Giudizio di ottemperanza o processo di esecuzione

il giudizio di ottemperanza è diverso dal processo esecutivo civile e attiene al particolare ambito del processo tributario

Con la sentenza n. 9430 del 30 aprile 2014 (ud. 21 gennaio 2014) la Corte di Cassazione torna ad occuparsi del giudizio di ottemperanza.

Il fatto

Decidendo sul ricorso proposto da una società per l’ottemperanza alla sentenza (passata in giudicato) della Commissione tributaria provinciale di Roma, con la quale era stato accertato il diritto della società al rimborso del credito IVA per L. 100.000.00 (Euro 51.645,69) relativo all’anno 1994, la CTP di Roma con sentenza 16.04.2007 n. 96, rilevato che l’Agenzia delle Entrate non aveva fornito prova del pagamento neppure dopo l’atto di intimazione in mora, notificato dalla società in data 27.11.2006, accoglieva la domanda e disponeva la nomina di un Commissario ad acta per l’adozione dei necessari provvedimenti (emissione del mandato di pagamento) ai fini della liquidazione della somma dovuta dalla Amministrazione finanziaria per capitale ed interessi moratori ed anatocistici, come richiesti dalla ricorrente.

Avverso la sentenza di ottemperanza ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi l’Agenzia delle Entrate.

La decisione

La Corte, innanzitutto, premette che, “se in tema di contenzioso tributario, il giudizio di ottemperanza agli obblighi derivanti dalle sentenze delle commissioni tributarie, disciplinato dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 70, presenta connotati diversi dal corrispondente e concorrente giudizio esecutivo civile, perchè il suo scopo non è quello di ottenere l’esecuzione coattiva del comando contenuto nella decisione passata in giudicato, bensì quello di rendere effettivo quel comando, compiendo tutti quegli accertamenti indispensabili a delimitare l’effettiva portata precettiva della sentenza di cui si chiede l’esecuzione (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 646 del 18/01/2012)”.

Tuttavia, osserva la Corte, “tale potere di accertamento volto a conformare, come nella specie, la successiva attività della PA al ‘dictum’ giurisdizionale, non può che essere esercitato entro i confini invalicabili posti dall’oggetto della controversia definita col giudicato, di tal che può essere enucleato e precisato il contenuto degli obblighi nascenti dalla decisione passata in giudicato, chiarendosene il reale significato, ma non può essere attributo un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello riconosciuto con la sentenza da eseguire (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 13681 del 24/06/2005; id. Sez. 5, Sentenza n. 25696 del 09/12/2009)”.

Ne consegue che “eccezioni di merito, estintive del diritto accertato con efficacia di giudicato, possono essere dedotte avanti il Giudice della esecuzione esclusivamente se riguardano fatti estintivi od impeditivi sopravvenuti alla formazione del titolo esecutivo giudiziale, diversamente – ove si consentisse l’accesso anche ad eccezioni relative a fatti estintivi verificatisi ‘anteriormente’ al giudicato e che avrebbero potuto essere fatte valere nel giudizio di merito – si verrebbe a riconoscere all’esecutato una facoltà di ‘restituito in terminis’ volta ad ottenere una nuova verifica della sussistenza dei fatti costitutivi del diritto, alla stregua di fatti estintivi, impeditivi o modificativi preesistenti che avrebbero dovuto essere tempestivamente allegati e dedotti nel giudizio di merito, e che, pertanto, deve ritenersi incompatibile con la incontrovertibilità dell’accertamento di merito compiuto dalla sentenza azionata ‘in executivis’ (cfr. Corte cass. Sez, 3, Sentenza n. 26089 del 30/11/2005; id. Sez. 3, Sentenza n. 8928 del 18/04/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 12911 del 24/07/2012)”.

Nel caso di specie “il Giudice della ottemperanza ha egualmente proceduto all’esame della eccezione preliminare di merito con la quale l’Ufficio finanziario aveva dedotto di aver eseguito il pagamento per sorte ed interessi moratori in data 22.12.2000, ovvero in data 12.02.2001, pronunciando nel merito e rigettandola in quanto non adeguatamente provata, in tal modo violando i limiti imposti alla cognizione del Giudice della ottemperanza dalla efficacia oggettiva del giudicato sul credito di rimborso”.

