Tre auto fanno un accertamento sintetico

nel vecchio accertamento sintetico il possesso di autoveicoli era uno dei maggiori indici in grado di giustificare una maggior capacità contributiva a carico del contribuente accertato

Con l’ordinanza n.15931 dell’11 luglio 2014 la Corte di Cassazione ha legittimato l’accertamento sintetico operato dall’ufficio, nel vecchio regime, sulla base, fra l’altro, della disponibilità di tre autovetture, in assenza di elementi utili, da parte del contribuente, a negare rilevanza ai beni indicativi di maggiore capacità contributiva.

La Corte ha, quindi, cassato la decisione dei giudici di secondo grado, atteso che la sentenza non ha individuato

“i concreti elementi utilizzati per negare rilevanza agli elementi indicatori di capacità contributiva” né ha indicato “i concreti dati e l’iter logico giuridico seguiti per affermare … la indisponibilità di tre auto, oltretutto, pretermettendo l’esame delle risultanze del P.R.A, idonei a giustificare una diversa decisione…”.

Auto di lusso e accertamento sintetico – Breve nota

Già con ordinanza n. 27545 del 19 dicembre 2011 (ud. 13 ottobre 2011) la Corte di Cassazione aveva legittimato un accertamento sintetico fondato, sostanzialmente, sul possesso di due autovetture di grossa cilindrata e sulla disponibilità di un pacchetto azionario.

In particolare,

“l’Agenzia aveva dimostrato l’inadeguatezza dei redditi della moglie a giustificare le disponibilità del contribuente e, sotto altro aspetto, che era rimasta incontestata (Cass. n. 1540/2007, n. 5488/2006, n. 2273/2005) la circostanza che il P. era proprietario di due auto di grossa cilindrata (2.500 c.c.) e deteneva quote in quattro società, ed, ancora, che il contribuente non aveva assolto all’onere probatorio, sullo stesso gravante”.

E pertanto la Corte riconferma il principio secondo cui

“grava sul contribuente che contesti l’applicazione di tali coefficienti l’onere di dimostrare in concreto che il proprio reddito effettivo e diversoed inferiore a quello scaturente dalle presunzioni adottate dall’ufficio” (Cass. nn. 14161/2003, 12731/2002 e 8372/2001).

Costituisce consolidato orientamento giurisprudenziale (Cass. nn. 19252/2005, 14161/2003 e 11300/2000), quello secondo cui

“in tema di accertamento dei redditi, sono – ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 2, nel testo applicabile nella fattispecie ratione temporis – elementi indicativi di capacità contributiva, tra gli altri, specificamente la disponibilità in Italia o all’estero di autoveicoli, nonchè di residenze principali o secondarie; la disponibilità di tali beni, come degli altri previsti dalla norma, costituisce, quindi, una presunzione di capacità contributiva da qualificare legale ai sensi dell’art. 2728 c.c., perchè è la stessa legge che impone di ritenere conseguente al fatto certo di tale disponibilità la esistenza di una capacità contributiva”.

Nelle precitate pronunce è stato, pure, precisato che

“il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori di capacità contributiva esposti dall’Ufficio, non ha il potere di togliere a tali elementi la capacità presuntiva contributiva che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile o perchè già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma”.

Sempre di recente, con sentenza n. 9549 del 29 aprile 2011 (ud. del 16 febbraio 2011) la Corte di Cassazione ha affermato che, in tema di accertamento dei redditi, nella disciplina ratione temporis vigente, la disponibilità di autoveicoli in Italia o all’estero costituisce un sicuro elemento indicativo di capacità contributiva.

Il possesso del bene costituisce una presunzione legale ai sensi dell’art. 2728 c.c. e il giudice tributario non può privare tale elemento che la legge ha inteso annettere alla loro disponibilità potendo solo valutare la prova che il contribuente offre in ordine alla provenienza non reddituale delle somme necessarie per mantenerne il possesso.

Osserva, innanzitutto, la Corte che, in tema di accertamento dei redditi, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 2, nel testo temporalmente applicabile alla fattispecie in esame, costituisce un elemento indicativo di capacità contributiva, tra gli altri, “la disponibilità”, in Italia o all’estero, di “autoveicoli”.

Il possesso del bene in questione, come degli altri previsti dalla norma, costituisce, pertanto,

“una presunzione legale di capacità contributiva, ai sensi dell’art. 2728 c.c., atteso che è la legge stessa a ricollegare al fatto certo di tale disponibilità l’esistenza di una capacità contributiva.

