21 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (ai sensi dell’articolo 21, comma 2, ultimo periodo, del d.lgs. n. 546 del 1992La domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento, ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”).

È pertanto possibile che alla pretesa dell’Amministrazione, conseguente alla liquidazione della dichiarazione nella quale è stato riportato il credito maturato in un anno per il quale è stata omessa la relativa dichiarazione, faccia seguito il diritto del contribuente al rimborso del medesimo credito oggetto di recupero.

Resta inteso che le compensazioni tra le somme oggetto di recupero ed il credito eventualmente spettante non sono compatibili con il procedimento di liquidazione di cui all’art. 54-bis del D.P.R. n. 633/72.

Nella fattispecie in esame, qualora il contribuente definisca l’obbligazione pagando le somme richieste dall’ufficio, nei termini previsti dalla comunicazione di irregolarità ovvero a seguito della notifica della cartella di pagamento o in esito a una sentenza definitiva a lui sfavorevole, lo stesso potrà presentare istanza di rimborso del credito, entro due anni dal predetto pagamento ai sensi dell’art. 21 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.

Nell’esaminare tali istanze, l’ufficio effettuerà il controllo dell’effettiva spettanza del credito, mediante richiesta ed esame della documentazione contabile ed extracontabile necessaria, attenendosi alla prassi operativa concernente i controlli da espletare ai fini dell’erogazione dei rimborsi IVA, fatta salva la facoltà di attivare anche successivamente eventuali specifici controlli sostanziali, al fine di verificare ulteriormente la spettanza del credito.A quest’ultimo fine, le strutture addette alla trattazione delle istanze di rimborso segnaleranno alle strutture che si occupano dei controlli le posizioni maggiormente rilevanti ammesse al rimborso.

Ove il contribuente eccepisca nel corso del giudizio l’effettiva sussistenza del credito, esibendo la relativa documentazione, l’ufficio, in sede contenziosa sosterrà anzitutto la legittimità dell’operato dell’ufficio ai sensi degli artt. 30 e 54-bis del D.P.R. n. 633 del 1972 e l’irrilevanza della sussistenza o meno del credito rispetto al thema decidendum, relativo alla liquidazione delle imposte dovute in base a una dichiarazione successiva. In subordine ed in via prudenziale, l’ufficio dovrà valutare la sussistenza di elementi per contestare l’esistenza stessa del credito illegittimamente compensato ed eccepire in giudizio anche tale inesistenza, così da precludere un’eventuale pronuncia circa la spettanza del diritto al rimborso.

Solo dopo che il contribuente abbia effettuato il pagamento delle somme iscritte a ruolo in esecuzione di pronunce giurisdizionali passate in giudicato, potrà essere presentata istanza di rimborso del credito maturato nell’annualità per la quale la dichiarazione risulta omessa, ai sensi dell’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992.

Le Entrate sottolineano, altresì, che anche nell’ipotesi in cui il contribuente abbia diritto al rimborso del credito erroneamente utilizzato in detrazione, la prosecuzione del giudizio e i connessi oneri a carico dell’Amministrazione sarebbero giustificati dalla necessità di conseguire le sanzioni pecuniarie relative al comportamento non corretto del contribuente ai sensi del citato art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997.

La circolare, tuttavia, apre nell’ipotesi di mediazione, rilevando che le controversie in esame possano essere definite mediante un accordo di mediazione che preveda il riconoscimento del credito effettivamente spettante, qualora il contribuente riconosca a sua volta la legittimità delle sanzioni e degli interessi iscritti a ruolo.

Nel caso in cui venga raggiunto l’accordo di mediazione, inoltre, il contribuente avrà diritto a beneficiare della riduzione delle sanzioni al 40 per cento ai sensi dell’art. 48 del d.lgs. n. 546 del 1992.

In sostanza, posto che il pagamento dell’imposta liquidata dà diritto al contribuente di presentare istanza di rimborso “anomalo” nel termine biennale di cui all’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992, si ritiene possibile in mediazione “scomputare”, dalla somma originariamente richiesta in pagamento al contribuente, l’eccedenza di IVA detraibile riconosciuta spettante.

