Fondo patrimoniale: il conferimento del bene è contrastabile con l’azione pauliana

la costituzione di un fondo patrimoniale è un atto sempre più utilizzato per la tutela del patrimonio, tuttavia ai creditori del soggetto che ha conferito i beni in fondo è garantita la tutela dell’azione cd. revocatoria

L’azione pauliana è diretta proprio a tutelare il creditore rispetto agli atti del debitore di disposizione del proprio patrimonio, senza alcun discrimine circa lo scopo ulteriore avuto di mira dal debitore nel compimento dell’atto dispositivo e pertanto sono considerati soggetti all’azione revocatoria anche gli atti aventi un profondo valore etico e morale. Con l’azione revocatoria non si disconosce la validità del fondo patrimoniale e la sua causa (il soddisfacimento dei bisogni della famiglia) ma se ricorre l’elemento della consapevolezza del pregiudizio alle ragioni del creditore, la tutela delle ragioni quest’ultimo diventa prevalente nei limiti di quanto serva per il suo soddisfacimento.

 

Il giudizio di legittimità (espresso dalla ord. n. 16498 del 18 luglio 2014 della Corte di Cassazione) pur nascendo da un processo civile, riveste tuttavia , in virtù dei principi in esso enunciati, un interesse che potrà riflettersi indubbiamente anche nell’ambito della riscossione erariale e questo in ragione del fatto che i principali istituti coinvolti sono afferenti, da un lato, ad un regime patrimoniale della famiglia a carattere convenzionale quale il fondo patrimoniale1 e, dall’altro, ad una azione (quella “revocatoria”) riservata a qualsivoglia creditore, e quindi anche ad Equitalia.

Infatti, come si ricorderà, ai sensi del combinato disposto degli artt. 49 e 50 del D.P.R. n.602/1973, è consentito all’Agente della riscossione, una volta decorso inutilmente il termine di pagamento indicato nella cartella esattoriale, di promuovere “… azioni cautelari e conservative, nonché ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore” e pertanto di promuovere l’azione revocatoria ordinaria, c.d. actio pauliana, di cui agli artt. 2901 e ss. c.c.., mezzo finalizzato a dichiarare inefficace (su domanda del creditore e nei suoi confronti) un determinato atto di disposizione del patrimonio compiuto dal debitore, anteriormente o posteriormente all’insorgenza del credito.

L’aggredibilità del fondo patrimoniale, anche al solo fine dell’esercizio di azioni cautelari da parte di Equitalia, è invece al centro di un ampio dibattito giurisprudenziale che attiene sia alla possibilità di incidenza sul fondo da parte della c.d. “ipoteca fiscale” sia al regime dell’onus probandi coinvolto in tali liti; in ordine a quest’ultimo aspetto, va però precisato che, secondo l’orientamentomaggioritario, spetta al debitore2 (e quindi al contribuente), che intenda opporre agli atti di esecuzione la disciplina legale del fondo patrimoniale, dare la prova dei due elementi richiamati dal riferimento normativo di specie, segnatamente dall’art. 170 c.c., e quindi dimostrare il fatto che si tratti di debiti estranei ai bisogni della famiglia lato sensu intesi e conosciuti come tali dal creditore .

Con l’arresto in esame, la Corte (rammentando come l‘azione pauliana sia stata considerata legittima anche con riferimento agli atti aventi un profondo valore etico e morale – i.e. nel caso di trasferimento della proprietà di un bene effettuato a seguito della separazione personale per adempiere al proprio obbligo di mantenimento nei confronti dei figli e del coniuge, in favore di quest’ultimo3) afferma che l’azione revocatoria corrisponde ad uno strumento di tutela diretta del creditore rispetto agli atti del debitore di disposizione del proprio patrimonio, senza alcun discrimine circa lo scopo ulteriore avuto di mira dal debitore nel compimento dell’atto dispositivo. Così, sempre secondo le argomentazioni svolte dai giudici di piazza Cavour, con l’azione revocatoria non si disconosce la validità del fondo patrimoniale e la sua causa (cioè il soddisfacimento dei bisogni della famiglia) ma (una volta essenzialmente individuato l’elemento della consapevolezza del pregiudizio alle ragioni del creditore) deve necessariamente riconoscersi la prevalenza della tutela delle ragioni vantate da quest’ultimo, con la conseguenza che deve riattribuirsi al patrimonio separato la sua funzione di garanzia generica del credito.