Ne discende che il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi rilevatori di capacità contributiva, non può privare tali elementi della capacità presuntiva che la legge ha inteso annettere alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma.

E ciò in quanto tali somme siano – per qualsiasi ragione – non imponibili, o siano già sottoposte ad imposta, o – ancora – siano, in tutto o in parte, esenti da tassazione (v., in tal senso, Cass. n. 16284/07)”.

E con l’ordinanza n.18604 del 29 ottobre 2012 la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza della CTR che aveva respinto l’appello dell’Agenzia proposto contro la sentenza della CTP che aveva accolto il ricorso del contribuente avverso l’avviso di accertamento sintetico emesso, fondato sulla quota di risparmi, desunta sia da acquisto di azioni che dalla disponibilità di n.3 autovetture di grossa cilindrata.

La predetta CTR ha motivato la decisione ritenendo che (una volta rinunciato da parte dell’Ufficio alla contestazione della quota di reddito derivante da una delle tre autovetture) sarebbe spettato all’Ufficio, con argomentata dimostrazione, “indicare le ragioni per cui le spese di mantenimento delle altre due debbano ritenersi eccessive rispetto al reddito dichiarato”, cosi come ottemperare all’onere di prova in riguardo all’acquisto di azioni, quantomeno indicando nell’avviso di accertamento gli estremi dell’atto.

La Corte, richiamando un proprio precedente (per tutte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 5794 del 19/04/2001) conferma che

“in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la determinazione del reddito effettuata sulla base dell’applicazione del cosiddetto ‘redditometro’ dispensa l’Amministrazione Finanziaria da qualunque ulteriore prova rispetto ai fatti-indici di maggiore capacità contributiva, individuati dal reddito metro stesso e posti a base della pretesa tributaria fatta valere, e pone a carico dei contribuente l’onere di dimostrare che il reddito presunto sulla base del reddito metro non esiste o esiste in misura inferiore”.

Compete, dunque, al contribuente “fornire la prova contraria rispetto alla presunzione stabilita ex lege”.

Nell’accertamento cd. sintetico, il giudice tributario che abbia accertato la sussistenza degli indici rivelatori di maggiore ricchezza, non ha il potere di togliere a tali elementi la capacità contributiva presuntiva che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale degli stessi.

In questo senso si era già espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 2726 del 4 febbraio 2011 (ud. del 10 dicembre 2010), rilevando che (cfr. anche Cass. nn. 1909/2007 e 16284/2007), in tema di accertamento sintetico gli elementi indicativi di capacità contributiva costituiscono una presunzione legale, ai sensi dell’art. 2728 c.c., perchè è la stessa legge che impone di ritenere conseguente al fatto (certo) di tale disponibilità la esistenza di una capacità contributiva, senza che il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, abbia il potere di togliere a tali “elementi” la capacità presuntiva “contributiva” che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità,

“ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile o perchè già sottoposta ad imposta o perchè esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma”.

Il tema centrale rimane perciò circoscritto alla questione della sufficienza della prova ed, infatti, la sentenza che si annota non si discosta dai principi espressi dalla stessa Corte di Cassazione nel corso degli ultimi anni.

Si ricorda che sempre la Corte di Cassazione, con sentenza n. 25386 del 26 ottobre 2007 (dep. il 5 dicembre 2007), aveva già avuto modo di ritenere che gli accertamenti effettuati mediante redditometro sisottraggono all’obbligo di motivazione ex art. 3, c. 2, della L. 7 agosto1990, n. 241, con la conseguenza che l’Amministrazione finanziaria èesonerata da qualunque prova ulteriore rispetto ai fatti indicativi dicapacità contributiva individuati dal redditometro e posti a base della pretesa fiscale (nel caso di specie: possesso di automobili), gravando sulcontribuente l’onere di dimostrare che il reddito presupposto sulla base delredditometro non esiste o esiste in misura inferiore.

L’accertamento è comunque subordinato all’esercizio, da parte del contribuente, della facoltà di provare che la maggiore disponibilità economica accertata sinteticamente non dipenda da redditi prodotti nell’anno o dipenda da redditi esenti da imposta od in ordine ai quali sia stata già effettuata la ritenuta alla fonte a titolo di imposta.

Il ricorso al redditometro esonera quindi l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova e le consente di emettere un valido avviso di accertamento ricorrendo ad un mero calcolo matematico, traslando sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria a quanto calcolato attraverso il “redditometro”.

31 luglio 2014

Gianfranco Antico