Proseguono i massimi giudici affermando che “la decisione emessa dalla CTP sulla eccezione preliminare di merito, in quanto di rigetto, non è tuttavia violativa del giudicato, in quanto non modifica l’accertamento del diritto contenuto nella sentenza di cui è chiesta la ottemperanza, ma non per questo consente l’accesso del ricorso proposto dalla Agenzia delle Entrate al sindacato di legittimità, atteso che il principio di generale rilevabilità di ufficio delle eccezioni, salvo quelle la cui rilevabilità è rimessa specificamente alla iniziativa di parte, consente al Giudice di legittimità di pronunciare ‘ex officio’ sulla esistenza di un giudicato qualora essa emerga da atti comunque prodotti nel corso del giudizio di merito (cfr. Corte Cass. SU 25.5.2001 n. 226): in tale compito la Corte non incontra limiti ed ha accesso diretto agli atti in quanto ‘posto che il giudicato va assimilato agli “elementi normativi”, cosicchè la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell’esegesi delle norme e non già degli atti e dei negozi giuridici, essendo sindacabili sotto il profilo della violazione di legge gli eventuali errori interpretativi, ne consegue che il giudice di legittimità può direttamente accertare l’esistenza e la portata del giudicato esterno con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice di merito’ (cfr. Corte Cass. SU 28.11.2007 n. 24664 che ha risolto il contrasto di giurisprudenza formatosi tra le pronunce di legittimità rispettivamente adesive a Corte cass. SU n. 277/1999 – secondo cui la interpretazione del giudicato è ‘quaestio facti’ riservata al giudice di merito -, ed a Corte cass. SU n. 226/2001 e n. 13916/2006, secondo cui il giudicato è costituivo della ‘regula iuris’ ed in quanto elemento normativo della fattispecie il suo contento precettivo deve essere accertato alla stregua dei criteri di interpretazione delle norme giuridiche. Conf. Corte cass. 1 sez.5.10.2009 n. 21200, id. sez. lav. 30.4.2010 n. 10537; id. 1 sez. 23.12.2010 n. 26041)”.

Breve nota

Il giudizio di ottemperanza1, previsto e regolamentato dall’art. 70 del D.Lgs. n. 546/92, risponde all’esigenza di salvaguardare la sfera di autonomia del potere esecutivo dal potere giudiziario, secondo il consolidato principio della separazione dei poteri.

E’ un procedimento sui generis, teso a realizzare concretamente la sentenza emessa : suo oggetto, pertanto, è l’individuazione dei presupposti formali per la sua instaurazione e l’indagine di tutti gli effetti legalmente inclusi nel giudicato, che risultano indispensabili per il ripristino dell’integrità della posizione del ricorrente.

L’art. 70 del D.Lgs.n. 546/92 consente, quindi, al contribuente di esperire il giudizio di ottemperanza presso le commissioni tributarie al fine di ottenere la concreta esecuzione della sentenza.

Il giudizio di ottemperanza consiste, pertanto, nel ricorso diretto alla stessa commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, tendente ad ottenere il coatto adempimento degli obblighi sanciti dalla sentenza stessa.

Si rileva subito che, in tema di competenza, il comma 1 dell’articolo 70 espressamente prevede:

  • è competente la commissione tributaria provinciale nell’ipotesi di sentenza passata in giudicato emessa dalla stessa;

  • è competente la commissione tributaria regionale in tutti gli altri casi2.

I presupposti e le condizioni per la proposizione di tale rimedio giurisdizionale possono essere così riassunti, in rigoroso ordine logico-temporale:

  • esistenza di una sentenza passata in giudicato;

  • inadempimento dell’amministrazione agli obblighi contenuti nella sentenza.

Se è compito degli uffici, qualora ritenessero sussistere profili di illegittimità degli atti del commissario ad acta, apprezzare la necessità di presentare specifico reclamo al giudice dell’ottemperanza, tenendo sempre presente che il giudizio di ottemperanza non ha termine con l’emanazione della sentenza ma con la concreta esecuzione del giudicato e che secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato i provvedimenti adottati dal commissario ad acta in sede di esecuzione del giudicato hanno natura di atti amministrativi e non giurisdizionali e pertanto sono modificabili e revocabili da parte del giudice dell’ottemperanza, vediamo attraverso anche l’apporto giurisprudenziale della Cassazione quali sono i limiti del giudizio di ottemperanza.