La Suprema Corte rafforza quest’ultimo principio richiamando la circostanza che in precedenza (Cass. Civ. n. 24757/2008) era stato indicato che l’animus nocendi, richiesto dalla norma ai fini della revocatoria del fondo patrimoniale, viene a configurarsi quando il debitore compie un atto dispositivo nella previsione dell’insorgenza del debito e del pregiudizio per il creditore, da intendersi anche “quale mero pericolo dell’insufficienza del patrimonio a garantire il credito del revocante ovvero la maggiore difficoltà od incertezza nell’esazione coattiva del credito medesimo”.

A fronte di queste conclusioni, la Corte “modera” lievemente i vantaggi processuali del creditore discostandosi dal predetto indirizzo maggioritario ed indicando, quindi, che la prova dell’elemento psicologico assurge in capo al creditore-istante, essa raggiungibile anche solo attraverso il ricorso a presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito, ed è incensurabile in sede di legittimità in presenza di congrua motivazione (v. Cass.civ. n. 11916/2001).

Va ricordato che un ulteriore elemento di favore al creditore era stato fornito, pochi giorni prima del deposito della sentenza n. 16498/2014, sul raggio d’azione dell’impedimento alla esecuzione sui beni del fondo patrimoniale (e sui frutti di essi) con riguardo ai debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia. Ben vero, la terza sezione della Corte di Cassazione (nella sentenza n. 15886 del 11 luglio 2014) ha chiarito (imputando, tra l’altro, l’onus probandi al resistente-debitore) che tale condizione non va intesa in senso restrittivo, vale a dire con riferimento alla necessità di soddisfare l’indispensabile per l’esistenza della famiglia, bensì nel senso di ricomprendere in tali bisogni anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento ed all’armonico sviluppo della famiglia, nonchè al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi4.

Così il vaglio del giudice di ultima istanza, in occasione dell’arresto n.15886, sembra aver voluto preferire “una nozione di bisogni della famiglia piuttosto ampia, per la quale si esclude che bisogni rilevanti siano soltanto quelli essenziali del nucleo familiare, ma vi si comprendono anche altre esigenze, purchè il loro soddisfacimento sia funzionale alla vita della famiglia. Inoltre, sì è attribuita rilevanza, non solo ai bisogni oggettivi, ma anche a quelli soggettivamente ritenuti tali dai coniugi, adottandosi peraltro un parametro di valutazione negativo, secondo quanto sopra”. Il che, secondo la Corte, equivale a dire che l’indagine del giudice deve rivolgersi specificamente al fatto generatore dell’obbligazione, a prescindere dalla natura di questa, con la conseguenza che i beni costituiti in fondo patrimoniale non potranno essere sottratti all’azione esecutiva dei creditori quando lo scopo perseguito nell’obbligarsi sia stato quello di soddisfare i bisogni della famiglia, da intendersi non in senso meramente oggettivo, ma in senso più ampio , nel quale sono ricompresi anche i bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell’indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, in conseguenza delle possibilità economiche familiari5.

19 settembre 2014

Antonino Russo

1Non alternativo rispetto ai regimi generali della comunione e della separazione.

2 Ex plurimis Cass. civ. n. 4011/2013.

3 Il Supremo Collegio richiama, a tal proposito,Cass. Civ. n. 15603/2005.

4 Cass. Civ.nn. 134/1984, 11683/2001, 12730/2007,15862/2009, 4011/2013.

5 Cfr. anche Cass. 19.2.2013 n. 4011.