Considerato che il diritto di credito emerge solo in fase di mediazione, non possono essere riconosciuti interessi a favore del contribuente.

Nell’accordo di mediazione dovrà altresì evidenziarsi che i controlli eseguiti ai fini del riconoscimento dell’eccedenza a credito non esauriscono le attività di controllo esercitabili dall’Amministrazione finanziaria sull’annualità per la quale la dichiarazione risulta omessa.

Le medesime considerazioni fin qui svolte in relazione alle istanze di mediazione presentate dai contribuenti avverso le cartelle di pagamento, si possono ritenere valide anche in ordine alla possibilità di definire in sede di conciliazione giudiziale le controversie di valore superiore a 20.000 euro, per le quali l’istituto della mediazione non trova applicazione.

C.M. n. 21/2013

Le Entrate, con la circolare n.21/2013 forniscono ulteriori chiarimenti. Afferma il documento di prassi che, “a seguito del ricevimento della comunicazione di irregolarità in esame, se il contribuente ritiene che il credito non dichiarato sia fondatamente ed effettivamente spettante, può attestarne l’esistenza contabile, mediante la produzione all’ufficio competente, entro il termine previsto dagli articoli 36-bis, comma 3, del DPR n. 600 del 1973 e 54-bis, comma 3, del DPR n. 633 del 1972 (trenta giorni successivi al ricevimento della comunicazione), di idonea documentazione (ad esempio, con riferimento alle eccedenze IVA, mediante esibizione dei registri IVA e delle relative liquidazioni, della dichiarazione cartacea relativa all’annualità omessa, delle fatture e di ogni altra documentazione ritenuta utile)”.

Resta ferma, naturalmente, la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di effettuare le attività di controllo in merito alla dichiarazione omessa, anche al fine di accertare l’effettività sostanziale del credito maturato nel relativo periodo d’imposta.

L’ufficio, “in esito a tali verifiche, qualora riscontri l’esistenza contabile del credito, … analogamente a quanto previsto nella fase contenziosa, anziché richiedere l’effettuazione del pagamento seguita da un’istanza di rimborso, potrà ‘scomputare’ direttamente l’importo del credito medesimo dalle somme complessivamente dovute in base alla originaria comunicazione di irregolarità e, conseguentemente, ai sensi del comma 2 dell’articolo 2 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 462, emettere una ‘comunicazione definitiva’ contenente la rideterminazione delle somme che residuano da versare a seguito dello scomputo operato”.

Restano dovuti gli interesse e le sanzioni sulla parte di credito effettivamente utilizzata.

Laddove il contribuente provveda a pagare le somme dovute entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione definitiva contenente la rideterminazione delle somme medesime, potrà beneficiare della riduzione della predetta sanzione ad un terzo, ai sensi del citato comma 2 dell’articolo 2 del d.lgs. n. 462 del 1997.

Precisa l’A.F. che l’appuramento dell’esistenza contabile del credito può essere effettuato esclusivamente dall’ufficio competente nei confronti del contribuente, che è, in tal modo, nella condizione di poter valutare l’opportunità di effettuare o segnalare tempestivamente all’ufficio controlli, eventuali riscontri sostanziali in merito all’effettiva esistenza del credito.

Il contribuente cui viene riconosciuto l’utilizzo dell’eccedenza a credito che si sarebbe dovuta esporre nella dichiarazione omessa, deve essere reso formalmente edotto che l’avvenuta dimostrazione dell’esistenza contabile del credito non preclude, in alcun modo, il potere dell’Amministrazione finanziaria di controllare, ove lo ritenga opportuno e nei termini normativamente previsti, l’effettività sostanziale del credito medesimo ed eventualmente, procedere al recupero dello stesso con le relative ulteriori conseguenze sanzionatorie a suo carico.

Conclusioni

La soluzione di una questione interpretativa così vecchia e controversa, che coinvolge migliaia di contribuenti, deve passare da un pronunciamento a Sezioni Unite, al fine di fissare dei principi e delle regole che possano guidare i contribuenti e gli operatori.

 

2 ottobre 2014

Gianfranco Antico