  • Sentenza n. 13681 del 18 marzo 2005, depositata il 24 giugno 2005, secondo cui in sede di giudizio di ottemperanza, il giudice deve soltanto provvedere in ordine all’esecuzione del giudicato e non anche in relazione a profili cognitivi estranei all’individuazione del contenuto e della portata del giudicato. Pertanto, “il potere del giudice sul comando definitivo inevaso va, comunque, esercitato entro i confini invalicabili posti dall’oggetto della controversia definita col giudicato, di tal che può essere enucleato e precisato il contenuto degli obblighi nascenti dalla decisione passata in giudicato, chiarendosene il reale significato, ma non può essere attribuito un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello riconosciuto con la sentenza da eseguire (Cass. n. 22188/2004)”. La Corte, inoltre, afferma nel prosieguo, un principio di rilievo spesso trascurato in ordine alla compensazioni fra crediti e debiti: ”la compensazione è possibile esclusivamente a condizione dell’avvenuta accettazione, espressa o tacita, della stessa da parte dell’ufficio. Qualora infatti il contribuente proponga domanda di compensazione del credito da giudicato con debiti fiscali sopravvenuti, l’adempimento dell’obbligo derivante dalla sentenza si perfeziona con l’adozione, da parte dell’ufficio tributario, del provvedimento di accettazione – esplicita o implicita – della suddetta domanda, che è produttivo dell’effetto giuridico della compensazione (Cass. n.22761/2004)”.

  • Sentenza n. 22565 del 28 ottobre 2004, depositata il 1° dicembre 2004, con cui la Corte ha ritenuto non ammissibile la domanda di interessi anatocistici nei confronti della Amministrazione finanziaria, proposta per la prima volta nel giudizio di ottemperanza. Perciò ove tali interessi siano stati richiesti in sede di giudizio di ottemperanza, il giudice (nel caso di specie Commissione tributaria provinciale) deve accertare se tale domanda abbia o meno formato oggetto del decisum in sede ordinaria, dichiarando, per l’effetto, inammissibile la domanda stessa se formulata ex novo nel detto giudizio di ottemperanza. E simile inammissibilità può essere rilevata avanti alla Corte di Cassazione che esercita un sindacato pieno sulla correttezza “in diritto” della sentenza emessa nel giudizio di ottemperanza.

  • Sentenza n. 358 del 1° luglio 2003 (dep. il 14 gennaio 2004), secondo cui il comma 1 dell’articolo 70 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, nel prevedere la domanda di ottemperanza agli obblighi derivanti dalla sentenza della Commissione tributaria passata in giudicato, non limita l’iniziativa delle parti stesse alle ipotesi di pronuncia definitiva esaustiva dell’intera controversia, ma consente l’attuazione coattiva anche di singole parti o capi autonomi della sentenza, rispetto ai quali si sia formato un giudicato intero. In tale evenienza il giudice dell’ottemperanza, nell’ambito dei suoi poteri di verifica dei presupposti processuali della domanda, potrà autonomamente accertare l’esistenza del giudicato parziale, anche in mancanza della relativa certificazione di cancelleria o segreteria.

  • sentenza n. 6670 del 21 marzo 2014 (ud. 17 dicembre 2013), secondo cui in tema di giudizio d’ottemperanza alle decisioni delle commissioni tributarie, il potere del giudice sul comando definitivo inevaso va esercitato entro i confini invalicabili posti dall’oggetto della controversia definita col giudicato. Di guisa che, in sede di ottemperanza, mentre può essere enucleato e precisato il contenuto degli obblighi nascenti dalla decisione passata in giudicato, chiarendosene il reale significato, non può – per converso – essere attributo un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello riconosciuto con la sentenza da eseguire”. Nel caso di specie, pertanto, “la possibilità di applicare al giudizio di ottemperanza l’istituto civilistico della compensazione … deve ritenersi esclusa, in quanto la dichiarazione di estinzione del debito per compensazione presuppone un accertamento del giudice dell’ottemperanza che travalica i limiti fissati dal contenuto del giudicato, e – come tale – è sottratto alla sua competenza (cfr. Cass.13681/05; Cass. S.U. 30058/08; 25696/09)”.

1 settembre 2014

Gianfranco Antico

1 Sull’istituto, e sul processo tributario, si consenta il rinvio ad ANTICO-CONIGLIARO-FARINA, Il contenzioso tributario, Il Sole24ore, Milano, 2005.

2 Da segnalare al riguardo è la sentenza n. 18266 del 21.01.2004 della Corte di Cassazione, che ritiene sussistere la competenza della Commissione tributaria provinciale nel giudizio di ottemperanza nelle seguenti ipotesi: mancata impugnazione della sentenza di primo grado; nell’ipotesi in cui il giudizio di appello sia dichiarato inammissibile o improcedibile. Negli altri casi sarà competente la commissione tributaria regionale.